martedì 23 luglio 2019

MALEDETTI FRANCESI… E MALEDETTI I LORO GIOCHI DI PAROLE.

MALEDETTI FRANCESI… E MALEDETTI I LORO GIOCHI DI PAROLE.

Da giovane questo libro mi ha fatto dannare l’anima. Non c’ho capito nulla ma non potevo ammetterlo a me stesso, per cui continuavo a tornarci su in modo estenuato, fino a che la carta maneggiata di continuo si liquefaceva come il cervello. Ero arrivato al punto di inventare significati elaborati facendo leva su appigli alquanto precari; il frasario era tortuoso, le parentesi si aprivano senza chiudersi e quando i singoli passaggi erano intellegibili, era poi impossibile metterli insieme ottenendo un senso compiuto. Per un ragioniere digiuno del sapere che conta è stato traumatico accostare la sacra montagna della filosofia scalandola da questo versante. Davo per scontato che libri rinomati pubblicati in collane prestigiose avessero un senso importante, non prendevo nemmeno in considerazione che potessero ridursi a poco più che sciarade o giochi di parole.

Nella sua creazione rapsodica, Derrida si ispirava al linguista svizzero Ferdinand de Saussure e al suo esoterico sistema delle “differenze”, una roba per cui il significato di parole come "caldo" deve essere ricompreso in qualche modo nel differenziale tra cio’ che si dice – ovvero “caldo” – e cio’ che non si dice, ovvero “freddo”. Ancora oggi non capisco bene se trattasi di una banalità o di una fertile intuizione foriera di conoscenza autentica, sta di fatto che per la tribù radunata intorno al guru il linguaggio non ha "termini positivi", ma è un flusso infinito di negazioni, il cui significato risiede sempre in cio’ che non si dice. Ecco Jacques Derrida va oltre, sostenendo che nessun segno significa qualcosa se isolato, e che il suo significato attende sempre un segno "altro", il segno che lo completa opponendosi a lui, ma a questo punto resti con una nuova unità linguistica priva di senso che attende il suo completamento. Insomma, il significato non è mai presente ma sempre differito, e noi ragionieri lo attendiamo come tanti Godot. In altre parole: se non capisci non fa niente, è così che deve andare, aspetta e goditi la rabbia del borghese che si innervosisce.

P.S. Mi sono pentito di questa lettura giovanile? Naturalmente dovrei dire sì ma ancora oggi, a distanza di decine d’anni, dico no e uso come pretesto il fatto che il libro mi ha comunque fatto conoscere scrittori come Antonin Artaud, Edmond Jabès, Maurice Blanchot e Emmanuel Lèvinas.