Si tratta di tre correnti di pensiero della modernità spesso confuse tra loro, anche a causa della denominazione ambigua. Forse vale la pena chiarire adottando un punto di vista cronologico:
1) i liberali si collocano in principio rivendicando la libertà religiosa, ma poi anche quella di espressione e i diritti individuali in generale. Vedono con favore l’associazionismo e l’autogoverno, fosse anche solo per il loro portato educativo (in questo senso i Padri Fondatori americani ne sono l’epitome). Nascono per contestare i privilegi di talune classi (nobili, proprietari terrieri, clero). Credono nelle virtù dell’ordine spontaneo dal basso in opposizione al piano socialista, hanno un approccio empirico “trial and error” che contrasta con il razionalismo dall’alto dei lumi alla francese. Mantengono una distinzione capitale tra giusto/buono e ingiusto/cattivo: una disgrazia è malvagia ma non ingiusta poiché l’ingiustizia implica un colpevole da punire che nel caso della disgrazia non c’è; l’aiuto a chi sta peggio è dovuto ma costituisce un precetto morale che si esplica nella filantropia. La loro concezione di libertà è negativa: libertà come non-interferenza. Sono essenzialmente ossessionati dalle intromissioni dello stato e l’eguaglianza che predicano è meramente formale: pari diritti (creati uguali).
2) I liberal provengono storicamente dalle file dei liberali, ma cio’ che non sopportavano, più che i privilegi di alcune classi, erano le diseguaglianze che da essi derivavano. Una volta constatato che anche la società liberale produceva diseguaglianze sostanziali non molto dissimili, si sono prontamente smarcati cercando di introdurre una serie di correttivi sociali attraverso forme di interventismo (redistribuzione del reddito e regolamentazione) in grado di rimediare ai difetti della società liberale. Procedevano spesso pragmaticamente valutando caso per caso e ponendo qua e là pezze di circostanza. Lo stato per loro è lo strumento essenziale col quale realizzare il progetto egalitario (che chiamano di pari opportunità per distinguersi dai socialisti). La concezione della libertà che sostengono è eminentemente positiva: un uomo è libero quando puo’ fare certe cose, e lo stato ha lo scopo di spianargli la strada quando non ce la fa da solo (“rimuovere gli ostacoli” dice la nostra Costituzione): se si decide che libertà è poter mangiare lo stato deve garantire cibo a tutti, se si decide che libertà è poter volare lo stato deve fornire ali a tutti.
3) I neo-liberisti nascono allorché la società liberal palesa delle chiare inefficienze (alta spesa pubblica, alta tassazione, burocrazia invasiva). I neo-liberisti chiedono meno regole e meno tasse a chi investe (i ricchi) ma, diversamente dai liberali classici, accolgono il principio di una rete di sicurezza purché sia uguale per tutti (tipo reddito minimo di cittadinanza). A volte questa rete è molto elevata, il che implica un’alta tassazione. Tanto per capirsi, un paese neo-liberista potrebbe essere la Danimarca: poche regole, privatizzazione diffusa dei servizi, economia estremamente aperta ma una rete di garanzie elevate per chi cade, il che implica tasse elevate (anche se non penalizzanti per i ricchi o le imprese: la progressività è inferiore anche rispetto agli USA e il carico fiscale per le imprese è minimo). Il neo-liberista è un razionalista e vede lo stato come uno strumento per realizzare il piano di una società improntata al mercato (ovvero all’efficienza economica), anche per questo l’eccessivo frazionamento dell’autorità politica (federalismo, associazionismo e corpi sociali intermedi) non è incoraggiato, il che lo espone all’accusa di “atomismo”.