Le bombe del 12 dicembre 1969 furono cinque. Tre vennero piazzate a Roma, due a Milano. Delle cinque in totale, quattro deflagrarono e una noRead more at location 3258
Il succinto riepilogo della catena delle esplosioni è sufficiente a rilevare una sostanziale differenza tra la bomba di Piazza Fontana e le altre: l’ordigno depositato presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura fu l’unico a uccidere,Read more at location 3267
Si pose dunque sin dall’inizio una serie di interrogativi sulle finalità degli attentatiRead more at location 3270
Chi collocò la bomba, cioè, sapeva che stava per compiere un massacro? O pensava che la banca, vista l’ora, fosse già chiusa al pubblico?Read more at location 3272
perché ci sono stati morti soltanto in seguito a un’esplosione, mentre le altre quattro non hanno provocato vittime?Read more at location 3274
L’opinione prevalente è che la strage sia stata voluta, ma i pareri contrari non sono mai mancati. Il dibattito è aperto,Read more at location 3278
è stata ripresa anche da notori antifascisti per nulla inclini a minimizzare, come il più volte ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani: La bomba di Milano non avrebbe dovuto provocare morti.Read more at location 3284
Perché ho scritto che le bombe del ’69 a Milano non avrebbero dovuto provocare morti? Per due ragioni. Perché le bombe contemporanee di Roma furono volutamente collocate in modo da evitare stragi. E perché – una volta verificato che nel crimine erano implicati anche uomini delle istituzioni – non è supponibile che essi cinicamente pensassero di uccidere tanti innocenti.Read more at location 3289
il coinvolgimento di uomini delle istituzioni nella progettazione ed esecuzione del crimine è stato ipotizzato da talune inchieste giudiziarie, ma non suffragato dalle relative sentenze e riceve scarso credito anche in sede storiografica, dove piuttosto si va consolidando l’idea che gli stragisti abbiano ricevuto appoggi sotto forma di coperture e depistaggi soltanto dopo il massacro.Read more at location 3294
Considerato che l’esplosione nel sottopassaggio causò alcuni feriti e altri se ne registrarono presso l’Altare della Patria, le bombe senza vittime sono due su cinque, cioè meno della metà.Read more at location 3306
è presumibile che nei cinque episodi in questione i rispettivi attentatori, sebbene con ogni probabilità abbiano agito d’intesa fra loro, sapessero che i singoli risultati sarebbero stati diseguali. Questo però non esclude che i criminali fossero determinati a uccidere in almeno un caso,Read more at location 3311
limitando le conseguenze negli altri quattro casi, intendessero riservarsi margini di escalationRead more at location 3313
Alle 15.30, quindi, chi lasciò la borsa contenente la bomba si trovava in mezzo alla folla e assai difficilmente poteva ignorare che la clientela, come tutti i venerdì, si sarebbe trattenuta ancora a lungo.Read more at location 3325
Nel 2009, il libro Il segreto di Piazza Fontana del giornalista Paolo Cucchiarelli e ancor più Romanzo di una strage, il film diretto da Marco Tullio GiordanaRead more at location 3332
La prima sarebbe stata di bassa potenza, simbolica o quasi, e sarebbe stata piazzata da qualcuno – Valpreda, secondo il libro; manovalanza neofascista, secondo il film – il quale ignorava che altri avrebbero affiancato alla sua un secondo ordigno, quest’ultimo fatto per uccidere.Read more at location 3334
A detta di Cucchiarelli, il pomeriggio del 12 dicembre 1969 Valpreda arrivò sul luogo della strage in taxi e, su un secondo taxi, arrivò un suo sosia fascista. Dopo l’attentato, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda mentirono agli inquirenti:Read more at location 3336
Aldo Giannuli e altri studiosi già criticarono a fondo la tesi della doppia bomba mettendo in rilievo che essa, per coerenza interna, ha richiesto altresì di ipotizzare due attentatori, due taxi che li accompagnarono sul luogo, due cordate di mandanti, due scopi: in pratica «doppio tutto».Read more at location 3348
Giorgio Boatti, giornalista e scrittore di storia dell’Italia contemporanea, ha tuonato contro il «delirio di sdoppiamento»Read more at location 3352
Adriano Sofri ha completato l’opera di «smascheramento del Raddoppio Universale» attraverso una serie di contestazioni,11 alle quali Cucchiarelli ha fornito una risposta nel complesso piuttosto debole.12 Esordire, come ha fatto Cucchiarelli, domandando: «Caro Sofri, cosa gliene cale a lei se a Piazza Fontana sono esplose una o due bombe?» dà la sensazione di essere a corto di argomenti.Read more at location 3354
Sofri argomenta in maniera brillante e valendosi di documentazione probante che il presunto sosia di Pietro Valpreda nonché esecutore della strage in realtà era una giovane donnaRead more at location 3359
Se Cucchiarelli non conosceva quei verbali, adesso dovrebbe ricredersi. Se invece li conosceva, avrebbe dovuto tenerli nella massima considerazione e informarne i lettori.Read more at location 3375
Da parte sua Giordana, rispondendo alle critiche piovute sulla sua opera cinematografica, ha scritto che la doppia bomba non è «il centro del film,Read more at location 3380
La magistratura, dal canto suo, ha rigettato in toto la storia della presunta doppia bomba, portata alla sua attenzione nell’estate 2009 dall’ufficiale dei carabinieri Massimo Giraudo,Read more at location 3385
Cucchiarelli dice di avere ricevuto informazioni confidenziali da un ignoto «Mister X» il quale operava nella destra eversiva romana all’epoca degli attentati, e si è rifiutato di svelarne l’identità sia a loro, sia a Giraudo. Gli altri contributi investigativi che si sono aggiunti al libro di Cucchiarelli fanno riferimento alle dichiarazioni rese da tre personaggi: due ex fascisti, Gianni Casalini e Giampaolo Stimamiglio, e tale Alfredo Virgillito. Circa l’apporto di Stimamiglio, «è facile rilevarne la genericità da un lato e l’inutilità a fini investigativi dall’altro» scrivono Pradella e Spataro. Stimamiglio, infatti, si limita a riferire notizie de relatoRead more at location 3398
Gianni Casalini e Alfredo Virgillito sono due soggetti mentalmente disturbati, come abbondantemente certificato dalle rispettive strutture mediche curanti.Read more at location 3404
La «generale insoddisfazione giuridica e sociale» dei cittadini per il fatto che la strage sia rimasta impunita – si legge nel decreto di archiviazione – non può «costituire una ragione sufficiente per protrarre all’infinito indagini prive di serio fondamento», ancorché forse lenitive della ferita tuttora aperta. Le terapie psicologiche di massa non competono alla magistratura.Read more at location 3420
la sussistenza di un presunto patto segreto e inconfessabile tra due cordate capeggiate rispettivamente dal presidente della Repubblica Saragat e dal ministro degli Esteri MoroRead more at location 3430
Inoltre la faccenda, come si vedrà, coinvolgerebbe pure il presidente del Consiglio Mariano Rumor e rappresenterebbe il movente nascosto dell’attentato contro di lui compiuto nel 1973 da Gianfranco Bertoli, nel quale l’uomo politico si salvò, ma quattro persone persero la vita e altre cinquantadue rimasero ferite (l’attentatore fu arrestato in flagrante).Read more at location 3433
un volume uscito nell’ottobre 1978, intitolato Il segreto della Repubblica. Il testo era firmato Walter Rubini, pseudonimo sotto il quale si celavano l’ex partigiano Fulvio Bellini e suo figlio Gianfranco, fu stampato dalla minuscola casa editrice milanese Flan e distribuito dalla catena Feltrinelli.Read more at location 3437
L’opera fu riscoperta negli anni Novanta dal giudice istruttore Guido Salvini, che le diede credito e la utilizzò in sede di ricostruzione dei fattiRead more at location 3443
il segreto della Repubblica di cui essi parlano consisterebbe in un «compromesso […] fra due ampie aree politiche, una autoritaria e quasi filo-golpista e una più cauta e non disponibile a ridurre gli spazi di democrazia». La prima area, «definibile come Partito americano», faceva capo a Saragat, la seconda a Moro, mentre Rumor, dapprima allineato con Saragat, sarebbe passato dalla parte di Moro a seguito dei funerali delle vittime della bomba di Piazza Fontana, caratterizzati da un’impressionante mobilitazione popolare.Read more at location 3448
L’intesa avrebbe comportato da parte del Quirinale «l’abbandono della pregiudiziale anti-Psi e del progetto di scioglimento delle Camere»Read more at location 3452
in cambio, Moro avrebbe rinunciato a dirottare le indagini relative alla strage di Piazza Fontana dalla pista anarchica alla pista fascista. In questa maniera, «la verità sulla strage di Piazza Fontana viene sacrificata».Read more at location 3454
Il presupposto implicito di tutto ciò, logicamente, è che la totalità di poliziotti, agenti segreti e magistrati obbedisse ciecamente al ministro degli EsteriRead more at location 3460
la pianta delle campagne di estrema sinistra contro democristiani e socialdemocratici era già rigogliosa. In passato, era toccato soprattutto ad Amintore Fanfani, contro il quale erano stati coniati l’accusa di «fanfascismo» e lo slogan «Fanfani maiale / niente Quirinale»,Read more at location 3465
Luigi Pintor riassumeva ed elogiava come segue la posizione dell’ultrasinistra:Read more at location 3469
C’era qui una intuizione precisa del fatto che la violenza, le bombe e tutto il clima che si accompagnava alle bombe, alle stragi e alla tensione, veniva dall’interno delle istituzioni, faceva capo al potere politico.Read more at location 3474
Gli attentati e lo scioglimento del Parlamento. Esso fu commissionato da un piccolo editore a due autori marxisti, Elio Franzin e Mario Quaranta. Questo volumetto sosteneva una tesi che «non è diversa da quella dei cento (o mille) circoli maoisti dell’epoca»,23 più tardi riassunta dal committente nonché editore nei seguenti termini: il disegno della strage di Piazza Fontana «non è un disegno fascista, è un disegno moderato,Read more at location 3480
coagulare attorno alle masse moderate che erano rappresentate dalla Dc e dal Psu […] un blocco d’ordine che portasse attraverso lo scioglimento del Parlamento all’instaurazione di un regime autoritario e presidenzialistico.Read more at location 3485
L’editore e committente de Gli attentati e lo scioglimento del Parlamento si chiamava Giovanni Ventura. Egli non fece fatica a convincere gli autori che se le responsabilità erano democristiane e socialdemocratiche, allora le accuse contro di lui che nel frattempo erano giunte a conoscenza della magistratura, originate da dichiarazioni del suo amico Guido Lorenzon, erano «diffamazioni e calunnie».25Read more at location 3490
Le fonti de Il segreto della Repubblica, infatti, si riducono a una sola. Tutto il volume si impernia sulle confidenze che sarebbero state rese agli autori, a partire dal gennaio 1970, da un «conoscente inglese» che frequentava il Circolo della Stampa a Milano e «diceva di essere il corrispondente in Italia dell’Agenzia Reuters».Read more at location 3497
Un secondo grave limite de Il segreto della Repubblica è che del cruciale colloquio che sarebbe avvenuto il 23 dicembre tra Moro e Saragat «non c’è traccia in alcun documento, né alcun teste vi ha mai fatto riferimento».Read more at location 3505
la stampa britannica più autorevole (dal “Times” all’“Observer”) e portatrice del punto di vista del governo non aveva avuto dubbi nell’indicare come nera la matrice della strageRead more at location 3512
l’ormai ex capo dello Stato, polemizzando con il settimanale «l’Espresso», disse che l’articolo del «The Observer» era stato scritto nella libreria Feltrinelli di via del Babbuino, a RomaRead more at location 3560
le strumentalizzazioni a posteriori di tragici eventi che meglio sarebbe tenere fuori dalle beghe partitiche sono invece – purtroppo – parte integrante della lotta politica quotidiana. Socialisti e socialdemocratici non furono certo gli unici a fare di Piazza Fontana un’occasione per manovre tattiche di schieramento. Ne è testimone e commentatore Indro Montanelli, il quale il 14 dicembre ricevette una lunga telefonata da Ugo La Malfa, leader del Pri, il quale chiedeva al «Corriere della Sera» di «second[are] la sua azione di rattoppo del centro-sinistra, ora che la pubblica opinione, impressionata dal massacro di Piazza Fontana, ne reclama il rilancio».Read more at location 3563
Valpreda era stato arrestato – sulla base di plurimi indizi – la mattina del 15 dicembre, vale a dire due giorni prima che il rapporto del Sid fosse stato completato.Read more at location 3573
Per adesso, basti puntualizzare che non fu la velina a ingannare la magistratura,Read more at location 3577
La velina del 17 dicembre 1969, infatti, non conteneva nulla su Freda, Ventura e la cellula padovana di Ordine nuovo.Read more at location 3581
Le prime indicazioni vennero dagli apparati statali – polizia, questura, prefettura, magistratura –, i governanti le recepirono, gran parte della stampa e la televisione le rilanciarono, amplificandole,Read more at location 3832
Il dottor Antonino Allegra, dell’ufficio politico della questura di Milano, quando in Commissione Stragi gli fu chiesto perché sin dalla prima ora tanto l’organismo cui egli apparteneva quanto la magistratura si fossero indirizzati a senso unico verso gli anarchici, rispose negando che le cose fossero andate nel modo presuppostoRead more at location 3842
La prima testimonianza che diede un volto a chi aveva messo la bomba mortale fu quella di un tassista milanese, Cornelio Rolandi, il quale il 16 dicembre 1969 ritenne di riconoscere nell’anarchico Pietro Valpreda l’uomo da lui accompagnato presso la banca di Piazza Fontana il 12 dicembre pomeriggio, in orario compatibile con quello dell’attentato. Rolandi era comunista, prima di informare la polizia si era consultato con gli organismi cittadini del Pci66 e, perciò, di sicuro non era mosso dall’intento di incastrare gli anarchici, danneggiare la sinistra tutta e favorire i neofascistiRead more at location 3856
Sempre in tema di testimonianze, nei giorni tra il 12 e la notte 15/16 dicembre durante la quale Pinelli perse la vita, gli inquirenti ne avevano raccolte alcune che facevano dubitare dell’alibi del ferroviere anarchico. Pinelli aveva sostenuto di avere trascorso gran parte del pomeriggio del 12 dicembre giocando a carte con amici in un bar. Secondo il gestore del locale e suo figlio, però, egli era passato soltanto per bere un caffè senza fermarsi a giocare.Read more at location 3873
Gli indizi di natura tecnico-scientifica, la notte del 12 dicembre 1969 durante la quale le indagini presero una strada sbagliata, scarseggiavano, anche perché il reperto più cospicuo era stato distrutto in tarda serata.Read more at location 3890
L’esplosione provocata fu eseguita su consiglio di un perito balistico, ingegner Teonesto Cerri, il quale non subì alcuna pressione in proposito e, semmai, fu lasciato sin troppo libero di prendere l’importante decisione.Read more at location 3898
Per quanto riguarda i precedenti, in direzione degli anarchici ce ne erano sia di specifici, sia di aspecifici. E non tutti remoti come l’attentato del 1921 presso il teatro Diana o quello del 1928 durante l’inaugurazione di una fiera, dei quali la città ancora conservava memoria.Read more at location 3948
gli anarchici erano ritenuti responsabili della maggioranza degli attentati esplosivi o incendiari del biennio 1968-1969 cui era stata attribuita una matrice,Read more at location 3951
«In genere banche, ditte, negozi, chiese – se la matrice è di sinistra – o presso sedi o organi di partiti di sinistra, presso le facoltà occupate, presso monumenti o targhe legate alla Resistenza – se la matrice è di destra».Read more at location 3954
Pietro Valpreda, nato a Milano nel 1932, nel 1956 è condannato in Corte d’assise per due rapine a mano armata. Abbraccia l’anarchismo nei primi anni Sessanta. A Milano costituisce il Circolo degli Iconoclasti, che nella primavera 1969 diffonde un volantino e un ciclostilato che costano a Valpreda denunce per offesa a capo di Stato straniero (si trattava del pontefice) e per istigazione a delinquere. Il 21 marzo dello stesso anno – cioè pochi mesi prima degli attentati estivi – pubblica un articolo intitolato Ravachol è risorto che, per dirla con Mimmo Franzinelli, «inneggia[va] alle bombe-carta esplose contro luoghi-simbolo del sistema (carceri, tribunali, caserme) e preannunzia[va] nuovi attentati».Read more at location 3959
Valpreda frequentava l’ambiente anarchico di Ponte della Ghisolfa a Milano, lo stesso di cui faceva parte Pinelli. Ai primi di ottobre, però, proprio Pinelli lo aveva allontanato, e aveva dato agli altri la seguente spiegazione: «Ho buttato fuori quel pirla di Valpreda, che preparava delle molotov giù da noi».84 Valpreda si era trasferito a Roma, dove per qualche tempo visse in una baracca sulle pareti della quale campeggiavano slogan anarchici, tra cui: «Bombe, sangue e anarchia».Read more at location 3970
Per sbarcare il lunario, tra una scrittura e l’altra in qualità di ballerino – che era il suo principale mestiere – egli si diede a costruire lampade artigianaliRead more at location 3976
Il pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969 il circolo 22 marzo aveva organizzato una conferenza sul tema Religioni del mondo: il dio Mitra. Valpreda era assente. Si era recato in automobile a Milano, dove era stato convocato dal giudice Amati.Read more at location 3983
Nonostante tutto ciò, in realtà egli non era il «mostro» di Piazza Fontana, ma le apparenze erano contro di lui.Read more at location 3988
Ad esempio, La strage di Stato stigmatizza la «sicumera di alcuni personaggi della polizia e della magistratura milanesi» cui «fa invece riscontro un atteggiamento molto più cauto del potere centrale» romano. Il magistrato milanese Amati e il commissario di polizia Calabresi sono definiti «i più zelanti» nell’incolpare gli anarchici.Read more at location 4012
Viceversa, Giorgio Boatti, a pag. 87 del suo volume monografico Piazza Fontana, asserisce che la pista anarchica «erompe a Roma» e poi «saetta, già in quella del 12 dicembre, fino a Milano» e «lì si rafforza [balzando] attraverso il coinvolgimento di Pinelli all’arrembaggio di tutto il movimento anarchicoRead more at location 4018
Che nei primi giorni il caso apparisse ancora aperto a tutte le soluzioni era opinione, come abbiamo visto, anche in «The Observer», il periodico britannico noto per avere coniato l’espressione «strategia della tensione». Il 14 dicembre il direttore del «Corriere della Sera», Giovanni Spadolini, era anch’egli dell’opinione che fosse troppo presto per pronunciarsi sulla matrice della strage e, pertanto, scrisse che le indagini avrebbero fatto il loro corso «nel mondo composito e spesso insondabile dell’estremismo ribellistico di ogni colore».Read more at location 4097
Il presidente della Repubblica, la sera del 12 dicembre 1969, disse che l’attentato di Milano era «un anello di una tragica catena di atti terroristici», ma non additò né gli anarchici né altri soggetti quali possibili responsabili dell’accaduto.Read more at location 4128
Dal canto suo il presidente del Consiglio Mariano Rumor la sera del 12 dicembre, prima del Consiglio dei ministri, pronunciò un breve discorso mandato in onda dalla Rai, nel quale invitò tutti i cittadini a riconoscersi nelle leggi e nell’ordinamento democratico, mentre non avanzò alcuna ipotesi sulla matrice degli attentatiRead more at location 4138
La pista anarchica e il modo in cui essa venne percepita dall’opinione pubblica risentirono pesantemente della morte del ferroviere Giuseppe «Pino» Pinelli, precipitato da una finestra dei locali della questura di Milano nella notte del 15 dicembre e deceduto il giorno 16 in ospedale, avvenuta in circostanze che a lungo furono estremamente controverse.Read more at location 4142
Coloro che credevano all’omicidio se la prendevano in particolare con il commissario Calabresi,113 il quale in realtà al momento in cui Pinelli volò dalla finestra non era nemmeno in stanza.Read more at location 4147
Il fenomeno si accentuò in occasione delle udienze del processo che Calabresi, per difendere il proprio onore, intentò contro il direttore di «Lotta continua»,Read more at location 4149
La sentenza giudiziaria che sancì che Pinelli non era morto né suicida né assassinato, bensì vittima di un malore, giunse tre anni dopo che a essere ucciso fu Calabresi.Read more at location 4151
lui e Calabresi non erano nemici personali. In passato, anzi, si erano persino scambiati regali natalizi.Read more at location 4153
Nel giugno 1971 il settimanale «l’Espresso» pubblicò in forma di lettera aperta una «ricusazione di coscienza» nei confronti di Calabresi, dove lo si additava quale responsabile della fine di Pinelli e gli si dava del torturatore.Read more at location 4156
Adriano Sofri, notoriamente condannato come mandante dell’omicidio del commissario, non si pronunciò sulla Giornata della Memoria 2009, ma può fare testo un suo intervento su «Il Foglio» datato 11 settembre 2008, nel quale egli aveva scritto che Calabresi «fu, non certo l’autore, ma un attore di primo piano» di una vicenda intrisa di «ostinata premeditazione»Read more at location 4165
Che Luigi Calabresi «fosse in buona fede cambia[va] poco», a parere di Sofri.Read more at location 4169
Gerardo D’Ambrosio, generalmente considerato magistrato scrupoloso e indipendente.Read more at location 4171
La sentenza da lui redatta stabilì che l’anarchico Pinelli precipitò dalla finestra perché fu colto da malore mentre si trovava accanto a essa, dotata di una ringhiera piuttosto bassa.Read more at location 4171
esistevano al momento del fatto per il Pinelli condizioni favorevoli per un malore», dato che il soggetto per tre giorni abbondanti «fu sottoposto a una serie di stress, non consumò pasti regolari e dormì solo poche ore, una sola volta steso in una branda»;Read more at location 4180
si trovava in prossimità di una ringhiera alta dal pavimento appena 92 centimetri.Read more at location 4186
Il sopruso compiuto dagli organi di polizia ai suoi danni, infatti, si riduce al prolungamento del fermo in questura oltre il limite di quarantotto ore previsto dalla legge.Read more at location 4197
Se Pinelli aveva avuto un malore e a causa di questo era precipitato dalla finestra, perché i poliziotti non l’avevano detto immediatamente? Perché avevano raccontato che si era suicidato? In fondo, dal loro punto di vista, qual era la situazione più facile da difendere?Read more at location 4206
Un malore, infatti, può essere causato da abuso della resistenza fisica del soggetto. Pinelli era stato tenuto in stato di fermo nelle condizioni alquanto stressanti descritte dalla sentenza D’Ambrosio, e lo era stato per tre giorni abbondanti, vale a dire oltrepassando ampiamente i limiti di legge.Read more at location 4214
«Calabresi è stato giudicato innocente dalle inchieste della magistratura. Ma esiste soltanto la responsabilità penale?» si domanda un giornalista e scrittore che ha molto lavorato sugli anni Settanta, Corrado Stajano. La sua è una domanda retorica, visto che Stajano prosegue: «Si avvertiva quella notte una sottile euforia: la pratica Pinelli era chiusa e con quella morte poteva chiudersi anche la pratica più grossa, la strage».Read more at location 4221
Vediamo ora se e in quale misura sia vero che la strage e la seguente incriminazione di Valpreda furono il pretesto per un’offensiva dei poteri statali ai danni di tutta la sinistra.Read more at location 4227
Duecento uomini della squadra politica, ottocento della mobile e centinaia di carabinieri sono mobilitati nella ricerca del responsabile di questo efferato, orrendo crimine. Nella notte sono già stati eseguiti 150 fermi, tutti giovani, anche qualche donna. Si sta sondando gli ambienti degli estremisti.Read more at location 4237
le persone fermate risultavano essere state 244, di cui però 189 già rilasciate.121 Erano state altresì effettuate «367 perquisizioni domiciliari e 81 perquisizioni presso sedi di gruppi o associazioni cui risultano far capo elementi di provata pericolosità per l’ordine pubblico».122 Le suddette operazioni interessarono prevalentemente l’ultrasinistra e toccarono assai meno l’ultradestra; è stato calcolato che delle suddette 367 perquisizioni domiciliari, 310 furono a carico degli estremisti di sinistra e 57 di quelli di destra.Read more at location 4241
La nostra prima preoccupazione quella sera concerneva le conseguenze che un attentato del genere potesse provocare sull’ordine pubblico a Milano. Questo fu il motivo per cui alla fine si decise di accompagnare, anche coattivamente, in questura il maggior numero possibile di esponenti di gruppi di estrema destra e di estrema sinistra, oltre a elementi che ritenevamo, per precedenti ragioni, maggiormente sospettabili.Read more at location 4255
è rilevabile altresì che il numero dei neofascisti e delle loro residenze era inferiore rispetto alle corrispondenti cifre per l’estrema sinistra, e che «le investigazioni degli organi inquirenti spesso vennero orientate contro i movimenti oltranzisti, di ogni colore, resisi responsabili di atti di violenza nei mesi precedenti».130 I cronisti ebbero la sensazione che fosse stata seguita «la ferrea logica degli schedari: maoisti e anarchici innanzi tutto, poi gli altri,Read more at location 4274
Angelo Vicari, escluse dalle indagini le sedi di partiti rappresentati in Parlamento,134 che non furono coinvolti nemmeno dagli Affari riservati.Read more at location 4290
L’appesantimento del clima, in larga misura, si dovette alla stampa, la quale non appena ebbe un personaggio da sbattere in prima pagina lo fece, in molti casi con poche o nulle riserve.Read more at location 4303
Nella saggistica, la tesi si è radicata per mezzo del pamphlet intitolato La strage di Stato, frutto di un lavoro collettivo di militanti di ultrasinistra milanesi e romani inizialmente rimasti anonimi (tranne l’avvocato Edoardo Di Giovanni). Il testo, dapprima offerto alla casa editrice Feltrinelli che lo rifiutò a causa della «scarsezza di prove a sostegno delle tesi, pur interessanti, che in esso vengono sostenute», fu pubblicato a giugno 1970 dalla piccola Samonà e Savelli (di estrema sinistra).Read more at location 4329
Le immediate reazioni del partito di maggioranza relativa e dei piccoli partiti di centro alle bombe, quindi, dimostrano che esse non erano affatto un segnale convenuto tra politici e assassini per poi procedere alla repressione della protesta sociale. L’idea che gli attentati servissero a stroncare le lotte operaie, affacciata dai socialdemocratici, fu sviluppata da Pci, Psi, Psiup e indipendenti di sinistra, i quali ci aggiunsero la prospettiva di svolte autoritarieRead more at location 4409
Il comunista Ingrao, in particolare, pur dicendo di non voler «anticipare i risultati dell’inchiesta», chiamò in causa «non solo organizzazioni interne ma gruppi e Stati stranieri» interessati a sovvertire la democrazia italiana,Read more at location 4413
Se è vero che «nei lavori della direzione del Partito comunista italiano, il 19 dicembre 1969, la prima dopo gli attentati di Milano e Roma, emersero dubbi sull’identità degli attentatori», specie nell’intervento di Aldo Tortorella, «al punto che la pista anarchica fu ritenuta attendibile», è vero altresì che nei giorni successivi le principali testate comuniste e socialiste si riposizionarono pubblicando articoli «sulle commistioni tra gli ambienti dell’estrema destra e quelli anarchici» e «nel giro di poche settimane […] i dubbi e le perplessità furono fugati e socialisti e comunisti parteciparono attivamente alla campagna di controinformazione sugli attentati e sulla morte di Pinelli».Read more at location 4427
di fatto, essi conferirono alla controinformazione una forza che non avrebbe mai raggiunto da sola, se fosse stata costretta ad avvalersi soltanto degli scarsi mezzi di comunicazione di cui essa disponeva.Read more at location 4433
Sul piano legale, entrò a fare parte degli avvocati difensori dell’anarchico il parlamentare Lelio Basso, il quale utilizzò il proprio peso politico in aiuto del suo assistito e, insieme al socialista Riccardo Lombardi, si rivolse pure ad Amnesty International.Read more at location 4438
Il gruppo de «il manifesto» candidò Valpreda alle elezioni politiche del 1972,Read more at location 4440
Se gli stragisti speravano di provocare una specie di riflesso d’ordine antidemocratico, avevano fatto male i loro conti. Nel breve e medio termine, «non fu una stabilizzazione in senso moderato quella che seguì a Piazza Fontana ma, al contrario, un incendio che divaricò all’estremo le posizioni».Read more at location 4442
«Attentati che mirano a gettare una democrazia nel caos, facendo affidamento sulla paura, ottengono il risultato opposto: quello di rinsaldare i vincoli tra il Paese e le istituzioni».Read more at location 4448
Tra i militanti di base, l’interpretazione in chiave di strage di Stato che presto divenne unanime in realtà non nacque del tutto spontaneamente bensì, in parte, fu indotta dai leader.Read more at location 4455
Un ex studente universitario e militante di Potere operaio, di nome Michele Grandolfo, racconta che, quando il 12 dicembre pomeriggio nell’aula magna dell’Istituto di Matematica dove era in corso un’assemblea giunse notizia del massacro di Milano, «alcuni accennarono a un applauso, ma Franco Piperno li apostrofò come irresponsabili dicendo loro che questa era la risposta dello Stato alle lotte operaie».Read more at location 4456
E nelle fabbriche torinesi, Guido Viale e i suoi compagni del movimento studentesco e di Lotta continua ebbero il loro daffare per spiegare agli operai, alcuni dei quali addirittura avevano salutato la strage come «un fatto destabilizzante e quindi positivo», che invece «per noi [era] un disastro. […] Quella bomba era di destra, e noi volevamo altro».Read more at location 4460
Marco Revelli, ex Lotta continua, così la descrive: lo Stato «organizzava le stragi, depistava le indagini, arrestava gli innocenti, ne uccideva uno, Pinelli, oltre tutto con l’avallo di alcuni giornali e della tv».Read more at location 4464
era iniziata l’età adulta», ovvero si era consumata la «perdita dell’innocenza».164 In quest’ottica, la controinformazione e le manifestazioni di solidarietà a Valpreda apparivano naturali.Read more at location 4469
Ci fu poi anche chi «di fronte a uno Stato che metteva le bombe in una banca», trovava che «in astratto qualsiasi risposta poteva essere commisurata e lecita»166 e chi si sentì «giustificat[o] a scendere sul terreno della violenza perché furono gli altri i primi a farlo».167 Queste argomentazioni saranno poi accampate da un filone memorialistico cui, peraltro, la migliore storiografia va rammentando che in realtà la violenza di sinistra cominciò ben prima di Piazza FontanaRead more at location 4479
Le ripercussioni degli attentati sugli equilibri politici: dal monocolore Rumor al quadripartito RumorRead more at location 4484
La pista anarchica cominciò a svanire e a essere soppiantata dalla pista neofascista a distanza di due anni abbondanti dalla strage. La svolta fu causata da una concomitanza di fattori. In ordine cronologico, il primo fu un ritrovamento fortuito di armi verso la fine del 1971 che mise nei guai Ventura e con lui l’intera cellula ordinovista di Padova, aprendo la strada all’incriminazione dei neofascisti formalizzata nei primi mesi del 1972 dai magistrati milanesi, nuovi titolari dell’inchiesta.Read more at location 4538
Poco dopo, arrivò la sentenza che, dichiarando incostituzionali le modalità con le quali era stata raccolta la testimonianza contro Valpreda resa da Rolandi,Read more at location 4541
I tribunali di Catanzaro e di Bari assolsero Valpreda per insufficienza di prove – al pari di Freda e Ventura – invece che con formula piena.Read more at location 4548
è stata definitivamente sancita nel 2005 dalla sentenza di Cassazione n. 21998 che, concordando con la versione prospettata dalla Corte d’appello di Milano il 12 marzo 2004, ha stabilito una volta per tutte la responsabilità della cellula padovana di Ordine nuovo nelle persone di Freda e Ventura, i quali erano stati assolti negli anni Ottanta.Read more at location 4558
pista segnata da un documento elaborato dal Sid nella prima settimana dopo gli attentati,Read more at location 4565
la velina del 17 dicembre 1969 è un documento interessante in quanto, cronologicamente, è la prima ricostruzione elaborata da un organismo dello Stato nella quale, in qualche modo, si profilano responsabilità fasciste nella persona di Stefano Delle Chiaie; d’altro lato, però, esse non erano attribuite a Freda e Ventura ma a un personaggio che negli anni Ottanta fu assolto con formula piena e che non era un ordinovista veneto, bensì il fondatore di Avanguardia nazionale, gruppo gravitante piuttosto verso il Centro-Sud del Paese.Read more at location 4576
Note: NEOFASCISMO MA STEFANO DALLE CHIAIE. ROMA NN PADOVA. AVANGUARDIA NON ORDINE NUOVO NON SI PUÒ PARLARE DI ST Edit
«manca l’elemento oggettivo che dimostri il legame» tra gli ordinovisti veneti e gli avanguardisti, come ha ammesso Salvini.Read more at location 4581
l’appunto si riferisce principalmente alle esplosioni di Roma, e indirettamente a quella di Milano. La linea stragista è: Merlino esecutore, per ordine di Delle Chiaie, il quale a sua volta agisce per ordine di Guerin Serac. Merlino è definito anarchico, Delle Chiaie neofascista, Guerin Serac anarchico (in rapporti con la Cina maoista). Il testo non contiene dubbi sulla reale adesione di Merlino e Guerin Serac all’anarchismo.Read more at location 4611
La ricostruzione proposta dalla velina del Sid non era idonea a scagionare gli anarchici e a puntare sui fascisti,Read more at location 4621
È illogico, però, arrivare all’estremo opposto di supporre, come pure è stato fatto, che il servizio segreto avrebbe dolosamente mescolato notizie false e notizie vere, allo scopo di travolgere nel discredito generale proprio quelle giuste. Qualora il Sid avesse voluto nascondere agli esterni verità importanti apprese da sue fonti sconosciute agli altri, sarebbe stato ben più efficace tacere completamente anziché mettere in circolazione elementi altrimenti indisponibili i quali, ancorché forniti in un contesto ambiguo, prima o poi sarebbero stati appurati.Read more at location 4627
L’originaria fonte informativa del Sid fu identificata a fine febbraio 1974. Era l’estremista di destra Stefano Serpieri.Read more at location 4716
In definitiva, non c’è affatto da rammaricarsi che la velina Sid del 17 dicembre 1969 sia pervenuta alla magistratura con ritardo, considerando gli svarioni che conteneva, l’erroneità delle sue ipotesi di fondo e la completa assenza della traccia Freda-Ventura. È arbitrario affermare che se ci si fosse regolati in base a essa, si sarebbe abbandonata la pista anarchica per indirizzarsi principalmente (o addirittura esclusivamente) verso i neofascisti. Anzi,Read more at location 4726
La traccia ordinovista prese quota nel novembre 1971, allorché la scoperta fortuita di un arsenale presso Castelfranco Veneto riconducibile al Ventura, nonché ulteriori riscontri, avvalorarono il racconto iniziale del teste volontario.Read more at location 4744
L’uomo che per primo indicò Ventura quale possibile responsabile della strage di Piazza Fontana è Guido Lorenzon.204 All’epoca dell’attentato mortale aveva ventotto anni, era segretario della Dc di Castelfranco Veneto e insegnava francese nelle scuole medie.Read more at location 4752
Sabato 13, ebbe occasione di incontrare a Treviso Ventura il quale, commentando gli attentati, disse che se nessuno si fosse mosso, né da destra né da sinistra, sarebbe stato necessario «fare qualcos’altro».205 Il 15 dicembre, dopo avere assistito in televisione ai funerali delle vittime di Milano, Lorenzon trovò «la forza di respingere le tentazioni dell’omertà».Read more at location 4757
La Anselmi, per sua stessa ammissione, fece dell’altro, informandosi dell’andamento della vicenda presso il pubblico ministero Occorsio e, nel gennaio 1971, indirizzando una lettera a un ministro, Silvio Gava, affinché intercedesse in favore di Ventura, ingiustamente accusato da «un ex seminarista con vocazione da giustiziere» quale Lorenzon.Read more at location 4798
Il teste viveva una crisi di coscienza, lacerato tra il sentimento di giustizia e il sentimento di amicizia nonché dal dubbio di avere frainteso le confidenze di Ventura. L’accusato era ormai ben consapevole che qualcuno aveva mosso delle accuse contro di lui, anche se non sapeva ancora chi fosse stato finché Lorenzon, il 4 gennaio 1970, gli rivelò spontaneamente di essere lui la fonte.Read more at location 4801
Non si può dire però che Occorsio e Cudillo non abbiano prestato attenzione agli spunti provenienti dal Veneto. Il punto è che li valutarono negativamente, come si legge nella requisitoria conclusiva di Occorsio: La registrazione, operata dallo stesso Lorenzon in accordo con la polizia giudiziaria di Treviso, […] prova esattamente il contrario di quanto affermato dal denunciante. Nei lunghi discorsi registrati si nota soltanto che il Lorenzon insiste nel portare il discorso sugli attentati, mentre Ventura non fa confidenze di sorta e anzi parla in termini che dimostrano la sua estraneità ai fatti.Read more at location 4830
Il filone di indagine originato dalle dichiarazioni di Lorenzon aveva limiti congeniti. Essi dipendevano essenzialmente dagli ambigui comportamenti tenuti dal teste chiave e dalla scarsità di elementi che si aggiungessero alle sue accuseRead more at location 4860
Non era questione di depistaggi o di consimili forme di intralcio alla giustizia, le quali invece si registrarono più tardi.Read more at location 4862
I lavori di ristrutturazione di una casa a Castelfranco Veneto portarono alla luce un nutrito arsenale corredato da simboli littori che il proprietario dell’abitazione, Franco Comacchio, rivelò appartenere al Ventura,Read more at location 4867
Di lì a poco, nel gennaio 1972, uno dei personaggi chiamati in causa da Comacchio, Ruggero Pan, darà a sua volta un contributo, ammettendo di avere custodito dal dicembre 1969 alla primavera 1970 i corpi di reato poi trasferiti a Castelfranco Veneto e indirizzando all’autorità giudiziaria un memoriale, nel quale asseriva di essere stato messo al corrente da Freda e da Ventura della loro paternità di molteplici attentati compiuti nella primavera 1969 a Padova e a Milano nonché di loro attività organizzative a fini di eversione.Read more at location 4874
La sospensione del dibattimento che era iniziato a Roma, la tappa a Milano e il successivo passaggio a Catanzaro interessarono quindi più il filone di inchiesta sugli anarchici che quello sui neofascisti padovani. Quest’ultimo, se non altro, non subì rallentamenti. La sua fase istruttoria milanese fu tutt’altro che una perdita di tempo. Al contrario, è largamente diffusa l’opinione che l’inchiesta milanese «fu uno degli eventi più traumatici della politica italiana del dopoguerra», perché rivelatrice «di collusioni da tempo sospettate fra settori degli apparati e il terrorismo di estrema destra».Read more at location 4918
Quando si trattò di riprendere il processo contro Valpreda, il procuratore capo di Milano, Enrico De Peppo, sollevò un problema di idoneità della nuova sede. Egli presentò un’istanza di legittima suspicione, che fu avversata dagli avvocati di Valpreda, contestata dal sindaco di Milano, il socialista Aldo Aniasi, da gran parte della sinistra, dalle organizzazioni sindacali, da organi di stampa, ma sarà accolta dalla Cassazione, la quale il 13 ottobre 1972 stabilì che il processo si sarebbe svolto a Catanzaro.Read more at location 4925
Luigi Calabresi aveva sporto contro il direttore di «Lotta continua», Pio Baldelli (conclusosi poi con la condanna del giornalista). Nel processo Calabresi-Baldelli le intemperanze del pubblico all’indirizzo del querelante, infatti, a tratti erano giunte a trasformare le udienze in una corrida contro il funzionario di polizia, e la violenza omicida che infine si abbatté sul commissario fu la traduzione in pratica della violenza verbale scatenatasi su di lui in quei giorni.Read more at location 4954
Coloro i quali immaginavano che il trasferimento del processo sulla strage di Piazza Fontana nella remota sede meridionale preludesse all’insabbiamento del caso si sbagliavano, e di grosso. A Catanzaro si fece sul serio.Read more at location 4965
La fase dell’istruttoria sulla pista neofascista svoltasi a Milano è la più critica, poiché è allora che emersero legami tra gli appartenenti al gruppo di Freda e di Ventura e uomini dei servizi segreti e che il Sid, invitato dall’autorità giudiziaria a collaborare, le negò invece ripetutamente le informazioni in suo possesso e aiutò a espatriare Marco Pozzan e Guido Giannettini, due personaggi che gli inquirenti avrebbero voluto interrogare.Read more at location 4978
Nel 1975, inoltre, Ventura e sua sorella denunciarono che tre anni addietro il Sid si sarebbe adoperato per farlo evadere dal carcere, manovra che non sarebbe andata in porto soltanto a causa del rifiuto opposto dal detenuto stesso. Come prova, i Ventura esibirono una chiave la quale effettivamente apriva una delle porte del penitenziario. A loro dire, l’iniziativa sarebbe stata di Maletti e l’eventuale assistenza pratica al fuggiasco sarebbe stata curata dal Labruna, come per Pozzan e per Giannettini.Read more at location 4982
Giovanni Ventura fuggirà per davvero nel 1979, da Catanzaro, dove si trovava per il processo. Di sicuro, senza l’aiuto degli apparati statali.Read more at location 4987
D’Ambrosio già a novembre 1971, leggendo gli atti, si era fatto l’idea che «non ci si poteva fidare della polizia» e perciò, quando fu il suo turno, preferì farsi assistere dalla guardia di finanza.Read more at location 4995
Il faccia a faccia tra Lorenzon e Ventura poté effettuarsi senza problemi, ma l’interrogatorio di Pozzan no. Costui, oggetto di mandato di cattura per associazione sovversiva emesso dai magistrati di Milano, si era dileguato e il Sid, che lo aveva intercettato, invece di affidarlo alla polizia giudiziaria affinché fosse condotto davanti agli inquirenti desiderosi di interrogarlo, dapprima lo nascose, poi gli fornì un passaporto con false generalità e infine, nel gennaio 1973, lo fece fuggire all’estero, nella Spagna franchista.244 Il latitante sarà arrestato nel maggio 1977 e rapidamente estradato in Italia, dove parteciperà al processo di Catanzaro.Read more at location 5077
Il vero motivo del favoreggiamento nei riguardi di Pozzan, fin qui oscuro, diventa più chiaro considerando che il Sid si ripeté nella primavera dello stesso 1973, proteggendo un secondo personaggio sul quale la magistratura avrebbe voluto approfondire: Guido Giannettini. Si scoprirà più tardi che quest’ultimo lavorava per il Sid e frequentava gli ordinovisti padovani. Il servizio segreto, perciò, immaginava che Pozzan potesse rivelare tale imbarazzante verità ai magistrati.Read more at location 5088
Nell’ottica del Sid, dunque, l’esigenza di mantenere il riserbo sulle proprie fonti prevaleva sulle esigenze della magistratura che stava indagando sul più grave attentato mai avvenuto nella storia dell’Italia repubblicana.Read more at location 5118
La logica di Labruna, come si vede, assomigliava a quella di Miceli: l’interesse del Sid avanti a tutto.Read more at location 5129
Oggi è scontato che tra i contrastanti interessi in gioco – la segretezza delle fonti fiduciarie da una parte,253 il completamento dell’inchiesta giudiziaria dall’altra – quello maggiormente meritevole di tutela fosse il secondo. Eppure dal 1973 al giugno 1974 non fu così e, anzi, prevalse il primo.Read more at location 5145
la scomoda verità era che il Giannettini, frequentatore e amico di neofascisti fortemente sospettati di strage, era da anni anche collaboratore del servizio segreto militare, con il nome in codice di agente «Z».Read more at location 5149
tra fine anni Sessanta e primi anni Settanta l’instaurazione di collaborazioni tra organi dello Stato e personaggi di estrema destra – in qualche misura sempre esistita, anche perché indubbiamente utile al fine di acquisire informazioni su quell’area – fu più frequente che mai.Read more at location 5152
Dopo la rimozione del segreto il Sid, a fine 1974, consegnò alla magistratura una serie di rapporti valutativi sul Giannettini dai quali, invece, la figura del collaboratore appariva modesta e la sua collocazione marginale. Il fatto che tali documenti fossero classificati a uso interno ha indotto qualcuno a prenderli per genuini e a immaginare allora che Giannettini potesse essere «un membro di un settore occulto del servizio» la cui vera attività era ignota persino ai suoi superiori dell’Ufficio «D»:259 in realtà i suddetti profili non erano stati redatti in tempi non sospetti, bensì erano stati commissionati ai diretti superiori del Giannettini da Miceli pochi mesi prima, vale a dire quando l’agente «Z» era ormai da tempo nel mirino dei magistrati.260 Pertanto, il basso profilo attribuito al Giannettini altro non era che un espediente usato dai vertici del Sid per dissociarsi il più possibile dal collaboratore che stava precipitando in disgrazia.Read more at location 5186
Giannettini, dal canto suo, non fece mai mistero di essere di estrema destra e non tentò nemmeno di negare i suoi rapporti con i neofascisti veneti, bensì li giustificò con l’intenzione di avvalersi di loro per spiare i «rossi»Read more at location 5210
Note: GIANNETTINI: SPIARE I ROSSI ATTRAVERSO I NERI