In un secolo di duro lavoro, le nostre migliori intelligenze hanno partorito l' analisi della "domanda" e dell' "offerta". Mica male.
I frutti di un simile sforzo sono insegnati come routine nella prima settimana di un corso qualunque di economia.
Al termine di quella settimana si procede oltre con sempre nuovi argomenti.
Se le proporzioni sono queste, come pretendere che un novizio "riscopra", giusto con l' aiuto di un "facilitatore", cio' che è costato tanto sforzo ai "migliori" esperti della materia? Se vogliamo che languisca sull' ABC per un paio d' anni, forse abbiamo imboccato la via giusta.
Ma forse è meglio mettere sotto la cattedra una pedana bella alta e fare in modo che l' insegnante spieghi e l' allievo ascolti dal suo banchetto. Almeno nella fase iniziale.
Una volta che "sa", lo studente avrà anche modo, qualora sia realmente interessato alla materia, di "assimilare", di "penetrare a fondo", di trarne le implicazioni.
Non parlo da esperto, eppure l' intuito mi fa aderire alla posizione che Thomas Sowell descrive nei capitoli dedicati all' educazione del suo EWW.
Sarà perchè all' autoscuola non mi hanno messo sulla strada facendomi scoprire "per tentativi" come si porta una macchina nel traffico. E nonstante cio', sono un discreto pilota.
Per quanto l' empatia con TS possa traviarmi, rimarrei volentieri aperto anche alle pedagogie "discover by doing". E' così bello e onesto non giudicare a priori.
Rinuncio al giudizio a priori ma mi piacerebbe tanto poter perlomeno giudicare a posteriori, ovvero in base ai risultati.
Purtroppo il "giudizio in base ai risultati" sulla scorta di prove standard elaborate da soggetti indipendenti, è l' ultima cosa a cui ambiscono i sostenitori del DD. Va da sè che spesso l' esame finale è visto di cattivo occhio, come qualcosa di falsante e perturbante. Non parliamo poi dei test, vero demonio ingannatore.
Devo ammettere che questa renitenza è già un mezzo verdetto ai miei occhi.
La conoscenza non si giudica! Chissà se è vero.
Di sicuro, se non si giudica la conoscenza acquisita dagli allievi, non potranno mai essere giudicati nemmeno i professori. Ai maligni potrebbe cominciare a chiarirsi il fervore con cui una certa classe docente abbraccia i principi dell' insegnamento creativo.
Astenersi dal giudicare il docente in base ai risultati, non conviene a tutti. Qualcuno dovrebbe farsi sentire. I migliori potrebbero recalcitrare.
Conviene però alla parte sindacalizzata del corpo docente. Il motivo è cristallino: ogni differenzizione introdotta minerebbe la possibilità di avere sindacati coesi ed influenti.
Inoltre l' elite che più pesa nella classe degli insegnanti è anche quella più esperta, di lungo corso e saldamente inserita nel sistema. Perchè a quel punto della loro carriera dovrebbero spingere un sistema che premi i migliori anzichè gli anziani? Molto meglio procedere in modo che i fallimenti educativi non abbiano conseguenze su carriere già tanto avanzate.
TS parla della pedagogia creativa come di qualcosa che gli USA conoscono molto bene, forse è nata proprio lì. La sua levatrice probabilmente è stato l' influente filosofo John Dewey: bando al "teaching to the test" e via libera all' aspetto "socializzante" dell' insegnamento; la scuola doveva diventare una società in miniatura.
Già l' Unione Sovietica negli anni 20 e 30 si è dimostrata ricettiva rispetto al verbo, e il suo messia benediva il tutto con queste parole: "... quali meravigliosi sviluppi grazie ai metodi progressisti che il governo sovietico sostiene nell' ambito dell' educazione...".
La "partecipazione" dello studente "socializzato" mandava in brodo di giuggiole gli educatori progressisti.
Solo che spesso si traduceva in un insegnamento che dal "come pensare" svoltava pericolosamente verso il "cosa pensare".
Allora ecco lo studente sempre alle prese con una petizione, con una esaltazione di enfatici ideali, con una condanna per le brutture della guerra ecc. Il "cosa pensare", inevitabilmente, finiva per avvicinarsi molto all' ideologia del corpo docente, la quale tendeva stranamente a coincidere con quelle di lassù.
Purtroppo i risultati educativi non furono all' altezza e il regime si liberò in quattro e quattr' otto di quell' impostazione.
Lo stesso avvenne nella Cina maoista tra i 50 e i 60: via gli esami, esiti fallimentari e pronta restaurazione.
Ma Cina e URSS non avevano mica i sindacati indipendenti degli insegnanti! Potevano permettersi una provvidenziale marcia indietro.
Purtroppo le barriere tra scuola e società che Dewey voleva abbattere avevano una una ragione per esistere: la scuola non è una società ma un posto "specializzato" nel preparare chi deve entrare in società. Proprio come il simulatore all' autoscuola mi prepara a scendere in pista. Se non si tiene conto della differenza tra un videogioco e la realtà si finisce sempre fuori strada.
Per meglio considerare se sia possibile una valutazione significativa e standardizzata dello studente a posteriori, mi sembra la questione cruciale, sono di recente usciti due volumi che ho intenzione di leggere: questo e quest' altro. Sono forse destinato a ritirare il mio appoggio alla visione di TS? Ai posteri.
I frutti di un simile sforzo sono insegnati come routine nella prima settimana di un corso qualunque di economia.
Al termine di quella settimana si procede oltre con sempre nuovi argomenti.
Se le proporzioni sono queste, come pretendere che un novizio "riscopra", giusto con l' aiuto di un "facilitatore", cio' che è costato tanto sforzo ai "migliori" esperti della materia? Se vogliamo che languisca sull' ABC per un paio d' anni, forse abbiamo imboccato la via giusta.
Ma forse è meglio mettere sotto la cattedra una pedana bella alta e fare in modo che l' insegnante spieghi e l' allievo ascolti dal suo banchetto. Almeno nella fase iniziale.
Una volta che "sa", lo studente avrà anche modo, qualora sia realmente interessato alla materia, di "assimilare", di "penetrare a fondo", di trarne le implicazioni.
Non parlo da esperto, eppure l' intuito mi fa aderire alla posizione che Thomas Sowell descrive nei capitoli dedicati all' educazione del suo EWW.
Sarà perchè all' autoscuola non mi hanno messo sulla strada facendomi scoprire "per tentativi" come si porta una macchina nel traffico. E nonstante cio', sono un discreto pilota.
Per quanto l' empatia con TS possa traviarmi, rimarrei volentieri aperto anche alle pedagogie "discover by doing". E' così bello e onesto non giudicare a priori.
Rinuncio al giudizio a priori ma mi piacerebbe tanto poter perlomeno giudicare a posteriori, ovvero in base ai risultati.
Purtroppo il "giudizio in base ai risultati" sulla scorta di prove standard elaborate da soggetti indipendenti, è l' ultima cosa a cui ambiscono i sostenitori del DD. Va da sè che spesso l' esame finale è visto di cattivo occhio, come qualcosa di falsante e perturbante. Non parliamo poi dei test, vero demonio ingannatore.
Devo ammettere che questa renitenza è già un mezzo verdetto ai miei occhi.
La conoscenza non si giudica! Chissà se è vero.
Di sicuro, se non si giudica la conoscenza acquisita dagli allievi, non potranno mai essere giudicati nemmeno i professori. Ai maligni potrebbe cominciare a chiarirsi il fervore con cui una certa classe docente abbraccia i principi dell' insegnamento creativo.
Astenersi dal giudicare il docente in base ai risultati, non conviene a tutti. Qualcuno dovrebbe farsi sentire. I migliori potrebbero recalcitrare.
Conviene però alla parte sindacalizzata del corpo docente. Il motivo è cristallino: ogni differenzizione introdotta minerebbe la possibilità di avere sindacati coesi ed influenti.
Inoltre l' elite che più pesa nella classe degli insegnanti è anche quella più esperta, di lungo corso e saldamente inserita nel sistema. Perchè a quel punto della loro carriera dovrebbero spingere un sistema che premi i migliori anzichè gli anziani? Molto meglio procedere in modo che i fallimenti educativi non abbiano conseguenze su carriere già tanto avanzate.
TS parla della pedagogia creativa come di qualcosa che gli USA conoscono molto bene, forse è nata proprio lì. La sua levatrice probabilmente è stato l' influente filosofo John Dewey: bando al "teaching to the test" e via libera all' aspetto "socializzante" dell' insegnamento; la scuola doveva diventare una società in miniatura.
Già l' Unione Sovietica negli anni 20 e 30 si è dimostrata ricettiva rispetto al verbo, e il suo messia benediva il tutto con queste parole: "... quali meravigliosi sviluppi grazie ai metodi progressisti che il governo sovietico sostiene nell' ambito dell' educazione...".
La "partecipazione" dello studente "socializzato" mandava in brodo di giuggiole gli educatori progressisti.
Solo che spesso si traduceva in un insegnamento che dal "come pensare" svoltava pericolosamente verso il "cosa pensare".
Allora ecco lo studente sempre alle prese con una petizione, con una esaltazione di enfatici ideali, con una condanna per le brutture della guerra ecc. Il "cosa pensare", inevitabilmente, finiva per avvicinarsi molto all' ideologia del corpo docente, la quale tendeva stranamente a coincidere con quelle di lassù.
Purtroppo i risultati educativi non furono all' altezza e il regime si liberò in quattro e quattr' otto di quell' impostazione.
Lo stesso avvenne nella Cina maoista tra i 50 e i 60: via gli esami, esiti fallimentari e pronta restaurazione.
Ma Cina e URSS non avevano mica i sindacati indipendenti degli insegnanti! Potevano permettersi una provvidenziale marcia indietro.
Purtroppo le barriere tra scuola e società che Dewey voleva abbattere avevano una una ragione per esistere: la scuola non è una società ma un posto "specializzato" nel preparare chi deve entrare in società. Proprio come il simulatore all' autoscuola mi prepara a scendere in pista. Se non si tiene conto della differenza tra un videogioco e la realtà si finisce sempre fuori strada.
Per meglio considerare se sia possibile una valutazione significativa e standardizzata dello studente a posteriori, mi sembra la questione cruciale, sono di recente usciti due volumi che ho intenzione di leggere: questo e quest' altro. Sono forse destinato a ritirare il mio appoggio alla visione di TS? Ai posteri.