Siamo in troppi a questo mondo?
No, in fondo ci stiamo tutti in Texas.
Ma staremmo un po’ strettini?
L’uomo più sta stretto più prospera: ha inventato una roba che si chiama città per ottenere questo straordinario risultato.
Le aeree più produttive del pianeta sono quelle in cui l’uomo è più ammassato. La più produttiva, per esempio, è Tokyo che con i suoi dintorni arriva a 36M di persone. Non male.
Più facile è viaggiare, più ci si stipa vicini. Curioso enigma. Come risolverlo?
Ecco una risposta: laddove l’innovazione conta il contagio è essenziale, e la città lo favoriscono. Da sempre, da Atene che ci ha regalato la filosofia più raffinata a Firenze che ci ha regalato il rinascimento delle arti.
I grandi innovatori non si formano a scuola ma nella prossimità fisica con chi agisce concretamente. Valeva per le arti rinascimentali come vale per la finanza contemporanea.
La domanda di città nasce dal nostro bisogno di contatto fisico. E’ incredibile come un tale bene resti prezioso anche nell’epoca del virtuale. Ma è così, inutile negarlo.
Nei paesi poveri le città si espandono in modo tentacolare, questo perché la città è la porta della prosperità.
Non si puo’ negare un certo squallore urbano, specie nelle periferie, ma ricordiamoci sempre che le città sono zeppe di poveri non perché creano povertà ma perché l’attraggono, visto che sono il mezzo più pratico per uscirne.
Non c’è posto al mondo in cui ricchi e poveri vivano tanto incollati. La cosa scatena l’indignazione di molti che sono presi da un soprassalto pensando alle favelas che circondano il centro commerciale di Rio. Probabilmente confinerebbero volentieri quei poveri nelle campagne a crepare non visti.
In realtà, c’è una correlazione quasi perfetta tra urbanizzazione e ricchezza, e nei paesi con più città le persone si dicono più felici e realizzati.
Teatri, musei, ristoranti… tutta roba resa possibile dalle economie di scala della città. Cultura e bella vita fioriscono nei centri urbani più che altrove.
Chi lavora in città guadagna mediamente il 30% in più di chi lavora in campagna.
Certo, quando la domanda di case cresce e non crescono le licenze edili i prezzi s’impennano, e questo è un guaio per chi ha meno. Parigi, per esempio, tiene molto alla sua ordinata bellezza, il che fa di lei un resort di lusso che esclude chi ha pochi mezzi.
I veri nemici dei poveri: il sovrintendente alle belle arti e il pasdaran in guerra contro la cementificazione.
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Ci sono anche città fallite come Detroit.
Una città fallisce quando non sa cambiare, quando punta tutto su un business, quando mette tutte le uova in un paniere. Detroit è fallita per “colpa” di Ford, Torino rischia per colpa di “Agnelli”.
Una città fallisce quando non capisce cos’è. Una città non è il suo paesaggio o le sue case. Una città è le sue persone e deve poter cambiare quando cambiano loro, quando hanno un’idea diversa, quando prendono strade differenti.
Una città fallita ha un contrassegno inequivocabile: troppe infrastrutture per fare cose vecchie. Ma anche troppe infrastrutture per fare cose nuove che l’economia reale non è in grado di fare. E’ bello inaugurare l’ autostrada telematica, ma se latitano i pc o la capacità di usarli al sindaco frega qualcosa?
L’infrastruttura segue sempre, non precede mai. E’ diversificata, aperta a soluzioni differenti e a retromarce. A New York la potenza reticolare della borsa e i cavi scoperti del negozietto cinese convivono.
In questo senso il nemico sono i progetti faraonici. Se l’Expo è stato un successo dipenderà da cosa diventerà dopo non da cosa è stato.
I grattacieli sono i nuovi villaggi. Svilupparsi verso l’alto rende possibile la vita senza auto. I negozietti da basso prosperano con il vai e vieni della gente che gira la città a piedi vivendola in prima persona. Il fascino di New York deriva anche da questo.
Il rivale dei grattacieli è l’auto. Le città fondate sull’auto non hanno marciapiedi ma hanno consentito al ceto medio di farsi la villetta (a schiera) e ai comodi centri commerciali di nascere come funghi.
Grattacielo contro auto. E’ questa la cruciale guerra urbanistica.
In molti odiano le città. Non solo Celentano ma anche Gandhi e Thomas Jefferson. Deducibilità degli interessi sul mutuo, agevolazioni prima casa e sussidio delle autostrade sono un invito implicito ad abbandonare le città.
Ma la convivenza fondata sull’auto impone dei costi ambientali notevoli.
I veri alleati dei verdi sono Manhattan, Londra (downtown) e Shangai.
Gli amanti della natura che vivono circondati da alberi e prati consumano il pianeta molto più avidamente dell’inurbato. L’impronta ecologica della casa di campagna sovrasta quella dell’appartamento nel grattacielo.
Costruire in città è una delle politiche ambientali più sagge. Distruggere il “basso” e rimpiazzarlo con l’ “alto”, questo fa l’amico della terra.
Dobbiamo combattere l’idea che vivere rispettando l’ambiente coincida con il vivere in campagna circondati dagli alberi, oppure con il preservare l’esistente. Tutto il contrario!
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La collaborazione tra gli uomini è la forza della civiltà e anche la prima ragione per cui esistono le città. Impariamo allora ad amarle e a rispettarle.