sabato 31 maggio 2008

Che questo mondo rimanga: lo visiteremo insieme alle api

Yves Bonnefoy: le assi curve


Il Poeta sputa sulla terra di Cerere e spalma quel fango sulla tua palpebra basculante. Puoi di nuovo dischiuderla e scorgere cose rinnovate in quella campagna francese dove sei invitato a guardare e a bagnarti nella pioggia.

Passa un bimbo e ridiamo

"...ci piaceva il suo modo d' essere in ritardo
ma come è permesso
quando il tempo cessa..."

Lo pediniamo stregati

"... andava dove non è più nulla che si sappia...
accompagnato da un' ape..."

Sprofondati nella verzura ci aggrappiamo al filamento magnetico di certe prossimità

"...così vicino era quel seno al bisogno delle labbra..."

le preziose sorprese non lasciano vuoti, deambuliamo ubriachi col cuore stracolmo

"...ramo scostato per l' oro del fico maturo..."

la scelta dell' arredamento, uno scoglio dove si sono infrante inaffondabili transatlantici, inossidabili coppie: doppiato

"...i nostri mobili erano semplici come pietre... ci piaceva la crepa nel muro... una spiga da cui sciamavano mondi..."

Un silenzio tutto speciale in quella campagna d' oltralpe da cui emergono voci mai parlate

"... sentivamo la voce che vuole che si ami... come la sentono i delfini giocando nella loro acqua senza riva..."

Se il riposo è costruito con quelle assenze, non c' è fatica che osi ancora esistere

"... dormivamo non sapendoci... e come cercava il sogno nei nostri sonni!..."

Finalmente una bocca che parla, un orecchio che ascolta...

"... le nostre fronti si chinavano una verso l' altra avide di parole che volevamo dirci..."

Il Consiglio dei poeti si scioglie, ha deliberato, la seduta è tolta...

"... o terra,
segno disarmonico, sentieri sparsi...
...che questo mondo rimanga,
malgrado la morte,
stretta contro un ramo ascoltava imperturbabile l' oliva grigia...
la foglia perfetta orlava l' imminenza del frutto...
e tutto restò immobile ancora per un' ora...
l' assenza e la parola restarono unite per sempre nella cosa semplice..."

Fu una notte in cui si moriva con diletto...

"...dileguarsi... come lucentezza e acqua lasciano la mano su cui fonde la neve..."

Timorosi di aver troppo osato recitiamo una filastrocca apotropaica...

"... che le parole non siano
un giorno questi ossami
grigi, che avranno beccato,
gridando, litigando,
disperandosi,
gli uccelli, nostra notte nella luce..."


Poi un urlo che arresta la gravitazione dei pianeti...

"... come cessa il tempo quando si lava la piaga al bimbo che piange..."

Professiamo ancora l' ardente follia della fiducia...

"... con le nostre voci che s' impigliano nel nulla a chiamare un bambino che dovrà venire dal nulla... che attraverserà il fiume del nulla passando di barca in barca... ignario delle rive... annodando lo ieri, nostra illusione, al domani, nostra ombra..."

Istruiti a dovere godremo della bella perdita...

"...tutto cio' che fu così nostro... ma non è che questo cavo delle mani, dove acqua non resta... e possa essere il cielo il nostro modo d' essere... con ombra e colori che si lacerano... con nubi frettolose che hanno viso di bimbo appena nato... lineamenti distesi... prima di subire l' aggressione del linguaggio..."

Dalla penombra a misura d' uomo della campagna, scorgiamo meglio la sorte degli degli spacciati...

"... sposto con il piede, tra altre pietre, quella larga...
che copre Vite, forse... Ed è vero: numerose ne brulicano qui...
che corrono da ogni parte,
cieche per improvvisa troppa luce..."

Passeggiamo senza fretta "... al ritmo lento con cui la pioggia evapora dall' erba..."

si è fatto tardi, è tempo di pregare...

"Alba! Accettaci una volta ancora..."

Piove sulla nostra indifferenza concentrata ad analizzare la ricchezza della folgore che si diffonde nel primo mattino.

Dal fiume quancuno ci osserva ad occhi chiusi...

"... pietre... a cui la corrente ha chiuso gli occhi nella stratta della sabbia..."

Noi retori, arrivati a questo punto della notte...

"... seguiamo la nuda parola con il disarmo e la fiducia dell' agnello a cui si reciderà l' arteria..."

Fermi a decifrare il messaggio dell' uggiosa pioggierella gelata dell' alba...

"... sillaba breve, sillaba lunga, esitazione del giambo...
mentre si prepara il respiro che vorrebbe accedere a cio' che significa..."

Tacere riposati nelle parole di una volta, quelle parlate assolvendo ad un dovere che oggi ci appare improbo... parole...

"... meravigliose e sorprendenti come la neve, quella che cade leggera e non dura..."

Ecco il mattino, alziamo grati gli occhi con un sincronismo senza premeditazione: "lancia il suo brillio finale una stella senza significati da porgerci".

Montiamo la guardia decisi a

"...non abbandonare le parole a chi cancella..."

a bruciarci le labbra non resta che quella parola... e pensare che...

"... avevamo creduto conducesse lontano il sentiero che invece si perde nelle evidenze..."

Poi Yves Bonnefoy mi guarda e con calma espressiva mi espone la sua teologia; si parla di un Dio che passa il suo tempo a stupirsi dell' uomo, a pregarlo in silenzio, a scrutarlo di soppiatto, ad invidiarlo...

"... lì dove il seno si gonfia nel marmo
si meravigliò dello scultore...

... guardando un artigiano accanirsi su un pezzo di legno per scavarne l' immagine del suo dio, dalla quale si attendeva che prosciugasse l' angoscia d' essere...
provò per questa goffaggine un sentimento nuovo... ebbe desiderio di andare presso di lui... nella materia in cui vacilla la speranza... e si appesantì in quel legno abbandonandosi in balia al sogno dell' artista maldestro... da quella nuova immagine attende la sua liberazione... greve è su di lui l' umile pensiero dell' uomo e greve è su di lui lo sguardo appassionato della sua creatura..."


Resi ipersensibili ai significati non osiamo tentare un congedo parlato...

"... ormai è come se le parole fossero un lebbroso...
di cui sentiamo da lontano tintinnare la campanella..."