Forse proprio perché più che pensare “reagisce”.
O forse perchè ha un debole per il “complottismo”, vera stimmate di ogni riflessione avariata.
Non sono due ipotesi, sono la stessa ipotesi vista da angolazioni differenti.
Mi spiego meglio. Ecco i due pensieri che riempiono la testa di chi oggi si presenta al dibattito pubblico con una sensibilità anti-moderna:
1) Fatto: con le mie idee sono in minoranza e ben pochi mi considerano, che rabbia.
2) Valutazione: eppure gran parte delle idee che porto sono ragionevoli e ogni persona dotata di buon senso potrebbe/dovrebbe aderirvi senza problemi.
Fin qui si potrebbe anche concordare, senonché da 1) e 2) il pensatore trae una conclusione che sa tanto di “reazione” istintiva:
3) Conclusione: è in atto un sabotaggio ai miei danni, un “complotto” affinché le mie idee vengano silenziate o distorte.
In sé la conclusione è coerente, ma alquanto dubbia.
In effetti, il pensatore reazionario viene continuamente marginalizzato nel dibattito pubblico, ma non tanto per le sue idee nel merito, quanto perché non manca mai di presentarsi in modo patetico dedicando gran parte della sua filippica alla conclusione vittimistica di cui sopra. Il “complottismo” è l’arma dei disperati e tutti prendono le distanze quando “annusano” la presenza di un disperato. Certo, a cio’ si aggiunge il fatto che il “reazionario” presenta anche idee bizzarre se non assurde.
Eppure, ripeto, la conclusione di cui sopra è coerente con due premesse ragionevoli, evidentemente c’è un effetto ottico che mina l’intero ragionamento.
Forse c’è una premessa alle premesse che si dà talmente per scontata da non farne nemmeno parola. Potrebbe essere questa: due persone che discutono sulla “verità delle cose” stanno cercando la “verità delle cose”.
In generale questa premessa e falsa ma il reazionario, forse perché sintonizzato su epoche lontane, la dà ingenuamente per ovvia.
E allora, l’errore che consegna il reazionario al “complottismo” è quello di pensare che nei dibattiti si discuta sulla verità delle cose nell’intento di cercarla.
Purtroppo per lui, gran parte delle persone non è affatto interessata alla “verità delle cose”, di conseguenza, se proprio viene chiamata all’affiliazione, cerca semplicemente il gruppo più “figo”, e il “reazionario” è troppo truce e vittimista per essere figo.
Altri, che conoscono bene la filosofia degli ultimi secoli, non pensano nemmeno che esista una “verità delle cose”, il dibattito intorno ad essa, evidentemente, ha per loro altri fini (pragmatici) che il reazionario non coglie.
Se ho ragione e nessuno mi dà ragione non è perché esista un “complotto” ma perché la ragione – o per superficialità o per filosofia di fondo – è decisamente secondaria in queste faccende.
Il vero non detto non è il complotto ai danni del reazionario quanto quello ai danni del concetto di “verità”.
Il “complottismo” è la forma più degradata del pensiero, è cio’ a cui ricorre chi è con le spalle al muro. Ma forse non è nemmeno giusto esprimersi in questi termini tanto crudi: il reazionario – più semplicemente - sbaglia a denunciare il complotto in atto. Quello reale non riguarda lui e la sua messa al bando ma il ruolo della Verità: ci si presenta al dibattito come cercatori di Verità anche quando si ritiene che non esista e che i fini reali della discussione siano differenti.
Il complotto che rende i dibattiti dei “finti dibattiti” esiste ed è reale. Probabilmente è anche benefico, e di conseguenza non ha senso “denunciarlo”. Ma qui mi fermo per non addentrarmi in un ginepraio.
Nel frattempo rimpiangiamo l’aplomb di grandi reazionari del passato come De Maistre e Burke.