Se l' arte ci parla del mondo come fa la scienza, allora le due discipline potrebbero procedere a braccetto nella storia. In fondo, la sensibilità dell' uomo è unica e unico il suo sguardo sul mondo. Quando la scienza muta, puoi scommettere che alcune ripercussioni si avranno anche in campo artistico.
Voler tracciare però un parallelo rigoroso, è stato fatto, fa sfiorare il ridicolo a chi lo propone, quindi meglio procedere con i piedi di piombo.
Osservo dapprima che le scienze del secolo passato hanno accolto e tentato di descrivere alla meglio i fenomeni caotici.
E' accaduto persino nelle scienze più "dure" come la fisica: come formalizzare il comportamento delle particelle subatomiche senza ripiegare sulla statistica? Come descrivere la dinamica dei gas senza ricorrere allo studio degli errori e delle approssimazioni? E non parlo poi di quelle discipline, come la biologia, che da sempre si confrontano con l' indeterminato.
Il meccanicismo newtoniano è andato ormai in pensione, nemmeno si parla più di "leggi naturali", si fa molto prima a considerare probabilistica la natura di certe regolarità, anche delle più affidabili. Per qualcuno le teorie quantistiche nemmeno erano "scienza". Anche Einstein opinò osservando come Dio non giocasse a dadi. Oggi mi sembra che la discussione sia chiusa.
Secondo me questo movimento nelle scienze ha un corrispettivo nell' arte, parlo ora della musica: il rumore e l' aleatorietà assumono un ruolo centrale; una certa concezione del suono "ben temperato" segue con la sua sorte il "meccanicismo" e va in pensione.
L' aleatorietà nelle esecuzioni (improvvisazione) è la quinta essenza dell' indeterminazione, le parentele lì sono chiare, non c' è nulla da aggiungere. Ma anche il rumore ha una struttura sonora indeterminata, per quanto lo si controlli, altrimenti non sarebbe rumore.
Naturalmente, poichè l' arte si incarna in un linguaggio, "rumore" e "aleatorietà" devono trovare accoglienza in un contesto che li disciplini in modo creativo, che ne faccia un uso espressivo organizzandoli a dovere.
E' possibilissimo "controllare" il rumore e l' aleatorio, ce lo dice in primo luogo la scienza: la statistica controlla i suoi errori attraverso intervalli di confidenza. Altro esempio, Kantor, maneggiando gli infiniti, ci ha detto che alcuni infiniti sono più grandi di altri, che il loro mondo è estremamente vario e sorprendente, esempio: se abbiamo infiniti mattoni possiamo costruire infinite case e le case saranno più numerose dei mattoni.
L' arte di oggi è soprattutto quella che sa controllare il "rumore". E il "rumore" puo' essere "suonato" in infiniti modi. E' vario e sorprendente.
Ma le accademie musicali, pur accortesi per tempo che la via era questa, mi sembra che abbiano fallito nell' impresa.
Da Pousser a Stockhausen, da Maderna a Evangelisti, da Nono a Manzoni, per non parlare della "musica concreta", hanno proposto un rumorismo freddo e, secondo me, male integrato con la tradizione. Molti sono scappati, pochi hanno capito, nessuno ha goduto.
Con molto più profitto quelle strade sono state battute da chi partiva dal Rock e dal Jazz. Musiche che, anche se elementare, avevano sviluppato una loro tradizione dialogante con "rumore" e "aleatorietà".
E' bastato che una generazione di musicisti usciti da lì, una generazione di musicisti consapevoli, virtuosi e colti cominciasse a nutrire vere ambizioni artistiche, ed ecco che i risultati sono venuti.
Il loro "rumorismo" si è rivelato molto più vitale, molto più carico da un punto di vista esistenziale. Pieno di umorismo, truculenza divertita, gioie, dolori e tutte le infinite vie di mezzo, di sopra e di sotto. Al loro confronto, gli accademici sembravano invece impegnati in una pedante tassonomia da conferenzieri.
Dopo la lunga premessa esprimo la mia prima tesi: penso che la lingua musicale del nostro tempo sia debitrice dei musicisti usciti dai laboratori del rock, del jazz e del folk non omologato, prima ancora che della tradizione accademica impantanatasi a Darmstadt.
Voler tracciare però un parallelo rigoroso, è stato fatto, fa sfiorare il ridicolo a chi lo propone, quindi meglio procedere con i piedi di piombo.
Osservo dapprima che le scienze del secolo passato hanno accolto e tentato di descrivere alla meglio i fenomeni caotici.
E' accaduto persino nelle scienze più "dure" come la fisica: come formalizzare il comportamento delle particelle subatomiche senza ripiegare sulla statistica? Come descrivere la dinamica dei gas senza ricorrere allo studio degli errori e delle approssimazioni? E non parlo poi di quelle discipline, come la biologia, che da sempre si confrontano con l' indeterminato.
Il meccanicismo newtoniano è andato ormai in pensione, nemmeno si parla più di "leggi naturali", si fa molto prima a considerare probabilistica la natura di certe regolarità, anche delle più affidabili. Per qualcuno le teorie quantistiche nemmeno erano "scienza". Anche Einstein opinò osservando come Dio non giocasse a dadi. Oggi mi sembra che la discussione sia chiusa.
Secondo me questo movimento nelle scienze ha un corrispettivo nell' arte, parlo ora della musica: il rumore e l' aleatorietà assumono un ruolo centrale; una certa concezione del suono "ben temperato" segue con la sua sorte il "meccanicismo" e va in pensione.
L' aleatorietà nelle esecuzioni (improvvisazione) è la quinta essenza dell' indeterminazione, le parentele lì sono chiare, non c' è nulla da aggiungere. Ma anche il rumore ha una struttura sonora indeterminata, per quanto lo si controlli, altrimenti non sarebbe rumore.
Naturalmente, poichè l' arte si incarna in un linguaggio, "rumore" e "aleatorietà" devono trovare accoglienza in un contesto che li disciplini in modo creativo, che ne faccia un uso espressivo organizzandoli a dovere.
E' possibilissimo "controllare" il rumore e l' aleatorio, ce lo dice in primo luogo la scienza: la statistica controlla i suoi errori attraverso intervalli di confidenza. Altro esempio, Kantor, maneggiando gli infiniti, ci ha detto che alcuni infiniti sono più grandi di altri, che il loro mondo è estremamente vario e sorprendente, esempio: se abbiamo infiniti mattoni possiamo costruire infinite case e le case saranno più numerose dei mattoni.
L' arte di oggi è soprattutto quella che sa controllare il "rumore". E il "rumore" puo' essere "suonato" in infiniti modi. E' vario e sorprendente.
Ma le accademie musicali, pur accortesi per tempo che la via era questa, mi sembra che abbiano fallito nell' impresa.
Da Pousser a Stockhausen, da Maderna a Evangelisti, da Nono a Manzoni, per non parlare della "musica concreta", hanno proposto un rumorismo freddo e, secondo me, male integrato con la tradizione. Molti sono scappati, pochi hanno capito, nessuno ha goduto.
Con molto più profitto quelle strade sono state battute da chi partiva dal Rock e dal Jazz. Musiche che, anche se elementare, avevano sviluppato una loro tradizione dialogante con "rumore" e "aleatorietà".
E' bastato che una generazione di musicisti usciti da lì, una generazione di musicisti consapevoli, virtuosi e colti cominciasse a nutrire vere ambizioni artistiche, ed ecco che i risultati sono venuti.
Il loro "rumorismo" si è rivelato molto più vitale, molto più carico da un punto di vista esistenziale. Pieno di umorismo, truculenza divertita, gioie, dolori e tutte le infinite vie di mezzo, di sopra e di sotto. Al loro confronto, gli accademici sembravano invece impegnati in una pedante tassonomia da conferenzieri.
Dopo la lunga premessa esprimo la mia prima tesi: penso che la lingua musicale del nostro tempo sia debitrice dei musicisti usciti dai laboratori del rock, del jazz e del folk non omologato, prima ancora che della tradizione accademica impantanatasi a Darmstadt.
***
L' indetrminazione è solo un aspetto della scienza moderna. L' altro è la gratuità.
La legge scientifica ha assunto una natura statistica, cio' significa che la scienza rinuncia ad indagare le cause prime. Rinuncia a "dare spiegazioni", si limita a descrivere come dicono Mach e Duhem.
Il "fenomeno" esce dal nulla, non è mai spiegato alla radice. magari non lo faceva neanche prima, ma l' ambizione non era mai dismessa. La scienza ora diventa pragmatica e non soccorre più l' uomo nella sua esigenza profonda di capire le ragioni profonde.
Il mondo "non spiegato" assume natura allucinatoria. L' artista novecentesco, in tutti i settori, ha captato questa vuoto, questa sentimento dell' assurdo, questa vena allucinata e l' ha riprodotta.
La musica accademica ha una sua tradizione dello straniamento che fa capo a Stravinsky. Una tradizione presto tarpata però, forse per la paura di mischiare certi ambienti "seri" con il grottesco e l' umoristico inevitabile quando qualcuno cerca di sollevarsi prendendosi per i capelli.
E anche qui le musiche popolari soccorrono. Mai come qui possono dire la loro e l' hanno detta: cosa si presta alla degradazione più che la già vile canzonetta? E gli autori pop con ambizioni artistiche spesso hanno sfruttato queste possibilità.
La musica si irrigidisce in una mera canzone di genere raggelata, una musica commerciale, sradicata, che si limità ad una vile, chiassosa ed inspiegabile presenza. Puro oggetto pop iperealistico, epifania non attesa e disturbante.
Tesi seconda: anche il sentimento di gratuità, di straniamento, di assurdo trova nella musica popolare (pop), adeguatamente virgolettata da artisti consapevoli, il canale migliore attraverso cui esprimersi.
P.S. questo post fa parte di una discussione con davide, puo' essere utile un rimando qua, qua e qua.
La legge scientifica ha assunto una natura statistica, cio' significa che la scienza rinuncia ad indagare le cause prime. Rinuncia a "dare spiegazioni", si limita a descrivere come dicono Mach e Duhem.
Il "fenomeno" esce dal nulla, non è mai spiegato alla radice. magari non lo faceva neanche prima, ma l' ambizione non era mai dismessa. La scienza ora diventa pragmatica e non soccorre più l' uomo nella sua esigenza profonda di capire le ragioni profonde.
Il mondo "non spiegato" assume natura allucinatoria. L' artista novecentesco, in tutti i settori, ha captato questa vuoto, questa sentimento dell' assurdo, questa vena allucinata e l' ha riprodotta.
La musica accademica ha una sua tradizione dello straniamento che fa capo a Stravinsky. Una tradizione presto tarpata però, forse per la paura di mischiare certi ambienti "seri" con il grottesco e l' umoristico inevitabile quando qualcuno cerca di sollevarsi prendendosi per i capelli.
E anche qui le musiche popolari soccorrono. Mai come qui possono dire la loro e l' hanno detta: cosa si presta alla degradazione più che la già vile canzonetta? E gli autori pop con ambizioni artistiche spesso hanno sfruttato queste possibilità.
La musica si irrigidisce in una mera canzone di genere raggelata, una musica commerciale, sradicata, che si limità ad una vile, chiassosa ed inspiegabile presenza. Puro oggetto pop iperealistico, epifania non attesa e disturbante.
Tesi seconda: anche il sentimento di gratuità, di straniamento, di assurdo trova nella musica popolare (pop), adeguatamente virgolettata da artisti consapevoli, il canale migliore attraverso cui esprimersi.
P.S. questo post fa parte di una discussione con davide, puo' essere utile un rimando qua, qua e qua.