venerdì 28 marzo 2008

Corto circuiti: contro l' "aziendalizzazione" della scuola in nome della...responsabilità!? (4)

Israel chiude con fragore la saracinesca rinviando ai suoi libri, ripetendo sia gli insulti che l' unico concetto ma, a mio avviso, senza minimamente considerare le repliche.


È una discussione inutile, sterile. Lei continua a dare per ovvio che le sue caratterizzazioni dell'azienda sono necessarie e sufficienti a definire la scuola come tale. È come se si dovesse discutere se un teorema sia vero assumendo come premessa che è vero. Basta poi l'affermazione: "che l’ economista rivendichi un suo dominio intellettuale sulle altre discipline è un fatto tecnico". Un economista serio si vergognerebbe di dire che lui ha un dominio intellettuale sulle altre discipline perché gli verrebbero attaccati (giustamente) i barattoli dietro.


Ed ecco la mia replica insolitamente calma (ne vado molto orgoglioso).


Professore, lei in molti casi, molto semplicemente, si arrabbia avendo travisato il senso di parole che invitavo per precauzione inutile a non travisare.

Per esempio quando parlavo di “dominanza intellettuale”.

Probabilmente è colpa mia visto che ne parlavo solo di passaggio senza le dovute precisazioni. Ma lascio cadere questa questione perché poco pertinente al cuore del discorso.

La cosa singolare è che lei insiste dicendo che assumo come “ovviamente benefica l’ aziendalizzazione”.

Resto stupito visto che mi sono preso la briga di ELENCARE ALMENOo 6 (SEI) condizioni in presenza delle quali l’ aziendalizzazione risulterebbe faticosa quando non impossibile. Sono condizioni chiare, sono condizioni per la verifica delle quali sarebbe facilissimo stendere un protocollo di sperimentazione e avere l’ esito.

Popper sarebbe abbastanza soddisfatto, invece lei insiste (ma mi avrà letto?) nel dire che per me “è tutto ovvio” e si deve solo procedere.

Riproduco qui il paragrafo passato inosservato e riguardante i vincoli.

[…Tanto per fare qualche esempio. Se i soggetti in ballo in questo gioco fossero "sistematicamente irrazionali" (e molti psicologi lo sostengono, vedi Kahnamen), l´ incentivazione e la responsabilizzazione avrebbero effetti perversi, sarebbe assurdo insistere su una logica aziendale. Se i soggetti non presentassero un movente almeno vagamente egoista, l’ aziendalizzazione non servirebbe a niente (ai santi non servono incentivi). Se i benefici forniti dalla scuola non fossero in qualche modo "misurabili" non avrebbe alcun senso "aziendalizzare". Se il soggetto pubblico è afflitto da storture istituzionale ed esprime delle volontà che nulla hanno a che fare con la produzione di beni pubblici, allora sarebbe addirittura pericoloso "aziendalizzare" (poiché l´ agenzia è particolarmente efficiente nel servire l´ utenza, sarebbe ancora più minacciosa qualora i desideri dell´ utenza fossero distorti). Se la struttura delle relazioni nella realtà che si vuole "aziendalizzare" è di tipo "one shot", allora meglio rinunciarvi o agire con la massima prudenza. Se invece l´ interazione tra i soggetti implicati è continua ed evolutiva, allora il terreno è più fertile...]


Tra un invito alla modestia, uno alla vergogna, una rinfrescata di economia aziendale a cura di un eccellente critico di letteratura mitteleuropea, un’ ammonizione a non bollare la Arendt come “superata” (avevo solo detto che non poteva tener conto dell’ opera di studiosi – e ho citato di passaggio due Nobel – venuti dopo di lei) , lei ha pure tirato fuori qualche argomento che mi incuriosisce:

“…ci sono solo giudizi qualitativi intersoggettivi che possono esprimersi in limitate forme quantitative…”

Non capisco bene quali siano le caratteristiche di questi giudizi (non sono cardinali? Non sono ordinabili? Non sono confrontabili?...), sicuramente lo apprenderò dalla lettura del suo ultimo libro, perché se quelle “limitate forme quantitative” sono limitate al punto da essere irrilevanti, allora potrebbero effettivamente mettere in discussione una delle sei caratteristiche. Come vede non è tutto “ovvio”.

Certo che senza la possibilità di “ordinare” (condizione necessaria e sufficiente) siamo in panne… niente aziendalizzazione: stipendi uguali per tutti, carriere automatiche, centralizzazione compulsiva, limiti alla sperimentazione, finanziamenti a pioggia, meriti non compensati e una responsabilizzazione rilevante solo per i Santi, ovvero per coloro che la sentono in assenza di qualsiasi incentivo.

Naturalmente poi ci sono i fatti, e sui successi dell’ aziendalizzazione (o responsabilizzazione) della scuola mi è difficile riferire poiché non riesco a mettere i link.

Prendiamo, che ne so, i licei di New York. La crema è rappresentata in larga parte dal privato (si paga, proprio come si paga l’ azienda!), almeno 13 Licei privati sono considerati d’ eccellenza. Il loro costo è elevatissimo (dai 25 ai 30 mila dollari). Si discute molto se una simile realtà sia equa ma si discute mooolto meno sulla qualità dell’ istruzione impartita là dentro ai futuri nobel e presidenti della repubblica! Se poi andiamo ai Licei pubblici, nel disastro generale, ne svettano due o tre. Uno è lo Stuyvesant (http://en.wikipedia.org/wiki/Stuyvesant_High_School). Gratis, paga l’ utente pubblico. Eppure anche lì i criteri di incentivazione, valutazione e differenziazione trovano ampia applicazione. A partire dall’ ammissione (100 allievi ogni anno su 20.000 richieste). Si puo’ parlare anche di Finlandia (generalmente considerato il paese con i migliori risultati in ambito scolastico). La fetta di privato non è ampia ma la decentralizzazione (elemento centrale per una concorrenza) e l’ autonomia (elemento centrale per l’ innovazione) sono fortissimi visto che l’ intero sistema scolastico è per lo più su base comunale…

Nota bene che non parlo dell' Università, lì non ci sarebbe proprio storia.

Corto circuiti: contro l' "aziendalizzazione" della scuola in nome della...responsabilità!? (3)

Girgio Israel ci dedica ancora parte del suo tempo. E ce lo fa pesare un casino, ma lui è fatto così. intanto noi, finchè il grasso cola, ce lo succhiamo. Eccolo, più spinoso e tormentato che mai.

Claudio Magris: «... l’imperante economicismo, che crede di poter trasformare di colpo le università in imprese, produce l'effetto contrario. L’impresa ha la sua logica e la sua peculiarità e proprio per questo non ogni cosa è un’impresa. Una famiglia, una fabbrica di scarpe e una brigata alpina devono essere tutte gestite con oculatezza economica, senza sprechi e facendo quadrare i bilanci, ma senza scordare che il fine della fabbrica di scarpe e il profitto, il quale invece per la famiglia e per la brigata alpina – e anche per l’università – è un mezzo necessario per realizzare altri fini. La Fiat è un’azienda, l’Italia o la Chiesa no, e ciò non significa sottovalutare la dignità della Fiat. Una cultura d’impresa inoltre non si crea per decreto o vezzo intellettuale. Le università americane hanno dei patrimoni che investono, ma non passano tutto il tempo a parlare di investimenti, anche quando è il momento di parlare di filologia classica o di odontoiatria. Da noi invece le università, strangolate dalla povertà di mezzi che spesso le priva delle più elementari attrezzature scientifiche e assordate dall’aziendalismo ideologico, parlano solo di soldi senza produrli».

Lei continua a fare un discorso autoreferenziale. Concepisce, forse senza rendersene conto, l'azienda come l'unica dimensione possibile e quindi si chiede - ovviamente - come la scuola possa non esserlo.

«Quanto al “senso” del termine “aziendalizzazione”, con tutti i miei limiti, penso di conoscerlo abbastanza visto che lo impiego all’ interno della disciplina che lo ha coniato», Già ma provi a uscire un momento da questo contesto e a chiedersi se esistano altre dimensioni che in esse non rientrano. Se lei cita un economista sull'aziendalizzazione di agenzie pubbliche e lo applica alla scuola, da per scontata la tesi... È un elementare circuito logico.

«Mi rimane invece il dubbio che il senso originario abbia subito delle storpiature nel passare in altri “ambiti”, magari distanti dalla disciplina che lo impiega nel senso originario». Già, ma perché deve per forza passare in altri ambiti?... Provi a cambiare occhiali e a chiedersi se il mondo non contiene per caso qualcosa di più che aziende.

«Quindi la scuola non ha né obiettivi pubblici né obiettivi privati da perseguire?»

Sì, ma non sono obbiettivi assimilabili alla produzione di oggetti o al conferimento di servizi. È trasmissione di educazione e di cultura, che non sono oggetti o servizi, tantomeno misurabili in termini monetari.

«Quindi la scuola non produce né costi né benefici? Quindi in ambito scolastico è superflua ogni forma d’incentivo?»

Sa che una condizione necessaria non è anche sufficiente? Altro elementare errore logico. Aspetti che sono tipici dell'azienda - e magari la definiscono - non è detto che bastino a definire la scuola o la Chiesa. Per esempio un insuccesso scolastico di un alunno non implica affatto un fallimento della scuola o un errore dell'insegnante, come credono invece certi ottusi tecnocrati che stanno in tal modo deresponsabilizzando studenti e famiglie.

«Quindi nella scuola non c’ è possibilità di individuare uno scambio tra corpo docente e allievi?»

Sì, ma è un rapporto di persone che non si riduce minimamente a uno scambio di merci o di servizi. Sto per andare a lezione e so di non prestare affatto un servizio, ed è proprio per questo che potrò essere un buon insegnante.

«Quindi nella scuola non ha senso il tentativo di progettare azioni razionali anche solo in forma limitata?»

Ho passato una vita a lavorare sul concetto di razionalità e quello di cui lei parla, legato alla filosofia utilitarista, è una aspetto minimale e ridottissimo delle funzioni della ragione. Mi viene voglia di citare il discorso di Ratisbona....

«Oppure in questo ambito non ha alcun senso “misurare” le grandezze a cui accennavo e una misura vale l’ altra?»

Non ci sono grandezze che si misurano, ci sono soltanto "giudizi" qualitativi intersoggettivi che possono, riflettendo l'esperienza dell'insegnante, esprimersi in limitate forme quantitative. La misurazione delle qualità è una cialtronata fallimentare di quella pseudoscienza che va sotto il nome di docimologia.

«Se le nostre scuole sono dei diplomifici in cui irrompono genitori isterici è per altri motivi (obbligatorietà della scuola, valore legale del titolo di studio, fallimento dell' utenza pubblicas, mancanza di un college premium sul mercato del lavoro…) »

Questa - me lo lasci dire - è una sciocchezza assoluta che dimostra che lei non ha la minima idea di cosa accade nel mondo della scuola e dell'università e delle loro funzioni sociali. Bisognerebbe rendere la scuola non obbligatoria?... Ma per favore...

«io “chiedevo”, e senza alcuno spirito polemico »

Vede, non mi dica che non sono disponibile a impiegare tempo per rispondere. Ma non pensa che anche lei dovrebbe impiegare qualche tempo a leggere quello che è stato scritto sulla scuola, modestamente e senza pregiudizi, invece di pensare di poter risolvere i massimi sistemi con quattro chiacchiere? Non dico leggere i miei libri, ma per esempio quelli che ho citato nell'articolo su L'Occidentale e tanti altri scritti. E non bollare le riflessioni di Hannah Arendt come superate (dachi, poi?) senza neppure averle lette né sapere di cosa parlano.
Vede - e non la prenda come polemica, vista l'attenzione che le sto dedicando - questi atteggiamenti sono anche un termometro di come si sia perso il senso di cos'è la cultura.
Che è in primo luogo: riflessione, lettura, modestia, non credere di poter traslare le proprie conoscenze dappertutto come chiave del mondo, uscire dal proprio guscio.

Anche finod (la cui storia non conosco) ha ritenuto di prendere la parola, ecco il suo contributo:

io trovo tutto questo un po' surreale: "il genitore (utente) andrebbe semmai a prendere a schiaffi il professore perché suo figlio non ha superato i test di ammissione dell’ Università prestigiosa (prodotto avariato)"... ma in un caso del genere questo genitore non dovrebbe prendere a schiaffi (mi auguro metaforici) suo figlio al posto del professore? O magari se stesso, perché ha spinto suo figlio a cercare di entrare in una facoltà per cui non è portato?

Ora la mia replica.



Caro Finod, quindi tu “trovi surreale” un sistema d’ incentivi per cui un genitore chieda alla scuola frequentata dal figlio di fornire una preparazione adeguata allo stesso affinchè costui possa affrontare preparato i test d’ ammissione in un’ Università prestigiosa?

Cosa vorresti in alternativa, forse che il genitore chieda il pezzo di carta e faccia la piazzata se non l’ ottiene? E’ questo un mondo reale e fornito dei corretti incentivi.

Caro professore. Mi scusi se accenno ad un paio di risposte anche si in difetto rispetto alla lettura completa della sua produzione.

Le chiedo solo di considerare gli argomenti. Quanto al tono, non posso parlarle direttamente, ma le assicuro che è modesto e umile come vuole lei.

Il fatto che l’ economista rivendichi un suo dominio intellettuale sulle altre discipline è un fatto tecnico, mica una questione di modestia personale.

L’ azienda ha come FINE la realizzazione di un profitto. Vero (anche se Magris non mi sembra sia sul punto una fonte particolarmente autorevole).

Il profitto è correlato con la soddisfazione del consumatore (il nostro prossimo).
La soddisfazione del nostro prossimo è legata ai suoi FINI.

In ultima analisi tutto è legato ai fini del consumatore.

Nel caso della scuola il consumatore è costituito dal SOGGETTO PUBBLICO e dalle FAMIGLIE.

Il “profitto” della scuola è dunque legato in ultima analisi AI FINI DEL SOGGETTO PUBBLICO E DELLE FAMIGLIE.

Cosa c’è è che non va? Non è proprio il mondo che vogliamo quello in cui vengono serviti al meglio i fini del soggetto pubblico e delle famiglie?
L’ azienda NON E’ AFFATTO L’ UNICA DIMENSIONE POSSIBILE (quindi non colgo l’ accusa di autoreferenzialità)!!

Tanto per fare qualche esempio. Se i soggetti in ballo in questo gioco fossero “sistematicamente irrazionali” (e molti psicologi lo sostengono), l’ incentivazione e la responsabilizzazione avrebbero effetti perversi, sarebbe assurdo insistere su una logica aziendale. Se i benefici forniti dalla scuola non fossero in qualche modo “misurabili” non avrebbe alcun senso “aziendalizzare”. Se il soggetto pubblico è afflitto da storture istituzionale ed esprime delle volontà che nulla hanno a che fare con la produzione di beni pubblici, allora sarebbe addirittura pericoloso “aziendalizzare” (poiché l’ agenzia è particolarmente efficiente nel servire l’ utenza, sarebbe ancora più minacciosa qualora i desideri dell’ utenza fossero distorti). Se la struttura delle relazioni nella realtà che si vuole “aziendalizzare” è di tipo “one shot”, allora meglio rinunciarvi o agire con la massima prudenza. Se invece l’ interazione tra i soggetti implicati è continua ed evolutiva, allora il terreno è più fertile…

Potrei proseguire ma mi fermo qui.

Cinque esempi che ci indurrebbero a rinunziare, penso che siano sufficienti per scrollarmi di dosso una volta per tutte l’ accusa di autoreferenzialità.
Non c’ è alcun "circuito logico perverso" visto che formulo delle ipotesi verificabili che se verificate porterebbero ad abbandonare il progetto.
Potrei fare degli esempi. Facciamo il caso della difesa, il quinto requisito è problematico, Cio’ rende l’ “aziendalizzazione” sconsigliabile se non sotto molti vincoli.

Lei dice che la “trasmissione di cultura” non è assimilabile a un servizio. Sarebbe così se un’ operazione del genere non fosse misurabile in alcun modo. Se i soggetti utenti (Pubblico+famiglie) non potessero in nessun modo valutare l’ arricchimento che deriva da simili relazioni. Se non esistessero proxy credibili in merito. Vede come non sono affatto autoreferenziale?

Ho citato alcune caratteristiche che assimilano la scuola ad un’ azienda (con utenza pubblica). Lei dice che sbaglio poiché considero solo le “condizioni necessarie”. Ma questo è semplicemente falso, io considero quel pacchetto di condizioni “necessario E sufficiente” per procedere con forme di aziendalizzazione. Ripeto: un’ azienda con UTENZA PUBBLICA (oltreché privata).

A proposito di “problemi con la logica”, c’ è un passaggio abbastanza chiaro.

Io dicevo: “«Se le nostre scuole sono dei diplomifici in cui irrompono genitori isterici è per altri motivi (obbligatorietà della scuola, valore legale del titolo di studio, fallimento dell' utenza pubblica, scarsa considerazione del curriculum scolastico sul mercato del lavoro, mancanza di un college premium sul mercato del lavoro…) »

Al che lei mi risponde: “…questa è una sciocchezza… bisognerebbe forse rendere la scuola non obbligatoria…”.

E’ una reazione completamente incongrua rispetto alla mia affermazione, mi mette in bocca qualcosa che non ho detto nè implicato.

Se dico che l’ “obbligatorietà della scuola” (magari fino a 18 anni) CONTRIBUISCE, in misura che non specifico, ANCHE al presentarsi di inconvenienti (il genitore reagisce perché vuole il figlio al lavoro e vede nella scuola una resistenza), lei, senza un nesso, mi rimprovera quasi di voler abolire l’ obbligatorietà! E' come se lamentandomi di un mal di testa lei mi dicesse che sono pazzo a volermela tagliare. Il mio sguardo si farebbe interrogativo.

Naturalmente il progetto di costruire delle Agenzie per la fornitura di servizi pubblici non è fondato esclusivamente su una razionalità utilitarista (come lei sembra affermare). Anzi, il ruolo principale è rivestito da razionalità differenti, di stampo evolutivo, un certo grado di autonomia serve proprio a quello (sull’ aziendalizzazione evolutiva vedi Simon, Hayek…e mi limito ai primi due Nobel che rammento e che si sono dedicati a questo tema).

Vede professore, “traslare le proprie conoscenze in altri ambiti” non mi sembra affatto presuntuoso, specie se in passato molti successi ci hanno arriso.

Le parlavo dell’ Agenzia delle Entrate. Faccio ora un altro esempio.

All’ economista recentemente, davanti allo sfacelo della giustizia, è stato richiesto - da qualche folle lei penserà - di “entrare in tribunale” (come ha già fatto da molto tempo nei paesi che ci sopravanzano).

Nel farlo ovviamente si avvale di esperti del settore. A loro chiede “ha senso dire che una procura funziona meglio di un’ altra”, “ha senso dire che un giudice lavora meglio di un altro”, “quali sono le proxy migliori per identificare l’ eventuale gap”...?

E’ dalle risposte dell’ esperto che imposta il suo modello, un modello per modificare l’ attuale realtà de-aziendalizzata (che piace a tantissimi: carriera uguale per tutti, aumenti a pioggia degli stipendi…).

A queste domande si puo’ tranquillamente rispondere che una certa grandezza NON E’ MISURABILE, l’ economista potrebbe convenire e rassegnarsi rinunciando. Assurde sono invece le reazioni che vedono in questo interessamento (richiesto da terzi che difficilmente sono in completa malafede) un’ interferenza, magari avendo in mente una concezione ante guerra dell’ economia.

Corto circuiti: contro l' "aziendalizzazione" della scuola in nome della...responsabilità!? (2)

Ho interagito con il prof. Giorgio Israel sul tema di cui al post (1). E' una personalità che stimo molto anche se dal carattere, a mio giudizio, piuttosto fragile e propenso a scambiare il disaccordo con l' offesa. Ecco qui di seguito le inutilmente aspre parole a cui ha affidato la sua replica.

Preferisco non leggere la polemica altrimenti viene voglia anche a me di essere polemico.

Il suo discorso è autoreferenziale perché lei non mette in discussione la ragione per cui la scuola non è un'azienda: e cioè perché non fornisce né prodotti né servizi, bensì qualcosa che non è né una merce né una prestazione di servizio: cultura ed educazione.

Quindi continuare a intorcinarsi sulla questione dell'utenza non ha senso, se utenza non c'è. Forse chi va a scuola è come chi va ad acquistare un prodotto al supermercato o a pagare una bolletta all'ufficio postale? È da questa pazzesca confusione che nasce lo sbandamento di quei genitori che vanno a prendere a schiaffi il professore se non promuove il figlio, come si protesterebbe in un supermercato che vendesse merce avariata.

Comunque non posso dilungarmi perché tutto questo è spiegato in dettaglio e argomentato nel mio libro. Andrebbe letta anche Hannah Arendt al riguardo. Quindi si tratta di cose serie e delicate (pensate da menti non di secondo piano) che non si risolvono con le formule dell'ingegneria gestionale o con gli slogan tipo benchmark, buoni per una fabbrica di automobili. E siccome sono questioni serie preferisco non vederle liquidate con polemiche sommarie, altrimenti - ripeto - cadrei anch'io nella polemica. Il che è facile, di fronte alla superficialità e ignoranza dei valutatori e tecnocrati che impazzano sulla scuola.

Un'osservazione detta davvero con spirito amichevole e costruttivo. Ma se uno dichiara di non saperne gran che del mondo della scuola e si trova di fronte a un'affermazione di cui dichiara anche di non capire bene il senso, non sarebbe meglio aspettare, riflettere, leggere, invece di buttarsi a corpo morto a far polemica? In fin dei conti, non pretendo che quel che dico sia la Verità, ma è frutto di riflessioni di anni e di letture documentate.



Ringrazio Giorgio Israel per la risposta fumantina che ha voluto dedicare la mio intervento.


Mi permetto un' ulteriore replica poiché penso che abbia un suo “contenuto” indipendentemente dalla lettura del suo ultimo libro (ho comunque letto il Liberarsi dai Demoni trovando una consonanza su più punti).


Ecco gli spunti che mi ha offerto.

“…ma se uno… si trova di fronte ad un'affermazione di cui dichiara…di non capire bene il senso… non sarebbe meglio aspettare, riflettere…”

Infatti io “chiedevo”, e senza alcuno spirito polemico (quello semmai era nell’ altrove che segnalavo, e non era poi nemmeno tanto aspro).

Quanto al “senso” del termine “aziendalizzazione”, con tutti i miei limiti, penso di conoscerlo abbastanza visto che lo impiego all’ interno della disciplina che lo ha coniato. Visto che ho partecipato da vicino ad alcune “aziendalizzazioni” di successo e ho una vaga idea di cosa le faccia fallire.

Mi rimane invece il dubbio che il senso originario abbia subito delle storpiature nel passare in altri “ambiti”, magari distanti dalla disciplina che lo impiega nell' accezione originaria. E poiché esiste un dibattito pubblico, queste storpiature non sono formalismi su cui sorvolare (sono molti i settori in cui, in nome della de-aziendalizzazione, potrebbere trovare fondamento la richiesta di privilegi smaccati e arbitrari).

“…la scuola non è un’ azienda…”

Quindi la scuola non ha né obiettivi pubblici né obiettivi privati da perseguire? Quindi la scuola non produce né costi né benefici? Quindi in ambito scolastico è superflua ogni forma d’ incentivo? Quindi nella scuola non c’ è possibilità di individuare uno scambio tra corpo docente e allievi? Quindi nella scuola non ha senso il tentativo di progettare azioni razionali anche solo in forma limitata? Oppure in questo ambito non ha alcun senso “misurare” le grandezze a cui accennavo e una misura vale l’ altra?

Sì perché la concezione di “azienda” nelle discipline economiche è parecchio mutata da almeno 25 anni (almeno dai lavori di Coase e Becker) e ho paura che Hanna Harendt non possa tenerne granchè conto. Senza queste nozioni la confusione semantica diventa rischiosissima.

L’ azienda è un organizzazione che si realizza per poter “internalizzare” i frutti dell’ azione che produce.

Internalizzare, cioè’ far ricadere sulle spalle di chi ha prodotto certe azioni le conseguenze di quelle stesse azioni. In altri termini, l’ azienda è un modo per agire in modo razionale sfruttando come armi la RESPONSABILITA’ e gli incentivi.

Laddove non ha senso parlare di “responsabilità”, di “incentivi”, di “azione razionale”, non ha senso neppure parlare di “aziendalizzazione”

“…superficialità e ignoranza dei valutatori e tecnocrati che impazzano sulla scuola…”

Guardi che anche il mercato è pieno di aziende (canoniche) che lavorano male per CARENZA NEL VALUTARE i propri dipendenti, i propri collaboratori, i prezzi futuri, i costi previsti… e chi più ne ha più ne metta. In genere subiscono una ristrutturazione per non fallire. Non una de-aziendalizzazione.

“…Forse chi va a scuola è come chi va ad acquistare un prodotto al supermercato o a pagare una bolletta all'ufficio postale? È da questa pazzesca confusione che nasce lo sbandamento di quei genitori che vanno a prendere a schiaffi il professore se non promuove il figlio, come si protesterebbe in un supermercato che vendesse merce avariata…”

Da questa lineare esemplificazione si coglie bene un classico ribaltamento dei termini.

Se la Scuola fosse un’ Agenzia demandata dall’ utenza (pubblica e privata) a fornire una preparazione all’ allievo (prodotto? servizio?), allora il genitore (utente) andrebbe semmai a prendere a schiaffi il professore perché suo figlio non ha superato i test di ammissione dell’ Università prestigiosa (prodotto avariato). E una situazione del genere (a parte gli schiaffi) non è certo patologica!!

Se le nostre scuole sono dei diplomifici in cui irrompono genitori isterici è per altri motivi (obbligatorietà della scuola, valore legale del titolo di studio, fallimento dell' utenza pubblica, mancanza di un college premium sul mercato del lavoro…)

L’ economista Alex Tabarrok (si è occupato soprattutto di carceri e ferrovie) individua tre fasi che inquadrano l’ aziendalizzazione di agenzie pubbliche 1) realizzazione (ovvero responsabilizzazione dell’ agenzia) 2) fallimento dell’ utenza (in genere l’ utenza è il soggetto pubblico che fallisce nel progettare le richieste o nell’ implementare i controlli) 3) ristrutturazione dell’ utenza 3) successo crescente.

Ci sono tutti i segnali per dire che siamo nella fase 2.

L' arte di provocare

Non si sa bene se conti di più il coraggio o l' esibizionismo, ci sono però alcuni studi curati da economisti che possono tranquillamente essere considerati come "molto provocatori". Non a caso hanno scatenato una miriade di risposte tese a ridimensionarne la portata delle loro conclusioni quando non la confutazione pura e semplice. Il tutto condito da contro repliche e bagarre accademica.

Di seguito vorrei accenarne qualcuno.

John Lott non solo si limita a smentire ogni rapporto tra diffusione delle armi e diffusione di crimini violenti ma addirittura rileva una correlazione negativa.

Isaac Ehrlich in un suo storico studio rileva un chiaro effetto deterrente della pena di morte.

Robert Martinson, in uno studio che ha fornito la costola da cui è uscito mezzo mondo di studi accademici, rilevava come tutti programmi riabilitativi in favore dei carcerati avessero un effetto praticamente nullo.

Charles Murray: Bell Curve. Intelligence and Class Structure in America. Per conoscere a grandi linee il futuro di una persona (successo economico, capacità lavorativa, potenziale criminale...) la cosa più ragionevole da fare è guardare al suo QI. Con il QI si faranno predizioni più adeguate rispetto a chi si concentra sul contesto o il grado di istruzione. Cio' significa, per esempio, che un datore di lavoro dovrebbe discriminare in base al QI se vuole agire ragionevolmente. Aggiungiamo poi che il QI è strettamente legato all' etnia e... Davvero imbarazzante. Certo, il QI delle etnie cambia nel tempo (qui la vulgata ha tradito il buon Murray banalizzando il suo messaggio), però...bel colpo Murray, ci hai davvero provocato a dovere.

Greg Mankiw propone di tassare in base alla statura. L' ironia è scoperta. La provocazione sta nel fatto che una simile tassa risponde a tutti i requisiti dell' ottima politica fiscale così come la intendiamo oggi.

Bryan Caplan invita a disincentivare l' afflusso al voto. Quando la percentuale dei votanti è bassa si alza la percentuale degli "esperti" e il voto risulta più consapevole.

Robert Fogel: la schiavitù fu un sistema efficiente e, prima della guerra civile americana, la qualità di vita di uno schiavo del Sud era più elevata rispetto a quella di un operaio del Nord.

Daniel Gros: le "bolle" fanno bene all' economia, basta una rassegna delle più recenti per capirlo.

...continua...

giovedì 27 marzo 2008

Ridurre le irrazionalità legate ai rischi

In tema di scelta in condizioni di rischio, è dato spesso di notare tra le persone comportamenti irrazionali. Come possono essere interpretati da chi intende mettere al centro dei suoi paradigmi la razionalità degli operatori?

Prendiamo il caso più noto: se un problema è presentato in termini di "perdite possibili", allora il decisore sarà più propenso ad assumersi dei rischi rispetto alla situazione in cui il medesimo problema venga presentato in termini di "guadagni possibili".

Questo comportamento è chiaramente irrazionale poichè il decisore prende risoluzioni differenti fronteggiando un problema che formalmente è il medesimo. Eppure la forma potrebbe contare anche per agenti razionali.
Qui, meglio precisarlo, parliamo di soggetti reali posti di fronte ad un test. Si vuole sostenere come tali soggetti non possano essere tanto facilmente liquidati come "irrazionali".

Ricondurre un simile decisore nell' alveo della razionalità è impresa possibile solo se valgono alcune considerazioni.

  1. Il decisore vive in un contesto di complessità dove spesso deve necessariamente ricorrere a strategie legate a forme di razionalità limitata.
  2. Le risorse "possedute" dal soggetto, a parità di valore nominale, hanno un valore sostanziale mediamente maggiore rispetto alle "risorse ottenibili". Questo perchè le prime, in genere, sono "investite" ovvero ad esse è incorporato un progetto che genera un surplus di valore rispetto alle risorse disponibili ma svincolate da ogni progetto.
  3. La realtà descritta al punto 2 è incorporata nei meccanismi decisionali del soggetto.
  4. Poichè il soggetto agisce spesso in condizioni di razionalità limitata, è normale che i suoi meccanismi decisori abbiano un ampio grado di automatismo.
  5. I meccanismi decisori del soggetto sono quindi perfettamente razionali visto anche l' ambito in cui il soggetto agisce.
  6. Posto davanti al problema di cui sopra, nel soggetto scattano taluni automatismi che lo inducono ad una scelta irrazionale per quell' occasione.


Considerazioni stimolate dalla lettura di KAHNAMEN cap. 3 EF

Il microbo che mangia la CO2

Interessante colloquio con Craig Venter sul sole del 27.3.2008 p.17 a cura di Marco Magrini. Nel confronto tra resilienti e prevenienti, un punto segnato dai primi.

Idee sulla scuola. Non dico da realizzare ma almeno da avere in testa






Una ventina di spintarelle nella direzione giusta. Ormai, in questo settore, fa paura parlare di riforme.

  1. Buoni per facilitare la scelta della scuola. Ma seri, in modo da avvicinare il costo medio di un alunno nella scuola statale di oggi (3/4.000 euro). In alternativa molto subordinata la piena detraibilità dalle imposte.
  2. Un minimo di libertà didattica. E diamo un po' di libero sfogo a questi pedagoghi. Il direttore ha pur sempre la facoltà di cacciare i più invasivi.
  3. Aumentare gli esami con commissari esterni.
  4. Congegnare esami bipartiti: una parte centralizzabile, una parte caratteristica dell' istituto.
  5. Valutare le scuole (valutazione diretta, profitto matricole - anche i licei hanno il test... ). In GB apri la pagina internet e trovi le scuole ordinate per merito da istituti indipendenti. Non dico di arrivare a quel punto ma... Istituti di valutazione già ci sono. Per esempio il codice IRIS di Giuseppe Lo Nostro dell' università di Genova. Anche l' INVALSI dovrebbe essere reso operativo in modo serio. Il politecnico di milano pubblica il politest top school. In Trentino esiste un comitato ufficiale per la valutazione scolastica. Il modello è la Finlandia, si vuole stimolare una gara al miglioramento tenndo presente i punti di partenza. L' Eurydice parla chiaro: l' Italia è l' unico paese dove le scuole scampano a qualsiasi valutazione. In Svezia, Rep.Ceca, portogallo e Islanda la pagella è pubblica. In Norvegia e Finlandia è di competenza delle autorità locali. Nel Regno Unito spetta ad un ente privato indipendente.
  6. Attenzione alla qualità e alla quantità dei test.
  7. Attenuare il valore giuridico del titolo.
  8. Bilanciare i due modelli classici di scuola. Dal merito oggettivo (modello continentale: scuola servizio pubblico con obiettivi e programmi prefissati che tutti devono raggiungere pena bocciatura) al merito adattivo (varietà dell' offerta e programmi personalizzabili modello nord europeo). Vaciago, sole 26/3/08 p.4 (nota che il secondo modello puo' essere temperato dalla pedagogia di cui sopra mentre il primo dall' autonomia).
  9. Una certa autonomia delle assunzioni.
  10. Una certa autonomia dei programma.
  11. Finanziamento correlato alle performances e alla capacità attrattiva 8misurazione delle iscrizioni fuori distretto.
  12. Prevedere la possibilità di appaltare interi istituti a staff privati.
  13. Allentare l' obbligatorietà offrendo alternative.
  14. Possibilità di stabilire rette anche per gli istituti pubblici.
  15. Fissazione di un tiket scolastico flessibile.
  16. Possibilità di contrattualizzare gli studenti fissando percentuali sugli stipendi futuri.
  17. Dilatare il periodo di studi con la possibilità di sovrapporlo a quello lavorativo.
  18. Incentivare anche materialmente il profitto degli studenti (vedi qui Mele e Lacetera sugli incentivi monetari, vedi anche altrove nel blog).
  19. Possibilità di Home Schooling.
  20. Possibilità di Charter school (scuole fondate in piena autonomia dai genitori con finanziamenti e valutazione pubblica).
  21. Possibilità per la scuola di stipulare autonomamente contratti con imprese ed altri soggetti.
  22. Eliminare ogni discriminazione di trattamento tra profit e non profit.




  23. ...

Vinile o CD? (2)

Mi è giunta la seguente obiezione:


...e la copertina più bella vale i graffi e la polvere che rovinano il suono?


Ma il suono (su cd o vinile) non esiste più per essere "ascoltato". Quell' attività verrà per lo più svolta in mille altre maniere e con altri supporti. L' offerta è talmente ipertrofica che dobbiamo immaginarci un mercato in concorrenza perfetta con prezzi bassissimi o azzerati.

Dobbiamo quindi riferirci a beni che prescindano dal suono pulito del pezzo (ovvero da qualcosa reperibile ovunque senza troppo sforzo).

Se la differenzizione diventa essenziale, cosa offre in più il prodotto in Vinile? Faccio delle congetture.
  1. La dimensione. Anche quella conta. Il vinile ne offre una naturale più idonea per la pruzione di un oggetto creativo.
  2. Una tradizione in cui inserirsi. Da tempo esistono mostre d’ arte relative all’ oggetto o alle copertine dei dischi in vinile. Non mi risulta che nulla del genere accada con il cd.
  3. L’ illusione data al consumatore di inserirsi in un club ristretto di collezionisti. Infatti, per molto tempo, i pochi resistenti del vinile hanno finito per formare un' elite.
  4. Il vinile si presta meglio alla “funzione tamagotchi” tanto amata dai feticisti: solo il vinile ti consente di dimostrare la perfetta cura che hai dell’ oggetto oppure come l’ oggetto interagisce con te (ti consente per esempio di dimostrare che non l’ hai mai ascoltato, oppure che l’ hai ascoltato in continuazione e che fa parte della tua formazione).
  5. La trasformazione della traccia su vinile in mp3, in effetti, è un pochino più “costosa”.
  6. Il vinile trascina con sè tutta un’ oggettistica di “arredamento”. Sia arredamento moderno che arredamento di modernariato.
  7. ...



Forse da questo potrebbe emergere che, per “ascoltare” meglio l’ i-pod e simili, per “inscenare” meglio il vinile.



Insomma, per chiudere con un paradosso circa il trade-off che denunciavi tra copertine&polvere, non prendermi alla lettera ma ci siamo quasi: ok, Il vinile s' impolvera e si graffia. Ma prima, polvere&graffi erano un rischio, oggi stanno diventando un' opportunità

mercoledì 26 marzo 2008

Vinile o CD?

Il CD surclassa il Vinile per praticità d' uso. Lo porti ovunque, anche in auto, in spiaggia, lo ascolti random, reperisci immediatamente le tracce, isoli gli intervalli, disponi le sequenze...

Ma questa qualità che lo rendeva vincente, oggi viene ridimensionata visto che i files viaggiano benissimo in rete e in rete sono reperibili e duttili al pari di come te li metteva a disposizione il CD.

Esempio. L' altra settimana ho ascoltato a San Remo una canzone piacevole. Dopo due minuti passati sul pc era già nelle mie mani pronta per essere inserita nelle raccolte personali in combinazioni variegate che neanche il kamasutra... Ecco allora che viene rivalutato il vinile poichè, visto che la traccia musicale è ormai facilmente disponibile, aumenta il valore del package e di ogni altro elemento che differenzi il prodotto.

In conclusione, secondo me, il vinile fornisce più opportunità di differenziare il prodotto. E la differenziazione diventa cruciale una volta che il nucleo del prodotto perde di valore per l' offerta ipertrofica.

In passato il fenomeno era di nicchia e riguardava solo i collezionisti, costoro, per motivi precauzionali, acquistavano senza ascoltare. L' ascolta avveniva su altre fonti. E secondo voi se uno acquista senza ascoltare opta per il vinile o per il cd? In questi casi il vinile surclassa il cd per la ricchezza e creatività del package che consente.

Oggi tutti hanno la possibilità di ascoltare da fonti alternative e se acquistano...Insomma, tutti sono nelle condizioni in cui erano i collezionisti una quindicine di anni fa.

Riproducibilità del vinile? Fatemi chiudere offrendo questo Vladimir Visotsky registrato proprio da vinile. Bello per i nostalgici che amano la "frittura" da graffi & polvere che si mischia con altre sporcizie legate alla vocalità. Ma questa è un' altra storia.

Corto circuiti: contro l' "aziendalizzazione" della scuola in nome della...responsabilità!?

L' argomento scuola sembra sia terreno di conquista, si puo' prendere la parola deresponsabilizzati di tutto. Magari la si prende proprio per proclamare l' avvento di una nuova stagione per la responsabilità dello studente.

In questa intervista è Pirani a condurre la "tirata".

Il grande giornalista imputa i mali della scuola all' "aziendalizzazione" e invita ad una regressione verso il sapere basico basicamente impartito.

Avendo studiato per molti anni "economia aziendale" pensavo di conoscere il significato del termine. Eppure l' uso che ne fa Pirani, nonchè altri impegnati nel dibattito sulla scuola, revoca in dubbio le mie certezze. Spero si tratti di un uso improprio. Di seguito faccio delle ipotesi.


  1. A volte sembra denunciare l' eccessiva dipendenza che lo sbocco lavorativo impone alla conformazione degli studi. Se è così allora la doppia recriminazione di Pirani appare semplicemente incongruente. L' efficacia nell' acquisizione di saperi - requisito che il mercato del lavoro domanda - è maggiormente garantito proprio dall' istruzione tradizionale che, nel linguaggio pedagogico moderno, potremmo identificare come Direct Instruction, ovvero istruzione con apprendimento guidato e dimostrazioni dirette da parte dell' insegnante e ripetute dagli allievi. Uno schematismo che sembra proprio quello invocato da Pirani nella sua lamentela.


  2. Se invece per "aziendalizzazione" si intende una maggiore elasticità nel piano degli studi e una maggiore flessibilità dell' offerta, allora il Pirani va contro-corrente rispetto alla tendenza. E, attenzione, parlo della tendenza generale, anche e soprattutto quella dei paesi con le migliori performance. Le migliori performance segnalate proprio nei tomi che Pirani brandisce per decretare lo stato agonico della scuola italica. Guarda in questo stesso blog i post relativi alla scuola finlandese.

  3. A volte sembra che l' "aziendalizzazione" implichi che il cittadino sia un utente. Punto e basta. In parte è vero ma non è l' unico utente. Al suo fianco svolge un ruolo di utenza anche il soggetto pubblico che formula le sue richieste indicando le alternative di programma praticabili. Prendiamo un caso di "aziendalizzazione" che ha conseguito ampio successo e che conosco da vicino, quello relativo all' Agenzia delle Entrate. L' efficienza di questi istituti si è impennata dopo la riforma così come il tasso di innovazione interna. Dopo l' "aziendalizzazione" si puo' forse dire che il contribuente sia l' utente dell' agenzia entrate? Ovviamente non è l' unico, altrimenti chiederebbe di essere esentato da ogni accertamento fiscale. L' utente dominante resta il Ministero. Allora non puntiamo il dito sull' "aziendalizzazione" ma piuttosto su come l' organo esecutivo svolge il suo ruolo di utente. Se poi togliamo ogni valore giuridico al titolo di studio e favoriamo un college premium sul nostro mercato del lavoro, anche il cittadino sarà un utente più responsabile.


  4. Sarebbe poi il caso di denunciare l' esistenza di una trappola in cui Pirani sembra cadere con un tonfo assordante. Ricordo infatti che l' "aziendalizzazione" è un mezzo e non un fine. E un mezzo efficiente usato per perseguire fini erronei puo' facilmente rivelarsi dannoso. Pirani ha tutta l' aria di accanirsi sul coltello lasciando perdere l' accoltellatore. Meglio per noi invece raccogliere con cura quel coltello e consegnarlo nelle mani del provetto macellaio che ci taglierà la fettina.

Origini della Rivoluzione Industriale

Per gli economisti dello sviluppo esiste un prima e un dopo. lo spartiacque è la rivoluzione industriale inglese. Non esiste paragone tra i ritmi dello sviluppo precedente e quello successivo. Se così è, si capisce bene l' urgenza di rintracciare le cause di un simile cambiamento. Offro di seguito alcune ipotesi che cercherò di mantenere aggiornate nel tempo.

  1. Marx. Giocano un ruolo decisivo gli espropri terrieri del XV secolo. Vedi su questa linea anche Dobb.


  2. Toynbee. Giocano un ruolo decisivo la distribuzione delle terre e la loro recinzione (vedi sul punto anche Zingales: Difendere il Capitalismo dai capitalisti, e Ashley: la rivoluzione industriale.


  3. Hartwell. Ha contato la crescente domanda interna.


  4. Rostow. L' innovazione ha segnato una rottura. Contro Gershenkron: in realtà i processi di sviluppo si sono chiaramente differenziati nei vari paesi nonostancte che le innovazioni fossero ormai disponibili per tutti.


  5. Clark. Ha contato l' evoluzione: solo in Inghilterra il successo economico si è tradotto in profonda selezione demografica (beneficienza stigmatizzata).


  6. Findlay-O'Rourke. L' Ingjilterra, anche grazie alla sua potenza militare (marittima) ha saputo porsi al centro di un mercato globale in cui non era estraneo il commercio degli schiavi e i successi dell' agricoltura estensiva statunitense (Londra-Africa-Virginia). Questi effetti benefici vennero prolungati con la pax britannica del 1815.



Per ulteriori suggestioni si rinvia all' articolo di Gianni Toniolo sul domenicale del sole 23.3.2008 p. 43

Dodici illusioni statistiche...sistematiche!

Poichè lo strumento statistico è tra quelli privilegiati attraverso cui realizzare la comunicazione "democratica", e poichè al suo apparire si presenta sempre circonfuso da una certa aurea di autorevolezza, puo' essere prezioso sottolineare alcuni effetti illusionistici che produce comunemente.

Attenzione, non sto parlando di specchietti che attirano soltando le allodole più ingenue, non parlo dei "polli di Trilussa", parlo di errori sistematici che lo strumento statistico/probabilistico induce "naturalmente", quindi anche nell' esperto.


  1. Probabilità a priori degli esiti. Si tende a sottovalutare le frequenze a priori del contesto. Se dico che Tizio è laureato un italiano laureato in medicina, chi ascolta tende a calcolare le probabilità che Tizio sia un medico senza tener conto del numero di medici esistenti in Italia.

  2. Dimensioni del campione. Una volta sicuri che il campione sia perfettamente rappresentativo della popolazione, si tende a trascurare la dimensione dello stesso. Eppure la dimensione continua ad essere enormemente influente sugli scostamenti misurati in percentuali. Le percentuali calcolate su "numeri piccoli" sono molto più ampie rispetto a quelle calcolate su "numeri grandi".

  3. Casualità non rilevata. Tirando al moneta una sequenza CTCTCCTT ci appare come casuale mentre una sequenza CTTTTTTT ci appare come pilotata. Eppure entrambe le sequenze hanno la medesima probabilità estrattiva.

  4. Probabilità delle probabilità. Tendiamo a formulare le nostre previsioni utilizzando delle distribuzioni probabilistiche. Nello stesso tempo siamo portati a non tener conto dell' incertezza con cui sono state costruite quelle medesime distribuzioni. Esempio, una volta fissata una proxy, ci dimentichiamo presto, nel valutare i nostri risultati finali, del margine con cui approssima la variabile reale che ci occorrerebbe.

  5. Regressioni verso la media. E' un fenomeno naturalmente sottostimato. Prendiamo una gara articolata su due manches. I migliori nella prima tornata peggioreranno sicuramente la loro prestazione media nella seconda. Altro esempio, prendiamo delle coppie di coniugi e valutiamo i mariti per la loro preparazione culturale. Isolando i più preparati e passando poi a considerare le mogli ci rendiamo conto che la prestazione di queste ultime non è, nell' insieme relativo alle mogli, all' altezza di quella dei corrispondenti mariti nell' insieme che li riguarda. Ci sorprendiamo di questo fatto nonostante sia del tutto naturale.

  6. Disponibilità. Vengono sopravvalutate le frequenze che saltano più all' occhio nell' esperienza comune. Se leggo un elenco di nominativi contenente parecchie donne famose e poi chiedo se nell' elenco erano più numerose le donne o gli uomini, probabilmente mi verrà risposto che erano più numerose le donne.

  7. Correlazione illusoria. Se nella mia immaginazione penso ossesivamente a due elementi finirò per trovarvi una correlazione anche quando non esiste.

  8. Aggiustamento insufficiente dell' ancoraggio. Se devo produrre una stima partendo da un punto di riferimento mi dimostrerò riluttante a scostarmi eccessivamente da quel punto. Esempio, richiesto di fornire in pochi secondi il seguente prodotto: 8*7*6*5*4*3*2*1, darò un numero più elevato rispetto alla stessa richiesta così formulata: 1*2*3*4*5*6*7*8. Questo perchè comincerò con le prime moltiplicazioni tanto per avere un riferimento, poi mi discosterò intuitivamente da quell' ancoragio.

  9. Eventi congiunti, semplici e disgiunti. Si tende a considerare i primi come più probabili anche se non lo sono. Si tende a considerare i secondi come più probabili dei terzi anche se non lo sono. Evento congiunto: estrarre 7 volte CONSECUTIVAMENTE una pallina rossa da un sacchetto reintegrato che contiene il 90% di palline rosse. Evento semplice: estrarre una pallina rossa da un sacchetto che contiene 50 palline rosse e 50 palline bianche. Evento disgiunto: estrarre ALMENO una pallina rossa su sette tentativi da un sacchetto che contiene il 10% di palline rosse.

  10. Code corte. Nel congetturare una distribuzione probabilistica soggettiva si tende a sottostimare gli eventi eccezionali producendo code corte nella campana gaussiana.

  11. Critica di Lucas. Nelle scienze umane, specie nell' economia, l' individuazione di una regolarità statistica è la premessa affinchè cessi. Almeno se gli operatori sono razionali. Pensate a cosa succederebbe se si scoprisse che le quotazioni di borsa si alzano sempre al Lunedì mattina (vedi Taleb p. 125).

  12. Bias del complotto. Esperimento: poniamo che A dica al CEO B di una multinazionale di avere una grande idea che però comprometterà l' ambiente e il CEO reagisca in questo modo: "dell' ambiente non mi interessa, passiamo subito all' azione". Ora poniamo invece che A dica a B di avere una grande idea che, oltre a fruttare parecchi profitti, giovas all' ambiente. Il CEO reagisce così: dell' ambiente non me ne frega niente, passiamo subito all' azione. Con una strana asimmetria chi guarda alla prima scena giudica B un delinquente mentre nella seconda scena non è affatto disposto a giudicarlo un eroe.



Per la messe di test sperimentali si rinvia al cap.2 di KAHNEMAN EF

martedì 25 marzo 2008

Incentivi inquietanti

La motivazione principale che sollecita gli arresti della polizia (di Baltimora) consiste nell' incassare lo straordianrio. Questo è particolarmente vero se esiste una base criminale legata alla droga. In effetti l' arresto di un piccolo spacciatore non è particolarmente rischioso.

Le ferrovie inglesi come punto di riferimento per l' Europa

Posti di fronte alla privatizzazione delle ferrovie spesso s' invocano i fallimenti inglesi in questo campo, specie per cio' che concerne la sicurezza.

A parte il fatto che si trascurano esempi simili ma di successo, faccio il caso delle ferrocie svedesi, si dimentica anche di citare la progressiva evoluzione in senso positivo del Regno Unito, al punto che oggi è proprio quella rete ferroviaria ad essere indicata dall' Europa come esempio da imitare.

L’esperienza inglese, nel breve periodo ha avuto sicuramente dei punti deboli, quali la diminuzione della sicurezza ferroviaria. La privatizzazione della rete ferroviaria non ha aiutato in questo senso, in quanto per alcuni anni sono stati compiuti investimenti al di sotto di quelli necessari.
Dal punto di vista economico, la privatizzazione della rete si è rivelata un fallimento di mercato, mentre la liberalizzazione nel medio periodo si è rivelata la scelta più giusta. Il mercato inglese è stato valutato dall’Unione Europea come un mercato di riferimento nel trasporto ferroviario. Diversi rapporti prendono ad esempio la liberalizzazione britannica e quella svedese.

Questo successo è riscontrabile sia dal numero di operatori che operano sul mercato inglese, sia dal limitato uso di risorse pubbliche per lo sviluppo del mercato stesso.

Teoria dei bisogni indotti

La teoria dei bisogni indotti (TBI) punta il dito contro la pubblicità: le informazioni pubblicitarie, facendoci pensare a cio’ di cui non conoscevamo l’ esistenza, alzano i nostri costi-opportunità rendendoci più infelici. Affinchè cio’ sia vero sarà anche necessario rilassare un’ ipotesi come quella del “consumatore perfettamente informato”. Nulla di più facile vista l’ inverosimiglianza di una simile ipotesi.

E poi questo fenomeno lo sperimentiamo tutti i giorni sulla nostra pelle ed è difficile negarlo!

Eppure quanto detto non descrive il fenomeno nella sua interezza.
Il pubblicitario ci appalesa un nostro bisogno ma ci consegna anche i mezzi per soddisfarlo.

Probabilmente il consumatore, una volta placato il “bisogno indotto”, non avrà implementato il grado di felicità iniziale, cio’ nonostante la “cassetta degli attrezzi” a disposizione della comunità si sarà ampliata. L’ intero processo quindi produrrà delle esternalità positive e non avrà molto senso ostacolarlo, specie laddove la difesa delle idee innovative è meno arcigna.

I sarà notato che sto tralasciando tutti gli effetti distributivi legati al fenomeno.
In conclusione, porre dei freni al “consumismo” in nome della TBI puo’ ripercuotersi sulla capacità innovativa del sistema.

Ma esistono ben altri argomenti che ci fanno vedere con preoccupazioni comportamenti “consumistici”.

La TBI, riformulata in modo meno ingenuo, puo’ essere ricondotta alla teoria dei bias cognitivi (TBC).

TBS ipotizza che il consumatore (più in generale il decisore) commetta degli errori sistematici nel realizzare le sue opzioni. Questa ipotesi è da prendere sul serio per il semplice fatto che si fonda sui fatti (test sperimentali).

Cosa succede, dunque. Il pubblicitario sfrutterebbe a suo favore i bias cognitivi sistematici del consumatore guidando le sue scelte senza per questo doversi compromettere in azioni fraudolente.

Se tutto cio’ è verosimile, ecco che un’ autorità benevola potrebbe, attraverso misure paternalistiche, massimizzare l’ utilità dei consumatori regolamentando la libera contrattazione.

In altre parole, il decisore non è razionale, ovvero, gli assiomi della teoria della scelta razionale vengono violati. In particolare viene violato l’ assioma di “invarianza” secondo il quale un problema, anche se formulato in termini differenti, avrà sempre la stessa soluzione.

L’ ipotesi legata alla razionalità degli operatori non è l’ ipotesi di “perfetta informazione”. Allentarla potrebbe essere problematico e, forse, in merito, qualcosa si può opinare.

Infatti la nuova teoria del consumatore (NTC) ha opinato (sul punto vedi i lavori di Stigler e Becker, in particolare il loro storico articolo: De Gustibus).

Secondo NTC il consumatore è da figurarsi, alla stregua di un’ impresa, come un soggetto impegnato a produrre la propria felicità. Si confronta quindi con una funzione produttiva in cui intervengono beni diversi, ognuno con suo prezzo.
Facciamo un esempio.

Se il consumatore apprezza le arance ne consumerà in abbondanza, sempre facendo attenzione al prezzo relativo del prodotto. Ma se verrà a conoscenza del fatto che le arance contengono vitamina C e sono quindi benefiche per la sua salute, probabilmente alzerà i suoi consumi. Gli alzerà anche se, nei fatti, nulla è cambiato rispetto a prima. Questo comportamento è tutt’ altro che irrazionale. La nuova informazione ha alzato il valore del prodotto trasformandolo in qualcosa di differente.

La funzione della pubblicità risiede proprio in questa differenziazione dei prodotti e questa differenziazione puo’ avvenire anche in modi molto più sottili rispetto a quelli che compaiono nell’ esempio, ovvero creando un’ “immagine” appropriata da legare al prodotto.

Riassumendo, secondo TBC la pubblicità impedisce al consumatore di massimizzare le sue funzioni di utilità distorcendole in maniera illusoria. Secondo NTC, per contro, la pubblicità differenzia i prodotti in modo che il consumatore consideri delle funzioni di utilità alternative ma non per questo meno reali.

NTC si applica bene a molti fenomeni in cui si è indotti a considerare irrazionale il comportamento del decisore: moda, pubblicità, dipendenza, tradizioni…

Trincee per difendersi dallo "psicologismo"

Chi guarda al mondo con il cannocchiale messo a disposizione dagli economisti, non puo' fare a meno di adottare l' assunzione relativa all' Homo Economicus, ovvero, non puo' che adottare il postulato della razionalità: l' agente economico compie le sue scelte seguendo criteri razionali.

Ma questo assunto è stato spesso contestato, soprattutto dagli psicologi, i quali rilevano come, nella realtà dei fatti, esso sia inconsistente. Possiamo ricondurre la contestazione più circostanziata all' opera di Daniel Kahneman, recente premio Nobel. Già in passato, ricordiamo i paradossi di Allais e Ellsberg, un attacco era stato tentato. Il filone della cosiddetta "economia comportamentale" è oggi abbastanza seguito.

Una premessa essenziale per confutare sperimentalmente l' assunto consiste nel sostanziarlo, cioè nello specificare in che cosa si esplica la razionalità dell' operatore. Kahneman chiede una definizione ristretta e sostanziale di razionalità, una volta fornita potrà confutarne l' esistenza attraverso i suoi esperimenti.

Molti libertari temono l' attacco "psicologista2 poichè è fuoriero di "paternalismo": se l' individuo ha comportamenti irrazionali sarà possibile correggerlo per il suo stesso bene.

Come si è reagito a questo attacco contro i paradigmi neoclassici e non solo? Vediamo alcune risposte.

Mises. La razionalità è un assunto formale e quindi di per sè inconfutabile. Eventuali debolezze possono essere neutralizzate mediante l' assunto parallelo del soggettivismo radicale. Esempio: domando a Tizio se preferisce A o B, lui mi risponde A. Poi ripeto la domanda invertendo l' ordine, lui mi risponde B. Anzichè concludere che le preferenze di Tizio sono incoerenti posso sempre dire che le ha cambiate nel frattempo, oppure che esiste una preferenza dominante consistente nello scegliere il primo termine di un dilemma.

Hayek. Si adottano posizioni razionali solo attraverso processi evolutivi. Al cambiare della realtà si cambiano le proprie posizioni sperimentalmente fino a che si viene condotti su posizioni razionali di equilibrio. Chi nega la razionalità degli operatori, in realtà, sopravvaluta i residui dovuti al transito da una posizione all' altra, considera errore cio' che in realtà è adattamento. Ecco un caso.

Friedman. Poichè l' economia è una scienza convenzionale non ha rilevanza confutarne le ipotesi quando il modello funzioni bene. Ha invece rilevanza confutarne gli effetti. A proposito dobbiamo notare che gli effetti di base della teoria del consumatore sono confermati nel lavoro di un economista sperimentale premiato con il Nobel assieme a Kahnamen, parlo di Vernon Smith.

Stigler/Becker. La razionalità va sostanziata diversamente rispetto a quanto fa Kahnamen. Due punti fermi devono essere mantenuti: la stabilità dei gusti e la loro omogeneità nel tempo e nello spazio. L' omogeneità significa che statisticamente siamo abbastanza simili nelle preferenze. Se una popolazione presenta differenze, queste non sono imputabili ai gusti, bensì a differenze nei prezzi relativi prodotti dall' ambiente in cui vive. Il consumatore è visto come un produttore di utilità, in quanto tale ha una sua funzione di produzione e un costo da minimizzare e in questo processo non rientrano solo considerazioni intorno al prodotto specifico oggetto di scelta ma anche intorno al capitale umano e ad altre variabili. S/B applicano la loro nuova teoria del consumatore a casi tipici in cui il consumatore sembra agire in modo irrazionale: moda, dipendenza, pubblicità, rischio, tradizione.

sabato 22 marzo 2008

Ancora su famiglia e politiche previdenziali

Tanto per dissipare ogni equivoco, riformulo meglio prendendo ad esempio il sistema previdenziale, asse portante del nostro welfare. Ecco due soluzioni stilizzate e alternative.



SOLUZIONE A: Il sistema previdenziale viene "socializzato" e ad ogni cittadino che superi una certa soglia di età (60 anni) viene garantito un vitalizio mensile pari al suo ultimo stipendio.



SOLUZIONE B: Il sistema previdenziale viene fondato su più "pilastri". Un ruolo è giocato anche dal settore assicurativo privato. Viengono garantite solo prestazioni minime e regole che rendano concorrenziale ed efficiente il sistema finanziario.



Di seguito derivo un paio di conseguenze a cui probabilmente andrà incontro la comunità che decide di passare senza traumi dalla SOLUZIONE A alla SOLUZIONE B.



CONSEGUENZA 1: i bisogni previdenziali saranno soddisfatti in modo più efficiente.

CONSEGUENZA 2: il valore economico dei figli crescerà e la fertilità sarà incentivata.



Se le conseguenze sono davvero queste qualcuno riterrà con il "passaggio" di avere colto due piccioni con una fava.



Magari l' Utilitarista e il Cattolico faranno comunella per sponsorizzare la riforma. Con una fava del genere ci sarà cacciagione da dividersi in modo proficuo per entrambi.



Altri, terrorizzati dall' apparire della CONSEGUENZA 2, riterranno che stiamo importando il "Modello Africano" con tutte le sue iatture. Tra il serio e il faceto equipareranno i danni di una simile riforma ai danni della malaria.



Quest' ultima conclusione, che ho caricato nei toni, avrebbe qualche senso se la causa di tutti i guai dell' Africa fosse l' alto valore economico dato alla prole e quindi l' alta fertilità.



Ma stiamo per l' appunto commentando una lettera che proprio a questa necessaria premessa sembrerebbe opporsi!

venerdì 21 marzo 2008

L' assasinio: una via per la democrazia

Le probabilità di democratizzazione crescono se gli attentati hanno successo. La via dell' assassinio paga.

Le tasse fanno male

Un' altra "schippettata".

La croce sulle piccole imprese

La bassa produttività di cui soffre il sistema italiano viene da molti imputata ad una struttura in cui prevalgono le piccole imprese. Ma le piccole imprese non sono di per sè scarsamente innovative. Anzi, in certi settori sono le più innovative come chiarisce questo studio. Inoltre, il vero nucleo dinamico del sistema è formato dalle medie imprese che sono state anche piccole. Allora bisognerebbe chiedersi cosa da noi faccia da ostacolo a queste dinamiche che altrove sembrano essere naturali.


Il primo colpevole sembrerebbe essere il nostro sistema pensionistico: altissimi oneri contributivi finiscono per rendere conveniente un outsourcing esagerato. Da lì la nascita di microimprese a bassa produttività. Se a questo si assomma la soffocante sindacalizzazione nella medio-grande impresa, si capisce come pur di fuggire da quell' incubo si battano tutte le piste disponibili.

Il microcredito fa bene? Panico

Surowiecki ne dubita, da lì non è mai uscita un' impresa importante. La risposta è pronta: giudicare il microcredito alla stregua di una politica industriale è sviante, trattasi di politica di welfare e come tale funziona abbastanza bene.


Lo stesso argomento si puo' adottare contro chi scrolla la testa nell' osservare la struttura del nostro sistema produttivo ed esclama "...troppe microimprese!!". Vero, e molte cause potrebbero essere rimosse. Però, per quanto sulla micro impresa che non si sviluppa puo' essere emessa una sentenza di condanna produttiva, bisogna invece decantarne le qualità welferistiche. Il piccolo fruttivendolo che presidia il terrirorio con il suo negozietto dai margini minimi, dà spesso sostentamento minimo e significato ad un paio di vite che hanno fatto tutta la vita quel lavoro.

L' inesistente conflitto d' interessi fiscale

Richiamandosi alle pratiche d' oltroceano molti, per combattere l' evasione fiscale, invocano detrazioni su misura che inneschino un conflitto d' interesse tra i contribuenti.
Ma questi rimandi ai sistemi fiscali stranieri non hanno consistenza. Negli USA esistono molte detrazioni ma sono tutte previste per agevolare i contribuenti, praticamente nessuna per far emergere evasione.
Studio SOGEI Dino Pesole sul sole p.33 21.3.08

E la "classe" non c' è più

In un puntata di Fahre che riprende un articolo sulla Stampa che riprende un articolo sul Time, si parla di classi sociali. Le classi come le intendeva Marx non esisterebbero più. Ci si aggragherebbe ormai per gusto ed educazione personale, elementi interclassisti. Mi è venuta voglia di opinare sul punto.



Innanzitutto un chiarimento. La classe marxista non era concepita per "stare in compagnia e andare al cinema tutti insieme appassionatamente". Era concepita per il conflitto materiale in una visione per cui "io posso arrichirmi solo impoverendoti". Rivelatosi un pensiero logicamente incoerente e storicamente fallimentare, il pensiero del conflitto è stato sostituito dal pensiero dell' accordo pacifico (di mercato). Ma questo cambio della guardia è avvenuto decenni fa. Anche se da noi lo strascico è stato insopportabilmente lungo, le classi in senso marxista sono sparite da tempo.



Quanto alle più generiche "stratificazioni sociali" individuo due elementi che possono minarle attraverso un rimescolamento.



  1. Elevata mobilità sociale. Il povero che spera con fondamento di potersi elevare con le sue forze, potrebbe anche sentirsi più affine a colui che ce l' ha fatta piuttosto che al barbone rassegnato che si trascina ovunque spettacolarizzando il suo piagnisteo.


  2. L' inutilmente colto. Colui che, aiutato dalle distorsioni di un apparato formativo autoreferenziale, si è caricato di saperi utili solo a titillare la propria sensibile anima, rinunciando a sacrificare anche solo una minima parte delle sue ispirazioni e voglie (e capricci) in favore di una preparazione più idonea allo scambio sociale (leggi: ha fatto scienze delle comunicazioni o lettere o giurisprudenza anzichè chimica). Costui presumibilmente stagnerà in condizioni economiche di basso cabotaggio. Eppure avrà i mezzi e le competenze per interloquire anche con le classi dirigenti del Paese. Anzi, sarà più attratto da un dialogo con loro che con il suo collega di decile reddituale alienato da un lavoro massificante e in perenne attesa di sfogarsi con 15 giorni a Gardaland.



Direi che il punto 1 intercetta un fattore salutare di rimescolamento mentre il punto 2 ne individua uno patologico. E infatti da noi, se una qualche forma di mantecato sociale affiora qua e là, lo dobbiamo esclusivamente al secondo.

Più figli meno sussidi

In Italia si fanno pochi figli. Dopo pochi secondi che lo si è detto, ecco che sale alto il reclamo di un sussidio nelle forme più svariate. A mo' di esercizio elenco qualche riserva in proposito.

  1. La cultura potrebbe contare in questioni come queste. Le donne da noi partecipano poco al lavoro, non c' è paragone con i paesi scandinavi dove possono usufruire di parecchie facilities. Il gap resta però costante se si esaminano gruppi di donne italiane e scandinave che vivolno in paesi terzi, esempio gli USA (vedi Alesina). La cultura conta.

  2. Se le donne partecipano poco al lavoro e, in più, la loro fertilità è bassa, forse cio' significano che la loro scarsa attitudine a filiare non dipende solo da motivi carrieristici.

  3. Il difetto principale del nostro welfare consiste nel non trasferire risorse dai ricchi ai poveri. Una misura generica a favore dei figli rafforzerebbe questa tara (vedi anche punto 3).

  4. Chi sopporterebbe il costo dei sussidi? Se lo sopportassero i più affluenti sarebbe l' ennesimo disincentivo all' efficenza. Se lo sopportassero i meni abbienti sarebbe l' ennesimo finanziamento dei poveri verso i ricchi. Se lo sopportasse la classe media sarebbe l' ennesimo fenomeno di churning dove a guadagnare sarebbe solo il realizzatore del trasferimento con le sue ampie percentuali trattenute.

  5. Si sussidia il figlio perchè il figlio "pesa" sulla famiglia. Ma il figlio è anche una ricchezza! Chi lo considera per cio' che deve essere, ovvero una ricchezza, ha già gli incentivi giusti. Si finirebbe per sussidiare la nascita dei figli del "capriccio" e del "conformismo".

  6. Vedere i figli come "bene di consumo" porta a considerarli un capriccio. Per ribaltare questa visione le misure ci sono: basta riformare il sistema pensionistico abbassando le prestazioni. I figli torneranno lentamente ad essereun bene d' investimento.

  7. Rendere più "costoso" l' aborto potrebbe alzare la natalità.

  8. Avere pochi figli è un male per la società? Secondo molti punti di vista no. Secondo molti altri è addirittura un bene.

  9. Una misura alternativa a costo zero sarebbe quella di concedere in custodia ai genitori il diritto di voto dei figli.

giovedì 20 marzo 2008

I rischi di una Cina democratica

Ma siamo sicuri che una Cina democratica qui ed ora sia auspicabile?

Il gradualismo alla cinese ha finora dato buoni risultati, perchè liquidarlo con indignazione proprio quando in ballo ci sono le questioni delicate della politica.

Ormai sembra accertato che i grandi risultati economici conseguiti dal colosso asiatico non possano essere interamente accreditati alla sua crescente apertura commerciale. In parte bisogna riconoscere il ruolo giocato da una saldissima leadership che stava dietro alla rivoluzione liberista. Nel bene e nel male la riduzione delle incertezza ha un valore radiante.

Che questo ruolo ci sia ed abbia contato ce lo confermano miracoli affini, per esempio quello del Vietnam. Ce lo confermano anche storie differenti conclusesi in modo antitetico, per esempio la storia di Haiti con le sue esemplari liberalizzazioni e le sue fragili istituzioni. Per non parlare della Russia, la democratizzazione a tappe forzate incagliò la ristrutturazione del sistema economico.

Con questo non voglio dire che le istituzioni democratiche siano meno efficaci come propellente per lo sviluppo. Al contrario, sono altrettanto efficaci se non di più. E, in aggiunta, ridimensionano i rischi in un ambiente iper-dinamico. Il fatto è che non sto parlando di "Istituzioni democratiche", sto parlando di "Istituzioni deboli". Sì perchè, una metamorfosi necessariamente traumatica come l' abbattimento di un potere centralizzato ormai incancrenito in questa forma da secoli, non puo' che sfociare in Istituzioni fragili. L' effetto del turbo cinese montato su una simile precaria carozzeria potrebbe destare preoccupazioni.

Riflessioni scaturite dalla lettura di Rodrik OEMR P.216. Lì trovi abbondanza di studi empirici sui fatti che suffragano simili dubbi. Sappiamo bene l' importanza dei fatti, unica vera egida di fronte allo scatenarsi delle furie pc.

Preoccuparsi di demografia. Ovvero, leggere i libri partendo dall' ultima pagina

Cominciare la cura ai paesi poveri accanendosi sull' aspetto demografico significa cominciare dalla fine. Non mi sembra un buon metodo. Sempre meglio ricordarlo nel paese dei "sartori".



Segue il tentativo di rintuzzare qualche obiezione, più la solita ideina impraticabile ma che è sempre bene pensare facendola filare al meglio, così, tanto per sgranchirsi un po'.

Giardini: ...mi limito a mettere in dubbio la spiegazione prevalentemente "economica" di un fenomeno che invece è complesso, perché collegato anche a tantissimi altri aspetti, religiosi, psicologici, culturali, nonché tribali...

Attenzione alla natura con cui si manifesta la razionalità economica. Non è certo un calcolo fatto a tavolino da ciascuno degli interessati. Si tratta molto semplicemente di comportamenti vincenti (perchè ragionevoli) che poi si diffondono attraverso tradizioni, attitudini psicologiche ecc. La cultura conta, anche per l' economista, specie laddove deve progettare delle riforme. Cio' non toglie che la ragione mantenga un suo dominio.

Passando ad altro.

C' è chi soffre dei problemi relativi ad una fertilità eccessiva ma c' è anche chi è nella condizione opposta, penso all' Italia. Per chi reputa la denatalità un ostacolo, come ovviare? Con sussidi a raffica? Il liberale è colto subito da istintiva repulsione e va in cerca di alternative. Quanto detto nell' articolo potrebbe darci un suggerimento: ritrasformare i bambini da "beni di consumo" a "beni d' investimento". In quanto beni di consumo, infatti, subiscono una concorrenza troppo serrata e la sottoproduzione, per chi la reputa tale, è certa. Il passaggio auspicato non puo' poi certo avvenire reintroducendo i tipici costi di transazione che rendevano convenienti economie di tipo domestico. Sicuro che invece, un abbassamento delle garanzie intorno alle future prestazioni pensionistiche e sanitarie, oltre a sviluppare i mercati che forniscono questi servizi, potrebbero rivelarsi anche un' efficiente politica famigliare. Due piccioni con una fava.

Giustizia italiana, cosa c' è che non va (riforme) *

Un quadro della giustizia italiana alla ricerca delle radici del male.

Anche qui (disponibilità prossima) si puo' ascoltare un' analisi del bubbone.

Veniamo a conoscenza di come si spalmino silenziosi i costi di questo malfunzionamento. Perchè il mutuo da noi costa di più? Anche perchè la banca spende di più per pignorare la casa all' insolvente. Perchè le assicurazioni costano una cifra? Perchè i loro uffici legali costano una cifra.

E' nelle cancellerie che il vero disastro si realizza. Perveniamo ad una sintesi.

  1. I giudici lavorano con il freno a mano tirato. Se non smettessero alle 14.00 le Cancellerie non potrebbero mai smaltire i loro carichi di lavoro.
  2. Hai voglia a punire i recidivi. Per la giustizia molti super recidivi non sono tali. Le Cancellerie non hanno il tempo di registrarli!
  3. Calma con l' abolizione degli appelli. Prima dare un' occhiata alla percentuale delle sentenze riformate.
  4. Le colpe della giustizia molto spesso non sono altro che colpe da girare ad un legislatore ipertrofico.
  5. I tempi della giustizia sono allungati dai tempi morti.
  6. La domanda di giustizia che alluviona i nostri tribunali è eccessiva. Semplificazione e outsourcing.
  7. Troppi diritti, troppa domanda di giustizia. Troppo casino legislativo, troppo azzardo morale degli avvocati.

Da quanto detto i problemi sono soprattutto di natura organizzativa, come del resto era lecito attendersi. In questi casi l' economista forse ha qualcosa da dire. Anzi, avrà sempre le stesse cose da dire. In genere gli converrà fare uso di termini quali "responsabilizzazione". E' questa infatti una parola che, non si sa il motivo, suona tanto dolce a tutte le orecchie. Un' ottima maschera che riesce a celare il suo significato più intimo, ovvero incentivazione, ovvero privatizzazione.

Facciamo qualche piccolo esempio di soluzione pratica. Si tratta di sogni sognati tra il letto e il tavolino. Il decalogo è questo:

  1. Favorire l' accordo transazionale tra le parti. Prendere ad esempio lo spaventoso smaltimento semi instantaneo di cui ha beneficiato la giustizia tributaria con l' introduzione di varie forme di concordato.
  2. Favorire la scelta di tribunali alternativi (ADR).
  3. Correlare il compenso dei giudici alla quantità del lavoro svolto e alla qualità dello stesso.
  4. Separare la carriera di giudici e pm (c' è ancora bisogno di dirlo?)
  5. Foro libero (e concorrenza tra fori). Non dico di arrivare ad una giustizia liberale in cui 1)ciascun cittadino deve iscriversi ad un “tribunale” 2) ciascun tribunale deve accordarsi con gli altri per “regolare i conti” dei rispettivi clienti 3) si possono trasferire le pretese risarcitorie-, ma almeno ad un' approssimazione.
  6. Taglie. Si trovi un modo più civile per dirlo (delatore civico?9 ma ci siamo capiti. I processi con prove chiare dovrebbero essere più semplici e veloci.
  7. Buoni giustizia.
  8. Carriera dei magistrati da legare alla scelta del foro da parte di soggetti "fuori distretto". Oppure al ripiego su ADR dei soggetti distrettuali.
  9. Responsabilità dei giudici: incentivi monetari (Landsburg cap. 7)
  10. Respnsabilità degli avvocati: affittare le aule L;
  11. Incentivo ai PM: budget per gli anni di carcere L;
  12. Aumentare le condanne e rendere meno severe le pene L;
  13. Prove irregolarmente ottenute ed altri errori formali: miltare ma non archiviare
  14. Carceri private e depenalizzare. La seconda misura è necessaria visto il sovraconsumo del primo bene.
  15. Mettere in vendita la penalizzazione e vincolare i contributi da destinare alla giustizia.
  16. Informatizzazione delle cancellerie.
  17. Lavori forzati e sequestro: finalizzare tutto al risarcimento.
  18. Elettività della magistratura. E' un modo per dire via all' obbligatorietà dell' azione giudiziaria. Oggi la politica giudiziaria, nei fatti, la fa gente estranea ad ogni forma di consenso.
  19. Patto quota-lite: deflaziona le cause.

Anti semitismo laico - Voltaire: Juifs

Esisterà pure un anti-semitismo cattolico, recentemente se n' è parlato in occasione del ripristino della messa in latino. Difficilmente però è comparabile all' anti semitismo protestante professato con odio furioso da Lutero, oppure a quello laico di un Voltaire.

Quest' ultimo puo' ben dirsi il padre dell' anti semitismo moderno. Tolleranza e anti semitismo hanno dunque il medesimo ascendente. Meditate gente.

La requisitoria del francese è tutta pervasa da un sentimento di orrore, non bieco e agguerrito ma calmo e sarcastico. La causticità tiene alla larga le collere più convulse anche se il disprezzo e il sentimento di superiore civiltà affiorano di continuo e vengono ripetutamente affermati con grande trasporto.

Come l' Oddifreddi di qualche mese fa, anche Voltaire accusa il suo nemico di avere gli occhi incrostati dal pregiudizio, a suo dire basterebbe leggere il loro testo sacro per accrgersene. E qui scopriamo che Voltaire, come Oddifreddi, è completamente analfabeta di fronte alla Bibbia; molto semplicemente, non sapendo leggerla, si infila di continuo in vicoli ciechi anche un po' comici.

"...La Bibbia non è nè un mito nè una telenovela, dove i ruoli sono sempre inequivocabilmente definiti. Scritta in un arco di tempo che fa impallidire la nostra civiltà e il suo larvale decorso, la Bibbia ha avuto modo di depositarsi, di lasciarsi decantare, di far maturare atti e parole. Per questo i suoi personaggi sono così umani, carichi di luce ma anche di ombre..." .

Questa umanità, questa versatilità di chi oggi ci appare come "giusto" ma domani potrebbe cedere alla tentazione, sfugge a chi affronta il testo armato di squadra e righello, custui finirà presto per vedere solo incongruenze dovute in realtà alla misera dimensione a cui pretende di appiattire tutto, una dimensione incapace di ascoltare una storia con tutta la sua diacronicità.

Altro svarione volterriano che ha lasciato lunga traccia è l' assoluta incompetenza con la quale viene interpretato il ruolo la tradizione. Sprovvisto della nozione di complessità, Voltaire non riesce a spiegarsi il ruolo di usi e costumi astrusi. E' costretto, di conseguenza, a relegare tutte queste pratiche nel limbo delle fantasticherie illogiche e nocive, tutta roba da rimuovere immantinente. Denuncia le incomprensibili "cerimonie legali" degli ebrei senza neanche accorgersi che quei codici conservano gelosamente anche raccomandazioni del tutto impraticabili a quel tempo. Sorvolare su questi fatti elementari non gli consente di porsi il tema della Tradizione. Oggi che sappiamo molto di più della complessità, del ruolo della ridondanza e della tradizione, ad apparirci ingenui e disarmati sono i Voltaire e stupidi coloro i quali, a secoli di distanza continuano ad ignorare i nuovi saperi e seguono le ingannevoli tracce del francese incuranti delle smentite che possono ripetersi ormai solo in una forma annoiata.

mercoledì 19 marzo 2008

Piovene fa centro

Con un folgorante lampo al magnesio Piovene fotografa la realtà del grande Brancati. Il vicentino rilevava come a dominare i personaggi fosse un "sentimento religioso della paura", tanto della morte quanto della vita, che porta a rinchiudersi in una "vita calcolata e modesta", un' aureas mediocritas. Essi sono prigionieri di un doloroso distacco speculativo che, secondo Piovene, Brancati avrebbe ereditato dalla lezione di Pirandello. Lezione di Pirandello a parte, il disvelamento è completo.

Rianimare i classici

"...mi chiedo se il rifiuto del nostro Ottocento non sia da identificare in una distanza linguistica e ideologico-sociale..."



Certo che se un libro lo addomestichi privandolo della sua "lingua", poi lo spogli pure delle sue "idee" e, per non sentirlo troppo lontano, neutralizzi anche il contesto sociale che lo ha visto nascere, allora mi sa che finisci per trovarti in mano qualcosa di leggermente diverso.



In fondo, se è vero che il sapere letterario non sia cumulativo nella misura in cui lo è invece quello scientifico, forse il miglior modo di cogliere in presa diretta il nucleo bruciante dei "classici" resta quello di leggersi e lasciarsi scottare dai "grandi" contemporanei anzichè dai "traduttori".



Faccio alcuni esempi concreti. L' irresolutezza di Amleto la si sente meglio nella forma spoglia e tragi-comica di Zeno Cosini piuttosto che in un Amleto "tradotto". Il neo-paganesimo di Boccaccio lo colgo con più vivacità nei pepati racconti provinciali di un Piero Chiara anzichè in un Boccaccio pre-masticasto. Sia le rabbie cupide di un Macbeth che le collere rancorose di un Otello, preferisco farmele raccontare da un Cioran o da un Bernhard. I surrealismi di Ariosto vengono meglio ai suoi colleghi padani di oggi (Cavezzoni, Scabia...). Le Tragedie greche le leggo per decifrare il "paradosso di Clitennestra" ma se voglio godere della loro forza dilaniante preferisco lasciarmi investire da una "diademata" di Testori. Per assaporare al massimo le festosità coprlaliche di un Rablais mi affido a dario Fo anzichè ad una riduzione del classico; se invece voglio figurarmi i suoi furori farfuglianti, cosa c' è di meglio che un Celine? Penetro più a fondo la sensualità estenuata di un Gongora attraverso quella rappresentata da Huysman, capisco meglio la non gratuità del suo barocchismo involuto leggendo Gadda. E si potrebbe continuare.



Poichè all' innovatore va reso merito trovo giusto che gli studiosi risalgano alle fonti e glorifichino il classico greco-latino-medioevale-moderno. Ma il puro godimento estetico, io, da lì non riesco più a trarlo se non con l' annacquatura di mille mediazioni attraverso le quali si perde ogni fragranza.



Una cosa è certa, alcune attitudini attraversano il tempo indenni molto più che altre. Per restare al nostro ottocento, il sarcasmo parodistico di un Belli o di un Porta potrebbe fare bella mostra di sè anche nello Zelig di venerdì prossimo senza tanti ritocchi. E, in questo settore, si puo' arretrare fino a Petronio e a Aristofane. Anche lo scavo psicologico al di fuori del contesto narrativo si mantiene bene nei secoli. I moralisti francesi sono uno spasso anche oggi e i "Caratteri" di Teofrasto valgono per freschezza quelli di Canetti.



P.S. pensando all' ottocento italiano penso a Pinocchio. Regge magnificamente senza traduzioni o traslazioni. A proposito, anche pensando ad "Alta Voce" mi viene in mente Pinocchio. Mi sa che per il primato Busi se la debba vedere con Poli.

Il seme della prosperità

Cerchiamo in due righe di riprodurre lo stato dell' arte.

AJR tentano di districare questo web rifacendosi alla storia coloniale dei paesi poveri: dove i colonizzatori si sono ambientati meglio (proxy: la mortalità dei settlers) sono sorte istituzioni di qualità superiore.

Ma c' è un problema: la variabilità dei redditi pro-capite osservata nei paesi che non hanno subito alcuna colonizzazione è pressochè la medesima.

Sachs, sia da solo che con altri, punta tutto sulla geografia.

Diamond e Clark, evoluzionisti di ferro, s' instradano su una via parallela ma simile.

Sembrano smentiti da Rodrik e altri, per loro "Instituitions rule". Anche se la geografia ha effetti indiretti: sviluppo e distanza dall' equatore sono, per esempio, in correlazione.

Engerman e Solokoloff notano come alle culture su larga scala (es. piantagioni) si abbinano carenze istituzionali. Sala-i-Martin rivela un simile deterioramento quando si è in presenza di risorse abbondanti.

Non bisogna poi dimenticare il ruolo che gioca la cultura (religione, costumi, tradizione...) di una popolazioni. Le riforme istituzionali, anche quando in teoria puntano nella giusta direzione, sono potenzialmente nocivi se non prendono in considerazione questa variabile e i feedback che procura. Il "gradualismo" istituzionale è quindi una via consapevole allo sviluppo.

Alla fine una cosa è certa: contano molto le istituzioni ma la fortuna continua a giocare un suo ruolo.

Rodrik OEMR p. 185

martedì 18 marzo 2008

Il preservativo dei classici

Purtroppo devo fare una confessione, non sono mai riuscito a stabilire un vero contatto con i classici (parlo ora di testi precedenti al XIX secolo), ho sempre sentito la presenza di un' intercapedine che m' impediva di aderire completamente alla storia narrata. Un po' come se questi grandi libri fossero avvolti in un preservativo e arrivassero solo attraverso una mediazione.

Faccio un esempio, recentemente ho letto il Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati con una partecipazione emotiva che non saprei mai ricavare da un "classico".

Cio' non significa che i capolavori del passato non rechino altri doni, ma sono per lo più di natura cerebrale. Nell' ultimo anno ho sfogliato La Guerra del Peloponneso imparando quanto aggressive ed espansioniste possano essere le democrazie; ho lette "Les Juifs" di Voltaire per tenere ben a mente come non sia un caso che le radici dell' anti-semitismo moderno affondino nel terreno dissodato dal "padre della tolleranza"; ho letto "Il Mercante di Venezia" ma solo per constatare come la demagogia del perdono possa fare velo sulla giustizia e come la grande arte teatrale possa rendere odioso un personaggio che ha tutte le ragioni dalla sua. Potrei proseguire con il fascinoso ma siderale dogmatismo di padre Dante che stando lassù, faccia a faccia con Dio, non riesco a sentirmelo veramente prossimo.

Intrattenimenti un po' troppo cerebrali per suscitare autentico entusiasmo, quindi.

Anche il ripasso dei Promessi Sposi che feci qualche anno fa mi ha lasciato una mirabile lezione di economia nel capitolo sull' assalto ai forni e una altrettanto grande di psicologia di massa nel capitolo sulla peste. Lezioni di economia, di psicologia e di filosofia morale...ma - salvo alcune fulminanti intuizioni sulla codardia di Don Abbondio - poche autentiche scosse emotive.

Eppure, sia chiaro, l' ottocento è un secolo che non metto nel preservativo di cui sopra, è un secolo che non metto in conto, c' è di tutto, anche roba che "sento" molto vicina: se la questione dei matrimoni contrastati mi sembra un po' distante, le questioni sulla roba (Verga) sono assai più vicine. Non parliamo poi delle tensioni intorno all' eredità! I Vicerè me li sono bevuti come un romanzo contemporaneo. L' ascendenza del genitore opprimente come la narra il Fogazzare mi ha sinceramente colpito. Ma il massimo sono le burocrazie zariste di Checov e Gogol, assomigliano tanto alle nostre; come pure gli eterni pervertiti del prolisso Dostoijevskij. Flaubert e il Tolsoij meno mistico poi...non no, l' ottocento annulla spesso la fredda distanza che mi pervade non appena sento menzionare la parola "classico".

Sviluppo senza proprietà

Noi adoratori della proprietà privata restiamo piuttosto interdetti allorchè constatiamo come in Russia il pronto riconoscimento di questo diritto non si puo' certo dire che abbia incentivato gli investimenti privati. Al contrario, in Cina, anche al tempo in cui il diritto non era legalizzato, si assisteva ad un boom di investimenti. Ma come?

Quel che conta, evidentemente, è la sicurezza che l' investitore sente attorno a sè e non certo la struttura formale dell' ordinamento giuridico in cui opera.

Ma come mai l' investitore "russo" si sentiva tanto insicuro? Probabilmente il riconoscimento legale della sua proprietà non gli bastava.

L' investitore cinese era in tutt' altre condizioni. Poteva aggregarsi al business solo in compartecipazione con i governi locali. Legando i suoi interessi a quelli di un' autorità istituzionale consolidata si sentiva le spalle coperte. Queste forme di associazione sono state un trampolino di lancio efficacissimo.

Si potrebbe continuare nel descrivere il gradualismo cinese pensando ai liberi commerci.
Non furino affatto il frutto di una liberalizzazione di settori commerciali specifici. Le politiche di pianificazione e delle quote continuarono a lungo e alla grande. Il libero commercio era consentito ai produttori ma solo "al margine" delle quote. Vennero poi semplicemente istituite delle enclaves sperimentali, all' inizio quasi dei "giochi" che via via furono allargate fino ad esplodere in tutto il paese.

R OEMR p.189

Congetture temerarie

Sto leggendo I Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer. Mi sono deciso poichè il critico Harld Bloom li inseriva nel suo prezioso "Canone Occidentale" e, nei libri in lista, era tra quelli che non avevo mai affrontato. Ora mi è venuto un sospetto. Vuoi vedere che l' americano, nel compilare il suo stringato compendio della letteratura occidentale più influente, ci ha infilato Chaucer per scalzare chi sarebbe entrato più comodamente, ovvero il Boccaccio? C' era già l' ineludibile Dante e due italiani, probabilmente, gli sembravano troppi.

A Davide che, dopo essermi espresso come sopra, mi rimprovera con il pregnante argomento..."...il Bloom avrà avuto le sue buone ragioni visto che i suoi titoli sono in ordine e i suoi concorsi se gli è vinti tutti senza recriminazioni..."...

Purtroppo capita spesso che la "professionalità letteraria" sia al servizio delle simpatie, specie laddove il critico è militante, specie laddove è difficile reperire punti di riferimento oggettivi, specie laddove la scelta è tra due vertici pressochè indistinguibili della letteratura. Del resto, lo stesso Chaucer, nel ricostruire arbitrariamente una sua genealogia, trascura a sorpresa di fare il nome del Boccaccio, pur se le affinità, le precedenze e la conoscenza, siano elementi ben noti. Da ultimo, anche i libri di critica letteraria più referenziati si leggono con maggiore passione quando, liberando una certa impertinenza, si evita di lasciare all' autore l' ultima parola. Tu la lasceresti al grande Eliot mentre stronca l' Amleto di Shakespeare bollandolo come opera monca? Allora, azzardiamo pure nei nostri francobolli forumistici, ci è concesso una volta che si riconosca e si riverisca senza sottomissioni lo sterminato sapere dell' esperto.

lunedì 17 marzo 2008

No...l' esaurimento delle risorse no...(bazzicando compagnie anti-liberali)

EMERGENZA TERRA" ric - 25/09/2006 17:16 Non sapevo che una delle "emergenze terra" fosse il "tasso di crescita eccessivo".

A questo punto devo pensare che la soluzione consista in una diffusione della povertà.

A parte qualche originale "sociologo dell' impoverimento"(il circo Touraine tanto per intenderci), non penso che in molti siano disposti a prendere sul serio queste vie di fuga un po' bizzarre.

Se permettete continuo a pensare che, a parità di tutto il resto, un ricco abbia maggiori possibilità di risolvere un problema rispetto al povero in canna. Quanti più ricchi circolano dalle nostre parti, tanto più crescono le nostre speranze.

Quando qualcuno trova molto faticoso convincere il prossimo e rispettarne i diritti, ecco che se ne esce tutti i momenti con espressioni altisonanti come "genere umano", oppure "problema-terra", dopodichè si passa al prossimo collasso del sistema solare...e via sfumando verso territori sempre più sfocati dove tutti gli ostacoli possono essere sormontati con due sinuosi pensierucci apocalittici apocalittici.

I problemi così presentati da chi predilige queste visioni grandiose, consentiranno di adottare soluzioni che trattino il proprio vicino come ha sempre sognato: una pedina (ostaggio di "interessi superiori e planetari").

Questo modo di procedere produce vicoli ciechi di cui Kyoto è un buon esempio.

Occhio anche a prendere con le pinze i democatastrofisti che, pur condannati a ripetizione dalla storia delle idee, tornano regolarmente alla carica.

RE: RE: EMERGENZA TERRA" ric - 27/09/2006 08:59 Caro Florestan, anche la tua nozione di "risorsa" mi convince dei mille equivoci in cui ti trascini.

L' economista ci dice che la risorsa è essenzialmente un' idea. La parte materiale di questo concetto è secondaria.

Il petrolio era una fanghiglia maleodorante senza l' idea che lo rese risorsa.

Purtroppo la "fisica delle idee" è una materia complessa, molto più della fisica naturale.

Di sicuro, però, è l' unica fisica che ci interessa davvero affrontando i problemi legati alla scarsità.

Con un eufemismo, mi si lasci dire che queste elementari verità (abc) nell' approccio del circo "Touraine" non sono tenute nel debito conto.

Ma è normale visto che non si tiene conto dell' uomo e lo si considera alla stregua di uno zombie a cui dobbiamo prendere le misure con qualche metro statistico, manco fossimo in sartoria. Troppo facile.

EMERGENZA TERRA" ric - 28/09/2006 11:52

Un mondo povero e mummificato, in genere, produce poche idee e poche soluzioni ottimali.


TERRA" ric - 28/09/2006 16:32

Un saluto a Matteo. Mi dici "...nesusno vuole l'impoverimento, ma è altrettanto impensabile che tutti sulla terra possano consumare la stessa cosa senza esaurirla in poco tempo...".

Per non correre questo pericolo esiste una soluzione che finora non ha mai fallito: il sistema dei prezzi.

Non è tanto la ricchezza ad aguzzare l' igegno. E' l' ingegno che produce ricchezza. Poi, in un circolo virtuoso, la ricchezza mette a disposizione dell' ingegno sempre più mezzi.

Per questo che li trovi a spasso sempre insieme a bracetto da buoni amici. Pensare a questa storiella come ragionevole, ed in fondo non è poi così difficile farlo, puo' risultare molto consolatorio.