La categoria dei “valori non negoziabili” è emersa da tempo nel Magistero della Chiesa in riferimento ad alcune questioni riguardanti l’impegno dei cattolici in politica. Da allora si è litigato tanto ma il concetto (a me) non è ancora oggi chiaro.
Si tratta forse di un richiamo fatto ai politici cattolici alla stregua dei richiami di partito? Ma allora ogni partito politico possiede una miriade di “valori non negoziabili”. Il concetto sarebbe banale, mi rifiuto di crederlo.
Si tratta di valori la cui violazione dovrebbe risultare inaccettabile al cattolico doc?
In realtà, qualsiasi cattolico assennato sembra sopportarla benissimo pur dicendo di battersi contro. L’aborto in Italia è autorizzato per legge, e quella legge viene riconosciuta e rispettata da tutti i cattolici. Naturalmente viene considerata una legge sbagliata e da cambiare ma, anche qui, è lo stesso atteggiamento che qualsiasi militante di qualsiasi partito ha nei confronti di leggi che considera ingiuste. Siamo di nuovo alla banalizzazione.
Forse che le leggi di cui parliamo sono particolari perché hanno un contenuto morale?
No, molte leggi sono sostenute per il loro contenuto morale. Un comunista vuole più eguaglianza poiché lo ritiene giusto, un liberale vuole più meritocrazia perché lo ritiene giusto. Eppure in questi casi non si parla di “valori non negoziabili”.
Faccio allora un’ipotesi alternativa capace di conferire significato e originalità al concetto in questione: la categoria dei “valori non negoziabili” ha a che fare con la dimensione del sacro. Ammetterete che con il sacro non ha nulla a che spartire con i valori liberali e socialisti.
Ma per chiarire meglio cosa intendo soccorre la lettura di Viviana Zelizer, in particolare del suo libro The Purchase of Intimacy.
Il bisogno di sacro è bisogno di purezza, qualcosa che tutti condividiamo, in passato si esercitava molto nella sfera del sesso, oggi in quella del cibo.
ma anche senza coltivare tabù estremi, tutti noi apprezziamo la “purezza” di certi sentimenti e ci disturba “contaminarli” con elementi inquinanti. Per questo decidiamo di “sacralizzare” certe relazioni mettendole al riparo dall’agente contaminatore per eccellenza che è il denaro. Ora, tra denaro e “negoziabilità” il nesso è evidente.
Diciamo allora che denaro e sacro convivono male. Nessuno di noi stila un contratto pre-matrimoniale dettagliato, ci sembrerebbe di sminuire il matrimonio, riteniamo l’amore una sfera ben distinta dall’economia. Sentimenti e soldi sono nemici, almeno dal punto di vista della comunicazione. Il denaro richiede una comunicazione letterale, il sacro una comunicazione simbolica. Quando firmo un contratto dico che mi impegno a rispettarne la lettera e a risarcire i danneggiati, quando dico “ti amerò tutta la vita” aderisco ad un simbolo.
Parlo di simbologia perché, a guardar bene, quello che preme agli adoratori del sacro non è la purezza in sè quanto qualcos’altro, ovvero l’appartenenza ad un gruppo che osserva gli stessi precetti (legati alla purezza) e si coordina intorno a quelli. L’importante è il coordinamento, i precetti in sé potrebbero anche essere altri. Banalizzo affinché sia chiaro: ci si puo’ coordinare stabilendo di “tenere la destra” ma lo si puo’ fare altrettanto bene stabilendo di “tenere la sinistra”.
Un esempio: la sacralità della Messa cattolica non si coniuga molto bene con il denaro, tanto è vero che Gesù scacciò con rabbia i mercanti dal tempio. Eppure, ad ogni messa gira sfacciatamente un cestino per raccogliere moneta sonante: mai la pornografia del denaro è esplicita e senza filtri come durante la Santa Messa, si tira materialmente fuori il portafoglio e si consegna la pecunia nuda e cruda in un recipiente stracolmo che sembra il deposito di Paperone in miniatura. Naturalmente ognuno potrebbe donare in qualsiasi momento nelle apposite cassette ma affinché la sua decisione sia esposta alla massima pressione sociale si stabilisce di fare una raccolta nel momento più cruciale della liturgia.
Cio’ puo’ significare solo una cosa: che l’impurità del denaro va proclamata come simbolo ma non osservata alla lettera. E qui comprendiamo meglio la funzione del sacro: è il proclama che garantisce l’appartenenza ad una tribù, e se l’appartenenza è cio’ che conta, allora basta e avanza quello.
Altro piccolo esempio. Se chiedi a Giovanni quanto stima la sua vita in euro, lui avrà un moto di repulsa. Tuttavia, Giovanni, durante la giornata, compirà mille azioni da cui si puo’ evincere il valore che si rifiuta di formulare esplicitamente.
La conclusione è che il valore esiste ed è calcolabile ma per questioni simboliche l’interessato si rifiuta di fornirlo o addirittura di pensarlo, questo perché vuole comunicare al mondo che per lui la “vita è sacra”.
In cio’ che diciamo c’è un messaggio diretto e un messaggio indiretto: il primo è di natura economica, il secondo di natura simbolica. I due messaggi convivono, infatti Giovanni dà un valore in euro alla sua vita ma DICENDO di non poterlo dare ci comunica la sua appartenenza alla tribù di coloro per cui “la vita è sacra”. In Chiesa malediciamo mammona e il denaro in modo simbolico ma poi all’offertorio facciamo della moneta e del portafogli un protagonista assoluto.
L’identità e l’appartenenza sono un bene privato (ci rende più felici) ma l’aspetto simbolico riveste anche un valore comunitario. infatti, noi sappiamo tante cose della tribù della “vita è sacra” e di conseguenza sappiamo molte cose di Giovanni. Giovanni si rende prevedibile, diminuisce l’incertezza sociale e questo è un bene per tutti. Noi sappiamo molte cose di della tribù che “disprezza il denaro”, cosicché riusciamo a coordinarci bene con loro, sappiamo con chi abbiamo a che fare, sappiamo se e come evitarli, se e come incontrarli. Il simbolismo dei sacramenti è un vantaggio anche per i non appartenenti alla tribù che li celebra.
Ma c’è un aspetto che puo’ risultare fastidioso: “simbolo” e “letteralismo” possono interagire in modo equivoco. Se Giovanni dice “la vita umana non ha prezzo” usa un’espressione simbolica che molti potrebbero prendere alla lettera equivocando. Lo stesso Giovanni potrebbe auto-ingannare se stesso pensando alla verità letterale della sua espressione simbolica e rispondere in modo scorretto a chi gli chiede quanto valuta in euro la sua vita.
A volte simboli e lettera confliggono in modo così potente che meglio sarebbe ritarare il sistema simbolico formatosi in contesti differenti in modo da mantenerne il valore sociale minimizzando equivoci ed auto-inganni.
Alcuni equivoci sono socialmente molto costosi. Facciamo una caso ipotetico: chi dice “i bambini non si comprano” prendendosi alla lettera potrebbe opporsi alle commissioni richieste dagli intermediari all’adozione, il che farebbe crollare le adozioni in tutto il mondo con danno per tutti. Chi invece dice “i bambini non si comprano” cosciente di esprimere un mero simbolo (la sacralità del bambino) non farebbe mai un errore del genere perché sa che simbolo e lettera divergono.
E non so fino a che punto chi dice che l’ “utero non si affitta” parli in modo simbolico anziché letterale. Districare la matassa è difficile sia per chi ascolta che per chi parla.
Chi dice “valori non negoziabili” è poi non negozia (magari perché preferisce sparare ai medici abortisti), probabilmente fa un danno all’intera comunità. Al contrario, chi parla di “valori non negoziabili” e poi di fatto negozia non si sta necessariamente contraddicendo poiché c’è una differenza tra lettera e simbolo.
Come far convivere lettera e simbolo, sacro e profano? Ci sono quattro atteggiamenti.
1) I moralisti. Per loro gli ambiti vanno tenuti ben separati, nel momento in cui entrano in contatto si crea una contaminazione. Ipotizzare in modo esplicito che il valore “non negoziabile” sia di fatto negoziabile significa inquinarlo irreparabilmente. Meglio negare anche l’evidenza pur di conservare la dimensione del sacro.
2) Gli economicisti. Per loro i simboli sono sempre riducibili alla lettera. Il sacro è sempre riducibile all’economia. Operazione che va fatta per comprendere e spiegare. Esempio: il matrimonio è un mero contratto economico a lungo termine e l’aspetto rituale una mera patina superficiale che lo studioso deve smascherare.
3) I relazionisti. Per loro simbolo e lettera sono due dimensioni umane imprescindibili che possono e devono convivere. Il sacro riguarda la dimensione comunitaria, il profano la dimensione individuale. Entrambe vanno preservate senza fagocitarsi. Quando i costi di una simbolica datata sono troppo alti si proceda a riformarla.
4) I dialettici. Per loro tutto è lotta e i simboli sono armi come altre: servono ai “forti” per sottomettere i “deboli”. La rivoluzione esige un rovesciamento e una sostituzione. Esempio: il patriarcato ha imposto suoi simboli per sottomettere il genere femminile, oggi la rivoluzione femminista è chiamata a sovvertirli.
Personalmente mi sento più vicino a 3)… con una spruzzatina di 2).