giovedì 22 maggio 2008

La fabbrica degli autistici

Come se non bastasse si scopre che Thomas Sowell è anche l' anima di una fondazione a supporto dei bambini late-speaking.

Nel raccontare la sua esperienza focalizza il punto centrale dei suoi sforzi: raschiare via dalla fronte di questi bambini l' etichetta di "autistici".

Ci sono almeno due cause che motivano il suo zelo: la prima è perchè spesso non si tratta affatto di bambini autistici. La seconda è inerente ai danni che procura un simile merchio: deprime i genitori, incanala i bambini in cicli terapeutici estranei a loro reali bisogni.

Eppure sono in molti i professionisti affezionati alla parolina e desiderosi di affibbiarla a quanta più gente possibile senza star lì tanto a sottilizzare. Anche per questo hanno tirato fuori dal cilindro il classico illusionismo linguistico: "autism spectrum". Lo "spettro", manco a dirlo, è vago e tende all' infinito, un po' come se i miopi fossero nel "blindness spectrum".

La possibilità di essere tratti in inganno nella diagnosi non sembra toccare a fondo la gran parte dei professionisti. Eppure questo rischio c' è. Tanto per fare un esempio, alcuni studiosi hanno notato comportamenti pseudo-autistici tra i bambini molto dotati. Un nome? Ellen Winner: spesso giocano soli, amano la solitudine, hanno interessi ossessivi e una memoria prodigiosa.

TS si rattrista parecchio quando nota che molti genitori insistono affinchè i loro bambini vengano considerati autistici contro ogni evidenza. Ma li capisce, è un peccato perdersi gli aiuti governativi. Che si debba anche a questo il poderoso incremento della sindrome? Anche così opera la fabbrica degli autistici in USA. Con questa amara considerazione, TS torna per un attimo economista.

A p. 288 di EWW, TS racconta la storia di Billy (un playboy dodicenne al quale era stata diagnosticata una vita grama e senza matrimonio).