Dylan è interessante perché è il primo a non credere alla propria aura: scappa dai fan, monetizza il brand, suona ovunque, vende canzoni a Victoria’s Secret e incassa pure il Nobel, con relativo assegno, dietro discorsetto di dieci minuti riciclato. L’idea che un artista “vero” debba disprezzare i soldi è una fantasia da hippy. Dylan fa arte come facevano Williams o Sinatra: tempo contro compenso, lavoro contro cachet, la canzone come mestiere ripetuto, il palco come fabbrica.