Ubiquità dell’ambiguo
Seguivo ieri sera alla TV un talk politico.
All’inizio mi sembrava di capire, dopo ho cominciato a dubitare e infine non capivo bene nemmeno cosa dovessi capire. Più urlavano, più ero disorientato.
Ne sono uscito con un’unica certezza: la lingua della politicaè talmente evanescente che ti spiazza di continuo. Decisamente frustrante!
Ma perché una comunicazione tanto ambivalente? E, per uscire dal particolare, perché il linguaggio ambiguo sembra così ubiquo?
A questo punto forse è meglio fare qualche precisazione per evitare facili equivoci. La mia non è affatto un’invettiva contro i politici ma una curiosità linguistica! Veniamo ora alle tre precisazioni.
SUPERFICIALITÀ
Siccome sono partito dalla politica e dalla Tv, so cosa potrebbe pensare qualcuno. No, non mi interessa l’ambiguità come effetto collaterale dell’imprecisione e della superficialità. Al contrario, mi interessa come forma particolarmente sofisticata dell’interlocuzione.
ABBREVIAZIONI
Non mi interessano nemmeno le ambiguità linguistiche che emergono da esigenze stenografiche. Certo, capita talvolta che per sintetizzare un concetto complicato si ricorra a formule poco esaustive che finiscono poi per risultare vaghe, un sacrificio che talvolta vale la pena di fare. Ma questo lo capisco e non mi interessa. Mi interessa invece l’utilizzo di formule ambigue quando potremmo senza costi rilevanti essere più precisi.
MANIPOLAZIONE
Non mi interessano neanche le ambiguità linguistiche utilizzate per manipolare e confondere il prossimo. Il caso che faccio, sia chiaro, è solo quello di persone che, con interessi allineati, ricorrono a discorsi indeterminati.
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Al momento le soluzioni per me più convincenti all’enigma sono le tre che espongo di seguito.
LA SOLUZIONE DELL’ INCENDIO
Il cinema va a fuoco, l’assembramento che si crea all’uscita blocca il deflusso e causa una strage. Oltre il 40% del pubblico, quello più lento nel guadagnare l’uscita, non ce l’ha fatta.
Qualora il deflusso fosse stato ordinato, il sacrificio si sarebbe potuto contenere al 10% del pubblico in sala.
Qualcuno pensa: “ah se solo l’avessero saputo”.
Errato. il fatto di “sapere” non avrebbe cambiato alcunché. Chi corre più veloce si assicura comunque la salvezza, e poco importa se tutti sanno che evitando di correre sia possibile limitare i danni… uno si dice: “certo potrei camminare ma se poi gli altri si mettono a correre a tradimento per non rischiare di essere nel 10%? Non è che è meglio anticiparli?”. E via che si parte a correre.
Cosa occorre allora per minimizzare i danni? Non la conoscenza semplice ma la cosiddetta conoscenza “comune”, ovvero un’ignoranza specifica nonché una voce autorevole che con formule ambigue inviti a non correre.
Una voce è autorevole non solo quando siamo disposti a crederle ma quando sappiamo che anche gli altri sono disposti a crederle e sappiamo che gli altri sanno che noi siamo disposte a crederle… e via all’infinito. Se non si raggiunge l’infinito la voce non puo’ definirsi “autorevole”.
inoltre è necessario mantenere una certa ignoranza grazie a messaggi ambigui: se la voce autorevole ricorresse ad una formula precisa del tipo “se non correte morirà solo 1/10 di voi e minimizzeremo i danni”, la gente correrebbe, lo abbiamo visti prima.
D’altro canto, se la voce autorevole sparasse una balla clamorosa del tipo “solo se non correte ci salveremo tutti”, perderà ogni autorevolezza restando inservibile per i bisogni futuri della comunità.
E’ la vaghezza e la reticenza del messaggio dato a salvare capra e cavoli.
Esempio: il saggio esclama: “non correte, per dio!”, oppure “ forse meglio per tutti non correre!”.
In questo modo la gente non corre poiché si fida dell’autorità ma soprattutto perché sa che anche gli altri si fidano eccetera.
Allo stesso tempo, in questo modo l’autorità non perde in autorevolezza poiché giocando con parole vaghe nessuno potrà mai accusarla di aver mentito, tutti constateranno che nel complesso aveva ragione “è stato meglio non correre”.
Avere e coltivare una “voce autorevole” è massimamente richiesto a sacerdoti e politici, entrambi svolgono incarichi pastorali. La vaghezza è un prezioso timone quando si pilotano le greggi.
LA SOLUZIONE MAMMA
Mia mamma è curiosa di quel che mi succede sul lavoro ma non ha la minima idea di cosa io faccia esattamente e nemmeno le competenze per capirlo. Io del resto sono un musone e lei sa che di mia iniziativa non contribuirò mai a soddisfarla.
A volte ripete a pappagallo alcuni termini orecchiati, tipo: “spesometro”, “reverse charge”, “esimente”… ma non sa cosa dice.
Vorrebbe domandare per innescare una discussione ma questa sua ignoranza la frena.
La sua curiosità è legittima, io sono la persona più cara che ha al mondo e passo almeno otto ore al giorno in ufficio, le sembra assurdo non saper nulla di quella dimensione della mia vita.
Qual è allora la sua strategia? Butta lì domande “vaghe” a cui io (il rispondente) sono chiamato a dare un contenuto più specifico.
A volte ci prova con un generico “avete da fare? Siete presi? Avete in ballo delle scadenze? E poi quello là che doveva sposarsi che fine ha fatto? Come va con lo “spesometro”?”
Il più delle volte la mia musonaggine mi porta a reazioni violente: il nostro lavoro è tutto una scadenza, una domanda del tipo “siete presi con le scadenze” segnala incomprensione da parte sua e frustrazione da parte mia che non sentendomi capito aumento lamia ansia.
Ma altre volte, quando sono in vena, mi sbottono e comincio a parlare della vita di ufficio in termini a lei comprensibili. Ha ottenuto il suo obbiettivo. Non solo, capita a volte che io mi sbottoni e si finisce per parlare di qualcosa in cui lei – miracolo! – è competente. Non di rado ottengo anch’io a sorpresa info preziose e consigli da mettere a frutto.
Ma come si realizza tanto “bene”? Grazie ad una richiesta vaga – che nemmeno il richiedente saprebbe precisare – resa possibile da un linguaggio vago.
Il linguaggio vago, allora, puo’ avere anche questa funzione: favorisce la cooperazione nella ricerca della verità specie quando non sappiamo esattamente cosa stiamo cercando.
SOLUZIONE ONDA VERDE
A volte parliamo di fronte ad una platea avendo l’esigenza di far capire una cosa a certe persone e un’altra ad altre.
In questi casi il linguaggio ambiguo aiuta.
Ho in mente i criminali, dovendo sempre vivere al coperto ricorrono di continuo a codici ambigui.
I mafiosi, in particolare. Il loro linguaggio è talmente spettacolare che c’hanno costruito su un intero filone cinematografico.
Ma penso anche all’ “Onda verde viaggiare informati” quando deve segnalare incidenti e indicare vie alternative.
In presenza di un incidente si formano lunghe code ma dirottare tutti su una via alternativa – magari angusta – peggiorerebbe ulteriormente le cose.
Ammettiamo che la soluzione ideale sia questa: indirizzare nella via alternativa il 60% del traffico e lasciarne il 40% sulla via principale dove si è registrato l’incidente. Ebbene, come dare l’informazione al fine di produrre esattamente questo esito?
E’ necessario che, ascoltando le stesse parole, alcuni automobilisti – il 60% – pensino che sia meglio prendere la via alternativa e altri – 40% – che sia meglio restare sulla via dell’incidente. Probabilmente l’obbiettivo non verrà mai centrato in pieno ma se uno padroneggia le ambiguità del linguaggio puo’ andarci vicino
E’ quello che dicevo prima: comunicare cose differenti a persone differenti usando un unico messaggio. Un’esigenza che si soddisfa grazie al linguaggio ambiguo.
CONCLUSIONE
Perché ritengo tanto importante dare un senso positivo al linguaggio ambiguo?
Forse perché rinforza il senso di alcune attività umane particolarmente focalizzate sul linguaggio ambiguo: penso all’arte.
Cosa significa questo? Cosa significa quello? Nell’arte domande del genere ricorrono. Non sono insensate. Purché si sappia che non esistono e non devono esistere risposte univoche.
Nella musica, in particolare. Il significato a cui rinvia un brano è e deve essere altamente ambiguo: tra tutte le arti la musica è la più astratta.
Per questo la musica “a programma” è spesso considerata di serie B (e lo sarebbe sul serio se fosse davvero vincolata al “programma”).
Sara – che insegna musica ai bimbi – mi riferisce che, personalmente, “osa” attribuire un significato preciso alla musica solo se in origine lo ha fatto l’autore, per esempio il Vivaldi de “Le quattro stagioni”.
La capisco in concreto – la deferenza verso l’autore è garanzia di rigore – ma in astratto ha torto. Perché?
Basta porsi una domanda: “Le quattro stagioni” sono una musica riuscita? Sì, allora non sono meno ambigue di altre musiche in cui l’autore non ha specificato affatto alcun significato.
Il che non significa solo che quest’opera deve conservare la sua ambiguità per conservare la sua bellezza ma che noi ascoltatori – per qualsiasi musica – siamo autorizzati a rintracciare significati completamente alieni dagli intenti originari dell’autore. L’importante è non fissarsi, poiché l’ambiguità sopporta bene l’attribuzione di un significato ma non di un significato univoco.
POSTILLA
Ma se ambiguità e socialità convivono in modo felice, sembra che anche ambiguità e stupidità abbiano un canale comunicativo privilegiato.
Sembra infatti esserci un robusto legame tra l’apprezzamento di vaghi aforismi e la scarsa intelligenza del lettore.
Molta gente – io compreso – posta roba del genere su Facebook.
Quanto più la “profonda sentenza” è vaga, tanto piùimpressiona chi ha un quoziente intellettivo sotto la media.
Esiste anche un sito per generare frasi ad effetto: voi date le parole giuste e lui le mette insieme in modo random ma sufficientemente enigmatico.
Bisognerebbe forse distinguere tra aforisma e aforisma, tra sentenza e sentenza. Nonostante questo, mi sembra credibile che esistano personalità più inclini a farsi sedurre dallo stile gnòmico.
Chi attribuisce grande valore a certa saggezza in pillole riesce meno di altri a distinguerla dalla saggezza insensata(espressa in frasi sintatticamente corrette che mischiano le parole a casaccio).
Si tratta di persone poco riflessive, con bassa capacità cognitiva, più inclini a vedere cospirazioni, a credere nella medicina alternativa, a nutrire credenze religiose e paranormali.
Se ambiguità e socialità formano una solida coppia, ambiguità e stupidità non sono da meno. A questo punto credo proprio che troppa intelligenza sia all’origine di un eccesso di individualismo.