venerdì 27 dicembre 2019

COME SI DIVENTA ATEI

COME SI DIVENTA ATEI
Da adolescente, pensavo che la religione si trovasse nei libri sacri. Ci credevo perché mi era stato insegnato così. Inoltre, da persona che amava i libri trovavo tutto questo molto plausibile, ne ero addirittura lusingato. Tuttavia, ho riscontrato immediatamente che molti "adoratori del Libro" non amavano affatto i libri in generale. In tutto questo c'era quindi qualcosa che non andava.
Successivamente, ho rettificato il tiro e, leggendo Tommaso, ho pensato che la religiosità fosse essenzialmente una scelta razionale. Devo ammettere che per me è ancora così, ma se questa è una buona teoria per me, non riesco più a sostenere che sia una buona teoria generale della religione. Se giudico i miei correligionari vedo più che altro persone emotive, che danno poco spazio alla riflessione, all'analisi razionale della fede, a volte ne sono persino offesi. E così mi sono ritrovato in età avanzata senza una buona teoria della religione. Come rimediare?
Mi sono messo in ricerca e ho incontrato (sui libri) alcuni studiosi - sia atei che credenti - i quali sostenevano che l'atteggiamento religioso ha una profonda radice cognitiva, è cioè un fenomeno del tutto naturale e sempre lo sarà. L'essere religiosi si attaglia al nostro cervello. Il contorno dell'identità religiosa è modellato dalla storia, dalle liturgie e dalle teologie, ma le radici della sensibilità religiosa, sono antiche e primordiali. In questo senso mi sono ritrovato nello strano connubio tra Nuovi Atei e don Giussani: la scelta religiosa "ci corrisponde". Diversamente dai primi, però, non proseguivo pensando che la religione fosse una deviazione dalla retta via, un inciampo nella maturazione individuale. Al contrario: sfidare la nostra natura era per me, oltre che temerario, segno di immaturità.
Successivamente, mi sono avvicinato anche a chi sosteneva una comprensione funzionalista della religione, chi la vedeva come un adattamento culturale. Ci sono molti autori, infatti, che spiegano bene come la religione svolga particolari funzioni nella società o nella psicologia sociale. Spiegano come la religione, ad esempio, abbia reso possibile la cooperazione umana, e come sia stata fondamentale per consentire l'emersione della complessità sociale negli ultimi 10.000 anni. C'è un dibattito aperto sulla questione, e comunque sembra chiaro che la religione non sia stata affatto la "radice di tutti i mali", piuttosto qualcosa di indispensabile per governare la complessità sociale.
Una prospettiva culturale è importante per colmare la lacuna principale dell'antropologia cognitiva: come spiegare le variazioni nell'espressione della religiosità? Gli antropologi cognitivi avevano buone argomentazioni sul perché i fenomeni religiosi tendevano a incanalarsi in determinate direzioni (ad esempio, perché gli dei sono antropomorfi), ma non spiegavano, ad esempio, perché certe persone fossero atee o perché la religiosità oscillava nel tempo.
Le origini dell'incredulità rappresentano un banco di prova fondamentale per una buona teoria della religione. Quando si diventa atei? Ora bene o male lo sappiamo, e c'è un modo semplice per rispondere: la maggior parte delle persone si comporta come le pecore. In ambienti atei la persona comune trova le affermazioni religiose inverosimili. Al contrario, in ambienti religiosi le proposizioni atee sembrano ai più ridicole oltreché blasfeme. Proprio come per i credenti, molti atei non derivano affatto la loro "fede" da una riflessione. La religione, in questo senso, condivide molte caratteristiche con la politica e la cultura. In Italia amiamo l'opera ma non certo sulla base di profondi giudizi estetici!
L'ateo e il credente hanno una struttura mentale loro propria, nessuno lo nega, ma si tratta di pre-condizioni che conducono all'esito previsto (ateismo o fede) solo se immerse nel giusto contesto. Per esempio, la credenza in Dio o in altri poteri soprannaturali può essere collegata in modo cruciale alla capacità cognitiva umana di inferire gli stati mentali di altre persone ("mentalizzazione"). I credenti religiosi pensano intuitivamente alle loro divinità come esseri con stati mentali che anticipano e rispondono ai loro bisogni. Pertanto, l'incapacità di "mentalizzare" rende la credenza meno intuitiva. Questa capacità manca più spesso agli uomini, e cio' spiega il faith-gap. Tuttavia, la probabilità di diventare ateo è indotta dalla scarsa esposizione a stimoli culturali credibili dell'impegno religioso, in questo senso lo stile cognitivo del singolo ha un peso molto più ridotto.
Faccio solo un esempio, prendiamo una società avanzata del XXI secolo, sarà un posto dove è molto importante saper scrivere un programma per i computer. Ma per svolgere al meglio questo compito la capacità di "mentalizzare" è alquanto relativa. Si tratta di qualcosa destinato a perdere valore. Da cio' deriva il fatto che sempre più persone prive di questa abilità potranno comunque avere successo e creare un contesto di successo dove l'ateismo puo' trovare il giusto reagente e diffondersi a macchia d'olio.