martedì 14 novembre 2017

Sulla nuova linea di Comunione e Liberazione

Sulla nuova linea di Comunione e Liberazione

Innanzitutto, eccola: basta con le certezze, basta con l’ autoproclamazione identitaria, basta con le “teorie” inamovibili (i dogmi?), basta con le proprie ragioni ad occupare tutto, basta con le correzioni.
Ora bisogna “dialogare” e cioè “ascoltare l’altro”, senza più dare troppo peso ai manuali e ai catechismi, rimettendo continuamente in forse le conclusioni e rileggendo ogni cosa in un “dinamismo di verifica nel reale”.
Nel caso della scuola, tanto per dire, questo si traduce nel fatto che  l’ identità e l’impegno per la libertà di educazione devono scansare la mummificazione nell’ideologia.
Bisogna superare le colonne d’Ercole e non fermarsi agli schemi, entrando invece nella personalità dei ragazzi.
Vittadini sul nuovo corso: “la scuola deve essere un cambiamento di teoria. Alla fine dell’anno non si capisce più chi è comunista, cattolico o agnostico perché un uomo intelligente cambia idea e i ragazzi sono contenti”.
Le accuse e lo sbalordimento di molti è stata la naturale conseguenza di parole tanto nette.
Ma sono in molti a difendere la svolta. SecondoMaurizio Vitali (ex direttore del mensile ciellino Tracce), Vittadini non ha detto che “nel dialogo è bene che si perda la certezza dell’identità e si cambi idea”, come vorrebbe chi lo accusa.
Ecco allora che si creano due fronti: da un lato i fautori del nuovo corso che chiedono una maggiore apertura del movimento, minimizzando i pericoli che cio’ comporterebbe; dall’altro chi vede nelle aperture indiscriminate un’ inevitabile perdita di identità.
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Personalmente credo abbiano ragione entrambi: 1) bene il dialogo, 2) nella coscienza che una tale pratica indebolisce la nostra identità.
Se un uomo di fede dialoga sul serio con un ateo, il primo perde parte della sua fede, il secondo ne guadagna un po’. Se non si realizza niente del genere non possiamo parlare di dialogo.
Ma un conto è indebolirsi, un altro liquefarsi. Ecco allora il problema centrale da risolvere: che rischi reali comporta l’apertura.
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I ciellini sembrano oggi- in piena era di globalizzazione – più coscienti del pericolo di settarismo.
Non sorprende che l’allarme scatti proprio ora, già il sociologo Claude Fischer metteva in guardia: “quanto più la società è diversificata, tanto più si tende a rinchiudersi tra simili… oggi più che mai i bambini delle classi abbienti tendono a vivere, giocare e imparare stando tra loro”.
Al di là dei sociologismi è chiaro che dietro c’è l’opzione papista: l’ombra lunga di Francesco si fa sentire. Di fronte a un papa che divide, CL sembra aver compiuto la sua scelta.
Ma, attenzione, cosa succede realmente quando ci si apreall’altro?
Per fortuna la sociologia politica ha già studiato a fondo il fenomeno contrapponendo la figura del militante (chi si chiude) a quella del “terzista” (chi si apre). In cosa si differenziano questi due prototipi?
Uno penserebbe che il discorso politico sia destinato ad arricchirsi quando incorpora le istanze della controparte. In modo un po’ sorprendente l’evidenza empirica ci segnala il contrario: fermezza e dogmatismo impediscono di scivolare dentro una melassa indistinta in cui tutte le vacche diventano grigie e il discorso una sterile palude senza riferimenti.
Il destino di chi si “apre” è spesso quello di andare in confusione e vagare senza bussola, mentre quello del dogmatico è di mummificarsi in slogan che urla ritmicamente con le orecchie tappate.
Il “militante”, per lo meno, ha voglia di partecipare, ha voglia di stare con i propri simili, questo anche se il suo contributo nella crescita comune risulta piuttosto ottuso. Diciamo che la sua condizione è la meno peggio per i sostenitori della “democrazia partecipativa” (quella che ha per obbiettivo il coinvolgimento).
Il terzista è invece confuso, tende a desistere, a voler tirarsi fuori, questo anche se la sua partecipazione potrebbe essere fruttuosa. La sua condizione è la meno peggio per i sostenitori della cosiddetta “democrazia deliberativa” (quella che ha come obbiettivo di scegliere bene).
Nella misura in cui le persone sono invitate ad allargare le loro relazioni si pensa ad una maggiore apertura mentale e ad un contributo di maggior pregio. Illusione!: chi apre la propria mente – e lo fa sul serio – finisce per rifugiarsi in un ozioso agnosticismo che azzera il suo contributo.
Entusiasmo e ponderatezza possono convivere? No. Quasi sempre no. Entusiasmo e ponderatezza costituiscono un dilemma per il credente.
I ciellini dovrebbero partire da questa base empirica per ragionare sul loro futuro.
Ampliare la rete delle proprie relazioni non serve: più le reti si amplificano, più il conformismo domina.
Nel fiume della grande società il membro minoritario non discute con altri membri minoritari ma con il leviatano conformista che lo assoggetta all’istante: non c’è niente di piùappiattente della “società diversificata”.
Quando si esce dalla propria “tana” per buttarsi nel grande mare della società aperta il destino è segnato: si viene travolti da un conformismo indistinto che forse è ancora peggio del settarismo asfissiante.
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Non c’è una via di mezzo? E se sì, dove posso trovarla?
Anche qui la ricerca politica puo’ esserci utile e, per fortuna, ha una risposta abbastanza consolante,
Sì, una via di mezzo puo’ esserci: è la franca discussione a quattr’occhi.
Il gruppo ristretto è la via di fuga alla Scilla del settarismo élitario e alla Cariddi del conformismo di massa.
Nel micro-gruppo la doppia pressione settarista/conformista si allenta.
E’ nel piccolo gruppo che si puo’ cambiare posizione mantenendo la bussola. E’ nel piccolo gruppo che si evolve sopportando la grande sofferenza che questo comporta.
Penso allora a un piccolo gruppo di persone molto simili che si parlano però a viso aperto, senza l’esigenza continua di confermarsi in modo compulsivo con un “mi piace”.
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