mercoledì 22 giugno 2016

I dogmi della scienza

Tecnologia e medicine. Roba che tocchi con mano.
E’ grazie a questi due fattori che la scienza è assurta a grande fama.
Hai voglia a filosofare sul pensiero critico, senza “tecnologia & medicine” non batti chiodo. E’ l’influsso sulle nostre vite che ha conferito prestigio intellettuale alla scienza, non il contrario.
Che poi tutto sto pensiero critico… Nei secoli passati la scienza ha posto alcune ipotesi che col tempo si sono incancrenite fino a diventare dogmi di fede. Ne cito cinque.
1) La realtà è materiale.
2) La realtà funziona come un meccanismo.
3) La materia è “incosciente”, quindi la coscienza è un’illusione.
4) L’evoluzione della vita non ha uno scopo.
5) Le leggi di natura sono statiche.
Sono cinque ma potrebbero essere uno, la loro radice è comune.
Sono dogmi importanti non perché sono un parto degli scienziati ma perché da questi vengono accettati acriticamente come atto di fede, almeno finché frequenta il laboratorio. A volte, il tapino, nemmeno conosce la loro esistenza: è il filosofo scientista che la conosce in sua vece e la proclama.
A un giovane scienziato X viene chiesto di indagare sulle cause materiali di un certo fenomeno. Senza questa indagine… addio medicine, addio tecnologia, addio prestigio intellettuale. Di X ci si fida poiché adotta il metodo scientifico, l’unico veramente rispettato. Ma se le cose stanno così cio’ significa che di fatto si crede solo alle cause materiali. Da qui i dogmi.
Ma il bello è che non si tratta nemmeno di dogmi così evidenti, al contrario, l’atto di fede da fare è ardito.
Di evidente, al contrario, c’è piuttosto l’esistenza della nostra coscienza, dei nostri pensieri. Ma ci viene detto: così non puo’ essere poiché non conforme al dogma, un giorno sarà dimostrata l’illusorietà della coscienza, puoi contarci, cosicché riderai di cio’ che oggi reputi evidente. Intanto aspettiamo, e in questa attesa, curiosamente, siamo invitati a mettere da parte l’evidenza in favore del dogma.
Ma i dogmi della scienza hanno un altro prezzo: la dissociazione mentale di chi vi aderisce. Ecco Patrick Hoggard:
… come neuroscienziato devi essere determinista per forza… devi assumere che ci siano leggi fisiche date a cui il cervello ubbidisce… che tradotto significa: nelle medesime circostanze il cervello fa sempre le stesse cose e non potrebbe fare altrimenti… se non stai in laboratorio con questo assunto ben impresso nella mente combinerai poco… tuttavia, non lascio che questo atteggiamento professionale  interferisca nella mia vita privata… lo metto da parte e… per esempio… scelgo tranquillamente il film da vedere sentendomi perfettamente libero di seguire un mio gusto…”
Il dogma non va messo in discussione, a costo di dissociarsi con se stessi.
Ma c’è di più: è la fisica stessa ad aver messo in crisi il “fisicalismo” scoprendo l’indeterminatezza degli eventi fisici.
Dal 1927 sappiamo che la materia interagisce con chi la osserva. Difficile capire come si muove la materia senza tener conto della mente di chi guarda.
E ho proprio detto “mente”, non “corpo”: anche un osservatore disincarnato produrrebbe gli stessi effetti. Una volta eliminato il corpo non so cosa resti di un “osservatore” ma mi sembra che la parola “mente” renda bene l’idea di questo “qualcosa”.
D’altronde, la meccanica quantistica è molto più comprensibile interpretata in termini di pseudo-telepatia che in termini di “corpi che esistono in uno stato indeterminato”. Cosa sono sti “corpi indeterminato” nessuno lo sa. Si tratta di una invenzione concettuale ad hoc. Nella realtà di tutti i giorni una cosa o c’è o non c’è.
Il fatto è che nessuno di noi ha esperienza di “corpi indeterminati” mentre tutti noi sperimentiamo l’azione della mente sulla realtà: se alzo un braccio la causa di questo movimento è la mia intenzione di alzarlo, ovvero la mia mente (o la mia coscienza). Le nostre giornate sono piene di roba del genere, per noi è la regola.
I processi della meccanica quantistica sono ben diversi dall’alzare un braccio, non hanno l’intenzione alla loro base ma la casualità, tuttavia restano interpretabili come interazione mente/corpo, ovvero qualcosa per noi del tutto naturale.
Eppure no. L’interpretazione più naturale è di fatto censurata, bisogna ripiegare sulla cervellotica Copenhagen e sulla sua bizzarra “metafisica dell’indeterminato”. Perché? Perché l’interpretazione più semplice e comprensibile non è conforme al dogma centrale della scienza, in ossequio al quale il soggetto va escluso da ogni resoconto.
Jacques Monod sul punto è stato chiaro: solo caso e necessità possono avere spazio nella scienza, con il caso nelle vesti di dio-tappabuchi per giustificare fenomeni a cui non sappiamo ancora applicare una necessità specifica.
Ecco, probabilmente, la scienza farebbe qualche passo in avanti se solo avesse il coraggio di sacrificare i suoi dogmi ideologici alle evidenze e alla semplicità.
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Un libro che esplicita e mette in questione i cinque dogmi della scienza: The Science Delusion: Feeling the Spirit of Enquiry, di Rupert Sheldrake