mercoledì 16 luglio 2008

La vicenda degli accordi

Gianfranco Contini diceva di Giacomo Debenedetti che fu il solo ad aver piegato il linguaggio di un vero scrittore al servizio del genere critico.

In effetti, lo si apprezza subito, GD sapeva cercare e trovare le parole di circostanza.

E che parole usò per definire lo "specifico" della letteratura novecentesca?, in particolare della letteratura romanzesca?

Eccolo impegnato su Svevo, un autore che sembra esistere per essere capito da lui:

"... un modo di raccontare che rifuggiva, per pigrizia o incapacità, dall' alacre condensazione dei fatti... e che la sostituiva invece con un indugiato, tortuoso vagabondaggio nei labirinti indimostrabili dell' individuo... che si avviluppano come serpi e che si mordono la coda negli intervalli tra l' uno e l' altro fatto. I quali fatti appaiono saltuari, radi, sbiaditi, destituiti d' interesse, in una specia di disintegrazione o meglio frustrazione della vicenda..."

"... la narrazione moderna è, in poche parole, quella che lascia stagnare i fatti e si sottrae un po' vilmente allo sforzo di imprimere alle vicende e al loro intrecciarsi una propulsione dinamica. In queste soste incessanti lascia dilagare una pigra, lutulenta descrittiva degli stati d' animo, dei più capillari, informi, vischiosi moti psicologici. Indulge cioè a viziose dilettazioni consumate dall' autore in sparuta solitudine..."


E' possibile tradurre questi concetti e riferirli alla musica? In fondo penso di sì. E quando GD parla di "vicenda", di "condensazione dei fatti", io, nel mio isomorfismo, penso all' ordinata sequenza tonale degli accordi che si susseguono all' interno di una forma standard, diciamo la forma sonata. O qualcosa del genere.