IL PROBLEMA DEI SONDAGGI
Sono almeno sei.
1) Correttezza politica. All'intervistato piace piacere. Insomma, ti dice quel che vuoi sentire. Se votare Berlusconi è disdicevole non ti dirà che l’ha fatto. Poi ci sorprendiamo delle “grandi rimonte” del Cavaliere.
2) Frame. Se dico che Tizio è pro-aborto oppure pro-choice ho detto la stessa cosa. Ma nel primo caso verrà fischiato, nel secondo applaudito. Insomma, nei sondaggi vige una sorta di principio di Heisenberg: basta chiedere per influenzare la risposta.
3) Analfabetismo. Ricordo che Bush crollò nei sondaggi perché aveva “tagliato” la sanità. In un sondaggio parallelo si chiedeva quale aumento di risorse si ritenesse auspicabile per la sanità: 2-3-4 o 5%? Solo un decimo degli intervistati optò per la misura massima del 5%. Ebbene, i “tagli” di Bush consistevano in una riduzione degli aumenti della spesa sanitaria dal 6% previsto al 5%.
4) Partita doppia. Alla gente non piace la partita doppia, forse nemmeno la capisce. Insomma: ama gli aumenti della spesa pubblica e allo stesso tempo odia quelli delle tasse. In questo modo ogni parte politica ha il suo sondaggio da sventolare. La sinistra brandisce entusiasta il suo: “la gente è con noi, vuole più risorse per scuole e ospedali…”. La destra indica il suo preferito: “la gente è con noi, vuole meno tasse e meno burocrazia…”.
5) Fragilità. Basta una notizia e i sondaggi si capovolgono.
6) Polarizzazione. Se sulla scena c’è un Salvini che ostenta politiche anti-immigrazione, quei moderati (che fino a ieri proponevano “l’ora di legalità” nelle scuole) si trasformano in fanatici che vedono nell’illegalità acclarata del clandestino un diritto umano da difendere in tutti i costi. Se c’è un leghista che parla di autarchia, anche chi sfilava a Genova si trasforma immantinente in un liberista della Mont Pelerin Society.
Conclusione: la pubblica opinione esiste? Comincio a dubitarne.