L’ educazione alla virtù è piuttosto fuori moda, tuttavia Angela Knobel la difende nel saggio “Is Character Necessary for Moral Behavior?”.
L’educazione alla virtù dovrebbe tendere a forgiare un carattere “virtuoso” (coraggioso, prudente, forte, controllato…).
Essere virtuosi significherebbe quindi possedere un’inclinazione alla giustizia e all’azione degna di lode.
Aristotele e San Tommaso sono i filosofi che più hanno sponsorizzato questa via al bene.
C’ è chi si oppone all’approccio facendo notare che i caratteri sono piuttosto rigidi, anche in tenera età: volerli piegare alla virtù è velleitario e rischia di produrre forzature.
Ci sono anche altri rischi: l’educazione alla virtù fa uso della ripugnanza come segnale etico. In altri termini: una persona “ben educata” riconosce il male dalla sua “puzza”. Che ne penserà costui del “matrimonio omosessuale”? E del divieto di vendere organi umani (tipo i reni)? Si tratta di istituzioni che, al limite, possono essere accettate ragionando, se ci affidiamo al nostro istinto immediato potremmo prendere una decisione errata.
A difendere le virtù sono rimasti i religiosi: costoro non si accontentano di una morale minimale (cosa non bisogna mai fare) ma vogliono di più (cosa è lodevole fare). Ora, mentre esiste una bussola per la morale minimale, è difficile orientarsi quando si ambisce alla vita perfetta: quello che serve allora è una coscienza ben formata che sappia discernere al meglio nella contingenza.
A fianco dei religiosi c’è solo lo psicologo evoluzionista: per lui l’istinto prevale ed è quindi l’istinto, per quanto possibile, a dover essere “educato” in tenera età.
Ma quali sono i reali vantaggi della virtù? E’ davvero necessario essere coraggiosi per fare gesti coraggiosi?
A prima vista no: spesso persone non particolarmente coraggiose compiono azioni coraggiose se convinte della loro bontà.
Eppure c’è un collegamento tra prontezza nell’azione e carattere della persona. Considerate una situazione di questo tipo…
… Suppose you and a friend witness a terrible accident: a vehicle loses control, crashes into a tree, and begins to burn with the driver trapped inside. Let’s assume that it’s possible to save the driver, that going to his aid would be courageous, not reckless or foolhardy. Your friend, who is courageous, immediately springs into action. Before other bystanders have fully registered what has happened, he has rushed to the vehicle, found a means of breaking the window, and is in the process of dragging the unconscious driver to safety. If you are not particularly courageous yourself, it’s unlikely that you will react as your friend does. For one thing, you probably won’t react as quickly or decisively, even if you do want to help. You might, for instance, have a hard time deciding what to do and an even harder time doing it. In other words, you will have to wrestle with your fear of being burned or otherwise injured— even if you end up doing the courageous thing…
La persona coraggiosa compie il suo gesto senza un travaglio interiore. A volte costui sembra addirittura ansioso di compiere il “bel gesto”. Di certo agisce più prontamente, e questo in molti casi conta: in condizioni di emergenza è soprattutto su di lui che possiamo fare affidamento.
Ma cosa succede se non siamo di fronte al bambino caduto nel fiume o alla macchina che prende fuoco? Le virtù sono ancora utili? Sembrerebbe di no: il non-virtuoso, una volta risolta la sua crisi interiore, è anch’esso disponibile all’azione dopo che ha soppesato i pro e i contro.
Eppure, c’è un legame anche tra carattere e percezione morale. Per coglierlo facciamo un caso meno drammatico del precedente…
… Peter, seeing that the walks are icy and worried that his elderly neighbor might slip and fall, salts his neighbor’s walk as well as his own. Paul, seeing how much cleaning up there is to do after a friend’s party, stays behind to help wash the dishes…
Nelle nostre vite ci sono molte piccole cose buone che possiamo fare, ma pochi di noi se ne accorgono. Se qualcuno ce lo chiede esplicitamente poi acconsentiamo con entusiasmo. Altrimenti… Se il vecchietto della porta accanto ci chiede una mano noi ci precipitiamo. Se non lo anticipiamo intervenendo di nostra sponte – probabilmente - è perché non abbiamo un carattere morale ben formato.
Spesso non pensiamo di aiutare i nostri ospiti a riordinare la casa dopo una serata trascorsa insieme. Ebbene, ad una persona virtuosa un gesto del genere viene d’istinto. Una persona gentile è gentile, non deve pensare “ora è il momento giusto per essere gentili”, lo è per inclinazione, di conseguenza difficilmente “dimenticherà” di essere gentile.
La differenza tra l’ “essere” e il “fare” si riflette quindi sia nei grandi che nei piccoli gesti.
Ecco come pensa il vizioso:
… When we wake up to find our sidewalk coated in ice, our first thought is likely of the inconvenience this poses to ourselves— to our own risk of injury and our own well-being. It’s not that we consciously disregard the well-being of our neighbor but, rather, that we don’t habitually think of our neighbor’s well-being much at all…
Chi è gentile pensa in termini molto diversi, in casi del genere avere un carattere ben formato è un pre-requisito per agire in modo corretto: se non siamo virtuosi non riconosciamo il bene.
Qualcuno pensa che le le convenzioni sociali possano rimpiazzare la virtù soggettiva: facciamo in modo che certi comportamenti siano vergognosi e la virtù diventa superflua. Ma spesso la convenzione sociale fallisce…
… If I desire social approval and I know that society expects a certain kind of behavior, then I will have reason to do it— when someone is watching. Only when I see the relevant actions as desirable for their own sake will I have a reliable reason to do them no matter what…
E la legge formale come sostituto della virtù? Una società che imponga la “vita perfetta” è un incubo. Inoltre, non favorisce la conoscenza: la morale va esplorata consentendo esperimenti alternativi tra loro.
C’ è infine il problema della circolarità…
… If I have to know what is virtuous in order to do it, isn’t virtue circular?…
Aristotele risolveva con il concetto di “phronimos”…
… Even if we are not ourselves virtuous, we can still recognize people who seem to have “gotten it right,” and we can imitate them. As we make progress in modeling ourselves after these exemplars, we grow in virtue…