mercoledì 24 maggio 2017

Un avamposto del progresso

E’ un esemplare racconto di Joseph Conrad. Merita una lettura. Dentro ci puoi trovare:
  • Cose rotte che si accumulano misteriosamente attorni a uomini trasandati.
  • Veglie funebri su cui aleggia un fastidioso “te l’avevo detto”.
  • Individui insignificanti trascinati a mete ragguardevoli grazie al solo fatto di stare acquattati dentro una moltitudine incivilita.
  • Nervi civilizzati messi a dura prova dall’esposizione all’insolito che sprigiona il “selvatico”.
  • Il rimpianto per i pensieri senza sforzo di un impiegato governativo.
  • Il rimpianto per il veleno lieve del pettegolezzo malevolo che serpeggia sempre nella vita d’ufficio.
  • Amicizie cameratesche, ovvero uomini che finiscono per volersi bene accumunati dalla loro stupidità e dalla loro pigrizia. Insieme non fanno niente se non godersi la sensazione di scioperataggine per cui vengono pagati.
  • Occhi allarmati sempre in movimento.
  • Foreste immense che celano fatali complicazioni incomprensibili all’uomo bianco.
  • Un fulgido esempio di “integrazione” tra razze diverse:… alle volte Gobila veniva a visitarli. Gobila era il capo dei villaggi vicini. Era un selvaggio dalla testa grigia, magro e nero, con un panno bianco attorno ai lombi e una pelle rognosa di pantera che gli pendeva sulla schiena. Arrivava con lunghe falcate delle sue gambe da scheletro, dondolando un bastone alto quanto lui e, entrando nella stanza comune della stazione commerciale, si accoccolava sui talloni a sinistra della porta. Restava lì seduto, guardando Kayerts, e di quando in quando faceva un discorso che l’altro non comprendeva. Kayerts, senza interrompere la propria occupazione, di tanto in tanto diceva in maniera amichevole: «Come vanno le cose, vecchio idolo?» e si sorridevano l’un l’altro. I due bianchi provavano simpatia per quella creatura vecchia e incomprensibile, e lo chiamavano Papà Gobila. I modi di Gobila erano paterni, e sembrava veramente volere bene a tutti gli uomini bianchi. Gli apparivano tutti molto giovani, tutti uguali senza distinzioni (eccetto per la statura), e sapeva che erano tutti fratelli, e pure immortali. La morte dell’artista, che era il primo uomo bianco che aveva conosciuto da vicino, non aveva incrinato questa fede, perché era fermamente convinto che lo straniero bianco avesse fatto finta di morire e si fosse fatto seppellire per qualche sua misteriosa ragione, sulla quale era inutile indagare. Forse era la sua maniera di tornare a casa al suo paese? In ogni modo, questi erano i suoi fratelli, e lui aveva trasferito il suo affetto assurdo su di loro. E quelli in un certo senso lo ricambiavano. Carlier gli dava pacche sulle spalle, e accendeva fiammiferi sconsideratamente per farlo divertire. Kayerts era sempre disponibile a fargli annusare la bottiglia di ammoniaca. Insomma, si comportavano esattamente come quell’altro bianco che si era nascosto in un buco nel terreno. Gobila li studiava attentamente. Forse quei due e l’altro erano un essere solo – o forse uno dei due lo era. Non riusciva a decidere – a chiarire quel mistero; ma rimaneva sempre molto amichevole…Gesticolava alquanto, e si interrompeva del tutto inaspettatamente. C’era qualcosa nel tono di lui, nel suono delle lunghe frasi che usava, che faceva trasalire i due bianchi. Era come una reminiscenza di qualcosa di non esattamente familiare, e che tuttavia rassomigliava alla parola degli uomini civilizzati. Suonava come uno di quei linguaggi impossibili che a volte si ascoltano in sogno…
  • Immigrati infelici che rimpiangono i festosi incantesimi, le stregonerie, i sacrifici umani della loro terra.
  • Guerrieri ridotti a manovali: se fossero stati di un’altra tribù qualsiasi si sarebbero risolti a morire… e invece persistevano stupidamente a vivere nella malattia e nell’afflizione. Lavoravano molto poco, pigramente, e avevano perso la loro splendida prestanza fisica.
  • Il lavoro dei selvaggi: tagliare l’erba, costruire una staccionata, abbattere alberi, eccetera, eccetera, cose che nessuna forza al mondo poteva indurli ad eseguire con efficienza…
  • La caccia all’ippopotamo: gli spari nel fiume ma se poi non hai la barca per recuperarlo quello affonda e ti saluto.
  • Accessi di rabbia in cui urli a pieni polmoni la necessità di sterminare tutti i negri per poter rendere il paese abitabile.
  • Compagni di cella che colo tempo, giorno dopo giorno, si fanno rauchi, sarcastici e inclini a dire cose spiacevoli chiamando tutto cio’ “essere franco con te”.
  • Gente che vive per mesi di riso bollito senza sale: bisogna aver vissuto di una dieta simile per scoprire che orribile problema possa diventare la necessità di inghiottire il proprio cibo.
  • La paura, ma la paura vera: la mattina non avresti potuto percorrere un metro senza gemere dal dolore. E adesso stai correndo…