I valori estetici sono oggettivi?
Confrontando Bach e certi insulsi cantanti pop non sembra esistano dubbi ma poi, quando si va a fondo, cominciano ad emergere e presto ci si impantana. Qui faccio un tentativo di uscire dalle sabbie mobili. Non è facile perché bisogna farsi innanzitutto un’idea di cosa siano l’arte e la bellezza: hai detto poco!
Poniamo che, dopo aver sempre vissuto in isolamento stile Kaspar Hauser, vogliate sapere cos’è un corvo e, per il prestigio di cui gode, vi rivolgete alla “scienza” che vi fornisce una descrizione minuta dell’oggetto di vostro interesse. Domanda: dopo aver assimilato la lezione della scienza potrete forse dire di sapere tutto del corvo?
No, non saprete nemmeno, per esempio, che un corvo è nero!
Perché? Perché non sapete cosa sia la “nerezza” di un corvo, la scienza non ve l’ha spigato: la “nerezza” si vede, non si descrive scientificamente. La “nerezza” ha bisogno di vita, non di scuola. Lo scienziato, al limite, avrà parlato di lunghezze d’onda e di frequenze emanate dalle penne del corvo ma voi non vi sarete fatti alcuna idea della “nerezza” poiché tra il colore nero e le frequenze d’onda c’è un abisso (“fossato galileiano”). A questo punto vi rivolgerete allo psicologo il quale vi consiglierà, per completare la vostra conoscenza del corvo, di guardarne uno direttamente.
In genere si dice che il corvo di cui parla la scienza è un oggetto primario mentre il suo colore (la “nerezza”) è un oggetto secondario percepito direttamente dalla mente. “Direttamente” significa che non è “rappresentabile”, per questo la scienza non ne parla. Ma come possono convivere due oggetti (primario e secondario) in un unico oggetto? Avete presente quei disegnini in cui sembra sia rappresentato un certo soggetto ma poi a guardar bene ne è rappresentato anche un altro? Avete presente i quadri dell’Arcimboldo? Ecco, la cosa puo’ aiutare per comprendere come nello stesso oggetto ne possano convivere almeno due.
Ora che avete afferrato anche le qualità secondarie del corvo potete dire di averne una conoscenza completa? No, un corvo puo’ essere anche bello, puo’ essere un oggetto estetico, puo’ essere cioè unoggetto terziario. In altri termini, nello stesso oggetto ne possono convivere non die ma addirittura tre!
Anche nel caso degli oggetti terziari non basta la descrizione per farsene un’idea, occorre un’esperienza ben precisa, occorre un accesso diretto: io posso anche parlare di corvi e di grano, posso anche farveli vedere nel dettaglio in modo tale che vi rendiate conto anche del loro colore ma per farvi capire quanto possano essere “belli” occorre che voi facciate un’esperienza particolare, per esempio mettendovi di fronte a un quadro di Van Gogh. Van Gogh non è interessato agli oggetti primari e secondari ma solo ai terziari, si concentra su quelli facendoveli percepire. Posso mettervi davanti tutti i corvi del mondo ma senza sperimentare un’opera d’arte difficilmente ne sperimenterete mai la bellezza.
Ricapitolando: la scienza si occupa di oggetti primari, la psicologia di oggetti secondari e l’estetica di oggetti terziari. Esempio: certe onde sonore (fisica) a contatto con il nostro orecchio generano dei suoni (psicologia) che generano la musica (estetica).
Ora sappiamo che la bellezza è la proprietà di un oggetto (terziario) ma per concludere se sia o meno “oggettiva” occorre andare ben oltre. Occorre definirla meglio, per esempio. Qui avanzo l’ipotesi che più mi ha convinto: la bellezza è l’oggetto terziario che emerge in un’esperienza artistica e che coincide con altri oggetti terziari emersi nel corso della mia esperienza di vita. L’arte, infatti, non ha l’esclusiva degli oggetti terziari: non è necessario essere in un museo con grandi capolavori per sperimentare qualcosa di simile alla bellezza, il nostro mondo emotivo, per esempio, ce la offre tutti i giorni: in un sogno, in una persona, in una gita, in un incontro, in un gioco…
Se questa definizione di bellezza funziona possiamo dire che la sua percezione implica sempre un’identificazione: la bellezza di un’opera mi emoziona poiché mi richiama alle mie esperienze di vita più profonde.
Ma tornando alla nostra domanda di partenza un’ osservazione s’impone: poiché nella vita ciascuno fa esperienze differenti, nell’arte ciascuno troverà la bellezza in posti differenti. E siamo così in pienorelativismo estetico.
Per poter dire che esistono dei valori estetici oggettivi occorre allora che esista la “vita buona”ovvero una vita (oggettivamente) ideale che ci faccia percepire i “giusti” oggetti terziari in modo da poter isolare la bellezza oggettiva: chi conosce il bene, conoscerà meglio il bello. Qui capiamo meglio come relativismo etico e relativismo estetico viaggino quasi sempre in coppia.
Nessuno vive una “vita buona” integrale ma tutti noi, spero, ne abbiamo vissuto dei frammenti: anche il criminale che si pente, nel momento del pentimento, vive un frammento di “vita buona”. In questo senso l’accesso alla bellezza non è negato a nessuno.
Ma una persona malvagia puo’ produrre bellezza? Sotto il nazismo è stata creata bellezza? Come giudicare l’opera di Leni Riefenstahl? Qui le cose si complicano .