martedì 25 marzo 2008

Trincee per difendersi dallo "psicologismo"

Chi guarda al mondo con il cannocchiale messo a disposizione dagli economisti, non puo' fare a meno di adottare l' assunzione relativa all' Homo Economicus, ovvero, non puo' che adottare il postulato della razionalità: l' agente economico compie le sue scelte seguendo criteri razionali.

Ma questo assunto è stato spesso contestato, soprattutto dagli psicologi, i quali rilevano come, nella realtà dei fatti, esso sia inconsistente. Possiamo ricondurre la contestazione più circostanziata all' opera di Daniel Kahneman, recente premio Nobel. Già in passato, ricordiamo i paradossi di Allais e Ellsberg, un attacco era stato tentato. Il filone della cosiddetta "economia comportamentale" è oggi abbastanza seguito.

Una premessa essenziale per confutare sperimentalmente l' assunto consiste nel sostanziarlo, cioè nello specificare in che cosa si esplica la razionalità dell' operatore. Kahneman chiede una definizione ristretta e sostanziale di razionalità, una volta fornita potrà confutarne l' esistenza attraverso i suoi esperimenti.

Molti libertari temono l' attacco "psicologista2 poichè è fuoriero di "paternalismo": se l' individuo ha comportamenti irrazionali sarà possibile correggerlo per il suo stesso bene.

Come si è reagito a questo attacco contro i paradigmi neoclassici e non solo? Vediamo alcune risposte.

Mises. La razionalità è un assunto formale e quindi di per sè inconfutabile. Eventuali debolezze possono essere neutralizzate mediante l' assunto parallelo del soggettivismo radicale. Esempio: domando a Tizio se preferisce A o B, lui mi risponde A. Poi ripeto la domanda invertendo l' ordine, lui mi risponde B. Anzichè concludere che le preferenze di Tizio sono incoerenti posso sempre dire che le ha cambiate nel frattempo, oppure che esiste una preferenza dominante consistente nello scegliere il primo termine di un dilemma.

Hayek. Si adottano posizioni razionali solo attraverso processi evolutivi. Al cambiare della realtà si cambiano le proprie posizioni sperimentalmente fino a che si viene condotti su posizioni razionali di equilibrio. Chi nega la razionalità degli operatori, in realtà, sopravvaluta i residui dovuti al transito da una posizione all' altra, considera errore cio' che in realtà è adattamento. Ecco un caso.

Friedman. Poichè l' economia è una scienza convenzionale non ha rilevanza confutarne le ipotesi quando il modello funzioni bene. Ha invece rilevanza confutarne gli effetti. A proposito dobbiamo notare che gli effetti di base della teoria del consumatore sono confermati nel lavoro di un economista sperimentale premiato con il Nobel assieme a Kahnamen, parlo di Vernon Smith.

Stigler/Becker. La razionalità va sostanziata diversamente rispetto a quanto fa Kahnamen. Due punti fermi devono essere mantenuti: la stabilità dei gusti e la loro omogeneità nel tempo e nello spazio. L' omogeneità significa che statisticamente siamo abbastanza simili nelle preferenze. Se una popolazione presenta differenze, queste non sono imputabili ai gusti, bensì a differenze nei prezzi relativi prodotti dall' ambiente in cui vive. Il consumatore è visto come un produttore di utilità, in quanto tale ha una sua funzione di produzione e un costo da minimizzare e in questo processo non rientrano solo considerazioni intorno al prodotto specifico oggetto di scelta ma anche intorno al capitale umano e ad altre variabili. S/B applicano la loro nuova teoria del consumatore a casi tipici in cui il consumatore sembra agire in modo irrazionale: moda, dipendenza, pubblicità, rischio, tradizione.

sabato 22 marzo 2008

Ancora su famiglia e politiche previdenziali

Tanto per dissipare ogni equivoco, riformulo meglio prendendo ad esempio il sistema previdenziale, asse portante del nostro welfare. Ecco due soluzioni stilizzate e alternative.



SOLUZIONE A: Il sistema previdenziale viene "socializzato" e ad ogni cittadino che superi una certa soglia di età (60 anni) viene garantito un vitalizio mensile pari al suo ultimo stipendio.



SOLUZIONE B: Il sistema previdenziale viene fondato su più "pilastri". Un ruolo è giocato anche dal settore assicurativo privato. Viengono garantite solo prestazioni minime e regole che rendano concorrenziale ed efficiente il sistema finanziario.



Di seguito derivo un paio di conseguenze a cui probabilmente andrà incontro la comunità che decide di passare senza traumi dalla SOLUZIONE A alla SOLUZIONE B.



CONSEGUENZA 1: i bisogni previdenziali saranno soddisfatti in modo più efficiente.

CONSEGUENZA 2: il valore economico dei figli crescerà e la fertilità sarà incentivata.



Se le conseguenze sono davvero queste qualcuno riterrà con il "passaggio" di avere colto due piccioni con una fava.



Magari l' Utilitarista e il Cattolico faranno comunella per sponsorizzare la riforma. Con una fava del genere ci sarà cacciagione da dividersi in modo proficuo per entrambi.



Altri, terrorizzati dall' apparire della CONSEGUENZA 2, riterranno che stiamo importando il "Modello Africano" con tutte le sue iatture. Tra il serio e il faceto equipareranno i danni di una simile riforma ai danni della malaria.



Quest' ultima conclusione, che ho caricato nei toni, avrebbe qualche senso se la causa di tutti i guai dell' Africa fosse l' alto valore economico dato alla prole e quindi l' alta fertilità.



Ma stiamo per l' appunto commentando una lettera che proprio a questa necessaria premessa sembrerebbe opporsi!

venerdì 21 marzo 2008

L' assasinio: una via per la democrazia

Le probabilità di democratizzazione crescono se gli attentati hanno successo. La via dell' assassinio paga.

Le tasse fanno male

Un' altra "schippettata".

La croce sulle piccole imprese

La bassa produttività di cui soffre il sistema italiano viene da molti imputata ad una struttura in cui prevalgono le piccole imprese. Ma le piccole imprese non sono di per sè scarsamente innovative. Anzi, in certi settori sono le più innovative come chiarisce questo studio. Inoltre, il vero nucleo dinamico del sistema è formato dalle medie imprese che sono state anche piccole. Allora bisognerebbe chiedersi cosa da noi faccia da ostacolo a queste dinamiche che altrove sembrano essere naturali.


Il primo colpevole sembrerebbe essere il nostro sistema pensionistico: altissimi oneri contributivi finiscono per rendere conveniente un outsourcing esagerato. Da lì la nascita di microimprese a bassa produttività. Se a questo si assomma la soffocante sindacalizzazione nella medio-grande impresa, si capisce come pur di fuggire da quell' incubo si battano tutte le piste disponibili.

Il microcredito fa bene? Panico

Surowiecki ne dubita, da lì non è mai uscita un' impresa importante. La risposta è pronta: giudicare il microcredito alla stregua di una politica industriale è sviante, trattasi di politica di welfare e come tale funziona abbastanza bene.


Lo stesso argomento si puo' adottare contro chi scrolla la testa nell' osservare la struttura del nostro sistema produttivo ed esclama "...troppe microimprese!!". Vero, e molte cause potrebbero essere rimosse. Però, per quanto sulla micro impresa che non si sviluppa puo' essere emessa una sentenza di condanna produttiva, bisogna invece decantarne le qualità welferistiche. Il piccolo fruttivendolo che presidia il terrirorio con il suo negozietto dai margini minimi, dà spesso sostentamento minimo e significato ad un paio di vite che hanno fatto tutta la vita quel lavoro.

L' inesistente conflitto d' interessi fiscale

Richiamandosi alle pratiche d' oltroceano molti, per combattere l' evasione fiscale, invocano detrazioni su misura che inneschino un conflitto d' interesse tra i contribuenti.
Ma questi rimandi ai sistemi fiscali stranieri non hanno consistenza. Negli USA esistono molte detrazioni ma sono tutte previste per agevolare i contribuenti, praticamente nessuna per far emergere evasione.
Studio SOGEI Dino Pesole sul sole p.33 21.3.08

E la "classe" non c' è più

In un puntata di Fahre che riprende un articolo sulla Stampa che riprende un articolo sul Time, si parla di classi sociali. Le classi come le intendeva Marx non esisterebbero più. Ci si aggragherebbe ormai per gusto ed educazione personale, elementi interclassisti. Mi è venuta voglia di opinare sul punto.



Innanzitutto un chiarimento. La classe marxista non era concepita per "stare in compagnia e andare al cinema tutti insieme appassionatamente". Era concepita per il conflitto materiale in una visione per cui "io posso arrichirmi solo impoverendoti". Rivelatosi un pensiero logicamente incoerente e storicamente fallimentare, il pensiero del conflitto è stato sostituito dal pensiero dell' accordo pacifico (di mercato). Ma questo cambio della guardia è avvenuto decenni fa. Anche se da noi lo strascico è stato insopportabilmente lungo, le classi in senso marxista sono sparite da tempo.



Quanto alle più generiche "stratificazioni sociali" individuo due elementi che possono minarle attraverso un rimescolamento.



  1. Elevata mobilità sociale. Il povero che spera con fondamento di potersi elevare con le sue forze, potrebbe anche sentirsi più affine a colui che ce l' ha fatta piuttosto che al barbone rassegnato che si trascina ovunque spettacolarizzando il suo piagnisteo.


  2. L' inutilmente colto. Colui che, aiutato dalle distorsioni di un apparato formativo autoreferenziale, si è caricato di saperi utili solo a titillare la propria sensibile anima, rinunciando a sacrificare anche solo una minima parte delle sue ispirazioni e voglie (e capricci) in favore di una preparazione più idonea allo scambio sociale (leggi: ha fatto scienze delle comunicazioni o lettere o giurisprudenza anzichè chimica). Costui presumibilmente stagnerà in condizioni economiche di basso cabotaggio. Eppure avrà i mezzi e le competenze per interloquire anche con le classi dirigenti del Paese. Anzi, sarà più attratto da un dialogo con loro che con il suo collega di decile reddituale alienato da un lavoro massificante e in perenne attesa di sfogarsi con 15 giorni a Gardaland.



Direi che il punto 1 intercetta un fattore salutare di rimescolamento mentre il punto 2 ne individua uno patologico. E infatti da noi, se una qualche forma di mantecato sociale affiora qua e là, lo dobbiamo esclusivamente al secondo.

Più figli meno sussidi

In Italia si fanno pochi figli. Dopo pochi secondi che lo si è detto, ecco che sale alto il reclamo di un sussidio nelle forme più svariate. A mo' di esercizio elenco qualche riserva in proposito.

  1. La cultura potrebbe contare in questioni come queste. Le donne da noi partecipano poco al lavoro, non c' è paragone con i paesi scandinavi dove possono usufruire di parecchie facilities. Il gap resta però costante se si esaminano gruppi di donne italiane e scandinave che vivolno in paesi terzi, esempio gli USA (vedi Alesina). La cultura conta.

  2. Se le donne partecipano poco al lavoro e, in più, la loro fertilità è bassa, forse cio' significano che la loro scarsa attitudine a filiare non dipende solo da motivi carrieristici.

  3. Il difetto principale del nostro welfare consiste nel non trasferire risorse dai ricchi ai poveri. Una misura generica a favore dei figli rafforzerebbe questa tara (vedi anche punto 3).

  4. Chi sopporterebbe il costo dei sussidi? Se lo sopportassero i più affluenti sarebbe l' ennesimo disincentivo all' efficenza. Se lo sopportassero i meni abbienti sarebbe l' ennesimo finanziamento dei poveri verso i ricchi. Se lo sopportasse la classe media sarebbe l' ennesimo fenomeno di churning dove a guadagnare sarebbe solo il realizzatore del trasferimento con le sue ampie percentuali trattenute.

  5. Si sussidia il figlio perchè il figlio "pesa" sulla famiglia. Ma il figlio è anche una ricchezza! Chi lo considera per cio' che deve essere, ovvero una ricchezza, ha già gli incentivi giusti. Si finirebbe per sussidiare la nascita dei figli del "capriccio" e del "conformismo".

  6. Vedere i figli come "bene di consumo" porta a considerarli un capriccio. Per ribaltare questa visione le misure ci sono: basta riformare il sistema pensionistico abbassando le prestazioni. I figli torneranno lentamente ad essereun bene d' investimento.

  7. Rendere più "costoso" l' aborto potrebbe alzare la natalità.

  8. Avere pochi figli è un male per la società? Secondo molti punti di vista no. Secondo molti altri è addirittura un bene.

  9. Una misura alternativa a costo zero sarebbe quella di concedere in custodia ai genitori il diritto di voto dei figli.

giovedì 20 marzo 2008

I rischi di una Cina democratica

Ma siamo sicuri che una Cina democratica qui ed ora sia auspicabile?

Il gradualismo alla cinese ha finora dato buoni risultati, perchè liquidarlo con indignazione proprio quando in ballo ci sono le questioni delicate della politica.

Ormai sembra accertato che i grandi risultati economici conseguiti dal colosso asiatico non possano essere interamente accreditati alla sua crescente apertura commerciale. In parte bisogna riconoscere il ruolo giocato da una saldissima leadership che stava dietro alla rivoluzione liberista. Nel bene e nel male la riduzione delle incertezza ha un valore radiante.

Che questo ruolo ci sia ed abbia contato ce lo confermano miracoli affini, per esempio quello del Vietnam. Ce lo confermano anche storie differenti conclusesi in modo antitetico, per esempio la storia di Haiti con le sue esemplari liberalizzazioni e le sue fragili istituzioni. Per non parlare della Russia, la democratizzazione a tappe forzate incagliò la ristrutturazione del sistema economico.

Con questo non voglio dire che le istituzioni democratiche siano meno efficaci come propellente per lo sviluppo. Al contrario, sono altrettanto efficaci se non di più. E, in aggiunta, ridimensionano i rischi in un ambiente iper-dinamico. Il fatto è che non sto parlando di "Istituzioni democratiche", sto parlando di "Istituzioni deboli". Sì perchè, una metamorfosi necessariamente traumatica come l' abbattimento di un potere centralizzato ormai incancrenito in questa forma da secoli, non puo' che sfociare in Istituzioni fragili. L' effetto del turbo cinese montato su una simile precaria carozzeria potrebbe destare preoccupazioni.

Riflessioni scaturite dalla lettura di Rodrik OEMR P.216. Lì trovi abbondanza di studi empirici sui fatti che suffragano simili dubbi. Sappiamo bene l' importanza dei fatti, unica vera egida di fronte allo scatenarsi delle furie pc.

Preoccuparsi di demografia. Ovvero, leggere i libri partendo dall' ultima pagina

Cominciare la cura ai paesi poveri accanendosi sull' aspetto demografico significa cominciare dalla fine. Non mi sembra un buon metodo. Sempre meglio ricordarlo nel paese dei "sartori".



Segue il tentativo di rintuzzare qualche obiezione, più la solita ideina impraticabile ma che è sempre bene pensare facendola filare al meglio, così, tanto per sgranchirsi un po'.

Giardini: ...mi limito a mettere in dubbio la spiegazione prevalentemente "economica" di un fenomeno che invece è complesso, perché collegato anche a tantissimi altri aspetti, religiosi, psicologici, culturali, nonché tribali...

Attenzione alla natura con cui si manifesta la razionalità economica. Non è certo un calcolo fatto a tavolino da ciascuno degli interessati. Si tratta molto semplicemente di comportamenti vincenti (perchè ragionevoli) che poi si diffondono attraverso tradizioni, attitudini psicologiche ecc. La cultura conta, anche per l' economista, specie laddove deve progettare delle riforme. Cio' non toglie che la ragione mantenga un suo dominio.

Passando ad altro.

C' è chi soffre dei problemi relativi ad una fertilità eccessiva ma c' è anche chi è nella condizione opposta, penso all' Italia. Per chi reputa la denatalità un ostacolo, come ovviare? Con sussidi a raffica? Il liberale è colto subito da istintiva repulsione e va in cerca di alternative. Quanto detto nell' articolo potrebbe darci un suggerimento: ritrasformare i bambini da "beni di consumo" a "beni d' investimento". In quanto beni di consumo, infatti, subiscono una concorrenza troppo serrata e la sottoproduzione, per chi la reputa tale, è certa. Il passaggio auspicato non puo' poi certo avvenire reintroducendo i tipici costi di transazione che rendevano convenienti economie di tipo domestico. Sicuro che invece, un abbassamento delle garanzie intorno alle future prestazioni pensionistiche e sanitarie, oltre a sviluppare i mercati che forniscono questi servizi, potrebbero rivelarsi anche un' efficiente politica famigliare. Due piccioni con una fava.

Giustizia italiana, cosa c' è che non va (riforme) *

Un quadro della giustizia italiana alla ricerca delle radici del male.

Anche qui (disponibilità prossima) si puo' ascoltare un' analisi del bubbone.

Veniamo a conoscenza di come si spalmino silenziosi i costi di questo malfunzionamento. Perchè il mutuo da noi costa di più? Anche perchè la banca spende di più per pignorare la casa all' insolvente. Perchè le assicurazioni costano una cifra? Perchè i loro uffici legali costano una cifra.

E' nelle cancellerie che il vero disastro si realizza. Perveniamo ad una sintesi.

  1. I giudici lavorano con il freno a mano tirato. Se non smettessero alle 14.00 le Cancellerie non potrebbero mai smaltire i loro carichi di lavoro.
  2. Hai voglia a punire i recidivi. Per la giustizia molti super recidivi non sono tali. Le Cancellerie non hanno il tempo di registrarli!
  3. Calma con l' abolizione degli appelli. Prima dare un' occhiata alla percentuale delle sentenze riformate.
  4. Le colpe della giustizia molto spesso non sono altro che colpe da girare ad un legislatore ipertrofico.
  5. I tempi della giustizia sono allungati dai tempi morti.
  6. La domanda di giustizia che alluviona i nostri tribunali è eccessiva. Semplificazione e outsourcing.
  7. Troppi diritti, troppa domanda di giustizia. Troppo casino legislativo, troppo azzardo morale degli avvocati.

Da quanto detto i problemi sono soprattutto di natura organizzativa, come del resto era lecito attendersi. In questi casi l' economista forse ha qualcosa da dire. Anzi, avrà sempre le stesse cose da dire. In genere gli converrà fare uso di termini quali "responsabilizzazione". E' questa infatti una parola che, non si sa il motivo, suona tanto dolce a tutte le orecchie. Un' ottima maschera che riesce a celare il suo significato più intimo, ovvero incentivazione, ovvero privatizzazione.

Facciamo qualche piccolo esempio di soluzione pratica. Si tratta di sogni sognati tra il letto e il tavolino. Il decalogo è questo:

  1. Favorire l' accordo transazionale tra le parti. Prendere ad esempio lo spaventoso smaltimento semi instantaneo di cui ha beneficiato la giustizia tributaria con l' introduzione di varie forme di concordato.
  2. Favorire la scelta di tribunali alternativi (ADR).
  3. Correlare il compenso dei giudici alla quantità del lavoro svolto e alla qualità dello stesso.
  4. Separare la carriera di giudici e pm (c' è ancora bisogno di dirlo?)
  5. Foro libero (e concorrenza tra fori). Non dico di arrivare ad una giustizia liberale in cui 1)ciascun cittadino deve iscriversi ad un “tribunale” 2) ciascun tribunale deve accordarsi con gli altri per “regolare i conti” dei rispettivi clienti 3) si possono trasferire le pretese risarcitorie-, ma almeno ad un' approssimazione.
  6. Taglie. Si trovi un modo più civile per dirlo (delatore civico?9 ma ci siamo capiti. I processi con prove chiare dovrebbero essere più semplici e veloci.
  7. Buoni giustizia.
  8. Carriera dei magistrati da legare alla scelta del foro da parte di soggetti "fuori distretto". Oppure al ripiego su ADR dei soggetti distrettuali.
  9. Responsabilità dei giudici: incentivi monetari (Landsburg cap. 7)
  10. Respnsabilità degli avvocati: affittare le aule L;
  11. Incentivo ai PM: budget per gli anni di carcere L;
  12. Aumentare le condanne e rendere meno severe le pene L;
  13. Prove irregolarmente ottenute ed altri errori formali: miltare ma non archiviare
  14. Carceri private e depenalizzare. La seconda misura è necessaria visto il sovraconsumo del primo bene.
  15. Mettere in vendita la penalizzazione e vincolare i contributi da destinare alla giustizia.
  16. Informatizzazione delle cancellerie.
  17. Lavori forzati e sequestro: finalizzare tutto al risarcimento.
  18. Elettività della magistratura. E' un modo per dire via all' obbligatorietà dell' azione giudiziaria. Oggi la politica giudiziaria, nei fatti, la fa gente estranea ad ogni forma di consenso.
  19. Patto quota-lite: deflaziona le cause.

Anti semitismo laico - Voltaire: Juifs

Esisterà pure un anti-semitismo cattolico, recentemente se n' è parlato in occasione del ripristino della messa in latino. Difficilmente però è comparabile all' anti semitismo protestante professato con odio furioso da Lutero, oppure a quello laico di un Voltaire.

Quest' ultimo puo' ben dirsi il padre dell' anti semitismo moderno. Tolleranza e anti semitismo hanno dunque il medesimo ascendente. Meditate gente.

La requisitoria del francese è tutta pervasa da un sentimento di orrore, non bieco e agguerrito ma calmo e sarcastico. La causticità tiene alla larga le collere più convulse anche se il disprezzo e il sentimento di superiore civiltà affiorano di continuo e vengono ripetutamente affermati con grande trasporto.

Come l' Oddifreddi di qualche mese fa, anche Voltaire accusa il suo nemico di avere gli occhi incrostati dal pregiudizio, a suo dire basterebbe leggere il loro testo sacro per accrgersene. E qui scopriamo che Voltaire, come Oddifreddi, è completamente analfabeta di fronte alla Bibbia; molto semplicemente, non sapendo leggerla, si infila di continuo in vicoli ciechi anche un po' comici.

"...La Bibbia non è nè un mito nè una telenovela, dove i ruoli sono sempre inequivocabilmente definiti. Scritta in un arco di tempo che fa impallidire la nostra civiltà e il suo larvale decorso, la Bibbia ha avuto modo di depositarsi, di lasciarsi decantare, di far maturare atti e parole. Per questo i suoi personaggi sono così umani, carichi di luce ma anche di ombre..." .

Questa umanità, questa versatilità di chi oggi ci appare come "giusto" ma domani potrebbe cedere alla tentazione, sfugge a chi affronta il testo armato di squadra e righello, custui finirà presto per vedere solo incongruenze dovute in realtà alla misera dimensione a cui pretende di appiattire tutto, una dimensione incapace di ascoltare una storia con tutta la sua diacronicità.

Altro svarione volterriano che ha lasciato lunga traccia è l' assoluta incompetenza con la quale viene interpretato il ruolo la tradizione. Sprovvisto della nozione di complessità, Voltaire non riesce a spiegarsi il ruolo di usi e costumi astrusi. E' costretto, di conseguenza, a relegare tutte queste pratiche nel limbo delle fantasticherie illogiche e nocive, tutta roba da rimuovere immantinente. Denuncia le incomprensibili "cerimonie legali" degli ebrei senza neanche accorgersi che quei codici conservano gelosamente anche raccomandazioni del tutto impraticabili a quel tempo. Sorvolare su questi fatti elementari non gli consente di porsi il tema della Tradizione. Oggi che sappiamo molto di più della complessità, del ruolo della ridondanza e della tradizione, ad apparirci ingenui e disarmati sono i Voltaire e stupidi coloro i quali, a secoli di distanza continuano ad ignorare i nuovi saperi e seguono le ingannevoli tracce del francese incuranti delle smentite che possono ripetersi ormai solo in una forma annoiata.

mercoledì 19 marzo 2008

Piovene fa centro

Con un folgorante lampo al magnesio Piovene fotografa la realtà del grande Brancati. Il vicentino rilevava come a dominare i personaggi fosse un "sentimento religioso della paura", tanto della morte quanto della vita, che porta a rinchiudersi in una "vita calcolata e modesta", un' aureas mediocritas. Essi sono prigionieri di un doloroso distacco speculativo che, secondo Piovene, Brancati avrebbe ereditato dalla lezione di Pirandello. Lezione di Pirandello a parte, il disvelamento è completo.

Rianimare i classici

"...mi chiedo se il rifiuto del nostro Ottocento non sia da identificare in una distanza linguistica e ideologico-sociale..."



Certo che se un libro lo addomestichi privandolo della sua "lingua", poi lo spogli pure delle sue "idee" e, per non sentirlo troppo lontano, neutralizzi anche il contesto sociale che lo ha visto nascere, allora mi sa che finisci per trovarti in mano qualcosa di leggermente diverso.



In fondo, se è vero che il sapere letterario non sia cumulativo nella misura in cui lo è invece quello scientifico, forse il miglior modo di cogliere in presa diretta il nucleo bruciante dei "classici" resta quello di leggersi e lasciarsi scottare dai "grandi" contemporanei anzichè dai "traduttori".



Faccio alcuni esempi concreti. L' irresolutezza di Amleto la si sente meglio nella forma spoglia e tragi-comica di Zeno Cosini piuttosto che in un Amleto "tradotto". Il neo-paganesimo di Boccaccio lo colgo con più vivacità nei pepati racconti provinciali di un Piero Chiara anzichè in un Boccaccio pre-masticasto. Sia le rabbie cupide di un Macbeth che le collere rancorose di un Otello, preferisco farmele raccontare da un Cioran o da un Bernhard. I surrealismi di Ariosto vengono meglio ai suoi colleghi padani di oggi (Cavezzoni, Scabia...). Le Tragedie greche le leggo per decifrare il "paradosso di Clitennestra" ma se voglio godere della loro forza dilaniante preferisco lasciarmi investire da una "diademata" di Testori. Per assaporare al massimo le festosità coprlaliche di un Rablais mi affido a dario Fo anzichè ad una riduzione del classico; se invece voglio figurarmi i suoi furori farfuglianti, cosa c' è di meglio che un Celine? Penetro più a fondo la sensualità estenuata di un Gongora attraverso quella rappresentata da Huysman, capisco meglio la non gratuità del suo barocchismo involuto leggendo Gadda. E si potrebbe continuare.



Poichè all' innovatore va reso merito trovo giusto che gli studiosi risalgano alle fonti e glorifichino il classico greco-latino-medioevale-moderno. Ma il puro godimento estetico, io, da lì non riesco più a trarlo se non con l' annacquatura di mille mediazioni attraverso le quali si perde ogni fragranza.



Una cosa è certa, alcune attitudini attraversano il tempo indenni molto più che altre. Per restare al nostro ottocento, il sarcasmo parodistico di un Belli o di un Porta potrebbe fare bella mostra di sè anche nello Zelig di venerdì prossimo senza tanti ritocchi. E, in questo settore, si puo' arretrare fino a Petronio e a Aristofane. Anche lo scavo psicologico al di fuori del contesto narrativo si mantiene bene nei secoli. I moralisti francesi sono uno spasso anche oggi e i "Caratteri" di Teofrasto valgono per freschezza quelli di Canetti.



P.S. pensando all' ottocento italiano penso a Pinocchio. Regge magnificamente senza traduzioni o traslazioni. A proposito, anche pensando ad "Alta Voce" mi viene in mente Pinocchio. Mi sa che per il primato Busi se la debba vedere con Poli.

Il seme della prosperità

Cerchiamo in due righe di riprodurre lo stato dell' arte.

AJR tentano di districare questo web rifacendosi alla storia coloniale dei paesi poveri: dove i colonizzatori si sono ambientati meglio (proxy: la mortalità dei settlers) sono sorte istituzioni di qualità superiore.

Ma c' è un problema: la variabilità dei redditi pro-capite osservata nei paesi che non hanno subito alcuna colonizzazione è pressochè la medesima.

Sachs, sia da solo che con altri, punta tutto sulla geografia.

Diamond e Clark, evoluzionisti di ferro, s' instradano su una via parallela ma simile.

Sembrano smentiti da Rodrik e altri, per loro "Instituitions rule". Anche se la geografia ha effetti indiretti: sviluppo e distanza dall' equatore sono, per esempio, in correlazione.

Engerman e Solokoloff notano come alle culture su larga scala (es. piantagioni) si abbinano carenze istituzionali. Sala-i-Martin rivela un simile deterioramento quando si è in presenza di risorse abbondanti.

Non bisogna poi dimenticare il ruolo che gioca la cultura (religione, costumi, tradizione...) di una popolazioni. Le riforme istituzionali, anche quando in teoria puntano nella giusta direzione, sono potenzialmente nocivi se non prendono in considerazione questa variabile e i feedback che procura. Il "gradualismo" istituzionale è quindi una via consapevole allo sviluppo.

Alla fine una cosa è certa: contano molto le istituzioni ma la fortuna continua a giocare un suo ruolo.

Rodrik OEMR p. 185

martedì 18 marzo 2008

Il preservativo dei classici

Purtroppo devo fare una confessione, non sono mai riuscito a stabilire un vero contatto con i classici (parlo ora di testi precedenti al XIX secolo), ho sempre sentito la presenza di un' intercapedine che m' impediva di aderire completamente alla storia narrata. Un po' come se questi grandi libri fossero avvolti in un preservativo e arrivassero solo attraverso una mediazione.

Faccio un esempio, recentemente ho letto il Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati con una partecipazione emotiva che non saprei mai ricavare da un "classico".

Cio' non significa che i capolavori del passato non rechino altri doni, ma sono per lo più di natura cerebrale. Nell' ultimo anno ho sfogliato La Guerra del Peloponneso imparando quanto aggressive ed espansioniste possano essere le democrazie; ho lette "Les Juifs" di Voltaire per tenere ben a mente come non sia un caso che le radici dell' anti-semitismo moderno affondino nel terreno dissodato dal "padre della tolleranza"; ho letto "Il Mercante di Venezia" ma solo per constatare come la demagogia del perdono possa fare velo sulla giustizia e come la grande arte teatrale possa rendere odioso un personaggio che ha tutte le ragioni dalla sua. Potrei proseguire con il fascinoso ma siderale dogmatismo di padre Dante che stando lassù, faccia a faccia con Dio, non riesco a sentirmelo veramente prossimo.

Intrattenimenti un po' troppo cerebrali per suscitare autentico entusiasmo, quindi.

Anche il ripasso dei Promessi Sposi che feci qualche anno fa mi ha lasciato una mirabile lezione di economia nel capitolo sull' assalto ai forni e una altrettanto grande di psicologia di massa nel capitolo sulla peste. Lezioni di economia, di psicologia e di filosofia morale...ma - salvo alcune fulminanti intuizioni sulla codardia di Don Abbondio - poche autentiche scosse emotive.

Eppure, sia chiaro, l' ottocento è un secolo che non metto nel preservativo di cui sopra, è un secolo che non metto in conto, c' è di tutto, anche roba che "sento" molto vicina: se la questione dei matrimoni contrastati mi sembra un po' distante, le questioni sulla roba (Verga) sono assai più vicine. Non parliamo poi delle tensioni intorno all' eredità! I Vicerè me li sono bevuti come un romanzo contemporaneo. L' ascendenza del genitore opprimente come la narra il Fogazzare mi ha sinceramente colpito. Ma il massimo sono le burocrazie zariste di Checov e Gogol, assomigliano tanto alle nostre; come pure gli eterni pervertiti del prolisso Dostoijevskij. Flaubert e il Tolsoij meno mistico poi...non no, l' ottocento annulla spesso la fredda distanza che mi pervade non appena sento menzionare la parola "classico".

Sviluppo senza proprietà

Noi adoratori della proprietà privata restiamo piuttosto interdetti allorchè constatiamo come in Russia il pronto riconoscimento di questo diritto non si puo' certo dire che abbia incentivato gli investimenti privati. Al contrario, in Cina, anche al tempo in cui il diritto non era legalizzato, si assisteva ad un boom di investimenti. Ma come?

Quel che conta, evidentemente, è la sicurezza che l' investitore sente attorno a sè e non certo la struttura formale dell' ordinamento giuridico in cui opera.

Ma come mai l' investitore "russo" si sentiva tanto insicuro? Probabilmente il riconoscimento legale della sua proprietà non gli bastava.

L' investitore cinese era in tutt' altre condizioni. Poteva aggregarsi al business solo in compartecipazione con i governi locali. Legando i suoi interessi a quelli di un' autorità istituzionale consolidata si sentiva le spalle coperte. Queste forme di associazione sono state un trampolino di lancio efficacissimo.

Si potrebbe continuare nel descrivere il gradualismo cinese pensando ai liberi commerci.
Non furino affatto il frutto di una liberalizzazione di settori commerciali specifici. Le politiche di pianificazione e delle quote continuarono a lungo e alla grande. Il libero commercio era consentito ai produttori ma solo "al margine" delle quote. Vennero poi semplicemente istituite delle enclaves sperimentali, all' inizio quasi dei "giochi" che via via furono allargate fino ad esplodere in tutto il paese.

R OEMR p.189

Congetture temerarie

Sto leggendo I Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer. Mi sono deciso poichè il critico Harld Bloom li inseriva nel suo prezioso "Canone Occidentale" e, nei libri in lista, era tra quelli che non avevo mai affrontato. Ora mi è venuto un sospetto. Vuoi vedere che l' americano, nel compilare il suo stringato compendio della letteratura occidentale più influente, ci ha infilato Chaucer per scalzare chi sarebbe entrato più comodamente, ovvero il Boccaccio? C' era già l' ineludibile Dante e due italiani, probabilmente, gli sembravano troppi.

A Davide che, dopo essermi espresso come sopra, mi rimprovera con il pregnante argomento..."...il Bloom avrà avuto le sue buone ragioni visto che i suoi titoli sono in ordine e i suoi concorsi se gli è vinti tutti senza recriminazioni..."...

Purtroppo capita spesso che la "professionalità letteraria" sia al servizio delle simpatie, specie laddove il critico è militante, specie laddove è difficile reperire punti di riferimento oggettivi, specie laddove la scelta è tra due vertici pressochè indistinguibili della letteratura. Del resto, lo stesso Chaucer, nel ricostruire arbitrariamente una sua genealogia, trascura a sorpresa di fare il nome del Boccaccio, pur se le affinità, le precedenze e la conoscenza, siano elementi ben noti. Da ultimo, anche i libri di critica letteraria più referenziati si leggono con maggiore passione quando, liberando una certa impertinenza, si evita di lasciare all' autore l' ultima parola. Tu la lasceresti al grande Eliot mentre stronca l' Amleto di Shakespeare bollandolo come opera monca? Allora, azzardiamo pure nei nostri francobolli forumistici, ci è concesso una volta che si riconosca e si riverisca senza sottomissioni lo sterminato sapere dell' esperto.

lunedì 17 marzo 2008

No...l' esaurimento delle risorse no...(bazzicando compagnie anti-liberali)

EMERGENZA TERRA" ric - 25/09/2006 17:16 Non sapevo che una delle "emergenze terra" fosse il "tasso di crescita eccessivo".

A questo punto devo pensare che la soluzione consista in una diffusione della povertà.

A parte qualche originale "sociologo dell' impoverimento"(il circo Touraine tanto per intenderci), non penso che in molti siano disposti a prendere sul serio queste vie di fuga un po' bizzarre.

Se permettete continuo a pensare che, a parità di tutto il resto, un ricco abbia maggiori possibilità di risolvere un problema rispetto al povero in canna. Quanti più ricchi circolano dalle nostre parti, tanto più crescono le nostre speranze.

Quando qualcuno trova molto faticoso convincere il prossimo e rispettarne i diritti, ecco che se ne esce tutti i momenti con espressioni altisonanti come "genere umano", oppure "problema-terra", dopodichè si passa al prossimo collasso del sistema solare...e via sfumando verso territori sempre più sfocati dove tutti gli ostacoli possono essere sormontati con due sinuosi pensierucci apocalittici apocalittici.

I problemi così presentati da chi predilige queste visioni grandiose, consentiranno di adottare soluzioni che trattino il proprio vicino come ha sempre sognato: una pedina (ostaggio di "interessi superiori e planetari").

Questo modo di procedere produce vicoli ciechi di cui Kyoto è un buon esempio.

Occhio anche a prendere con le pinze i democatastrofisti che, pur condannati a ripetizione dalla storia delle idee, tornano regolarmente alla carica.

RE: RE: EMERGENZA TERRA" ric - 27/09/2006 08:59 Caro Florestan, anche la tua nozione di "risorsa" mi convince dei mille equivoci in cui ti trascini.

L' economista ci dice che la risorsa è essenzialmente un' idea. La parte materiale di questo concetto è secondaria.

Il petrolio era una fanghiglia maleodorante senza l' idea che lo rese risorsa.

Purtroppo la "fisica delle idee" è una materia complessa, molto più della fisica naturale.

Di sicuro, però, è l' unica fisica che ci interessa davvero affrontando i problemi legati alla scarsità.

Con un eufemismo, mi si lasci dire che queste elementari verità (abc) nell' approccio del circo "Touraine" non sono tenute nel debito conto.

Ma è normale visto che non si tiene conto dell' uomo e lo si considera alla stregua di uno zombie a cui dobbiamo prendere le misure con qualche metro statistico, manco fossimo in sartoria. Troppo facile.

EMERGENZA TERRA" ric - 28/09/2006 11:52

Un mondo povero e mummificato, in genere, produce poche idee e poche soluzioni ottimali.


TERRA" ric - 28/09/2006 16:32

Un saluto a Matteo. Mi dici "...nesusno vuole l'impoverimento, ma è altrettanto impensabile che tutti sulla terra possano consumare la stessa cosa senza esaurirla in poco tempo...".

Per non correre questo pericolo esiste una soluzione che finora non ha mai fallito: il sistema dei prezzi.

Non è tanto la ricchezza ad aguzzare l' igegno. E' l' ingegno che produce ricchezza. Poi, in un circolo virtuoso, la ricchezza mette a disposizione dell' ingegno sempre più mezzi.

Per questo che li trovi a spasso sempre insieme a bracetto da buoni amici. Pensare a questa storiella come ragionevole, ed in fondo non è poi così difficile farlo, puo' risultare molto consolatorio.

No...la teoria dei bisogni indotti no...(...battendo i forum anti-liberali)

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 20/09/2006 19:19

Se preciso a me stesso la nozione di "consumo" molte cose che ho in testa si dispongono in modo imprevisto.

In fondo noi viviamo per consumare, chi puo' negarlo?

Sì, in effetti qualcuno vive anche per salvarsi l' anima. In questi casi tutto viene valutato in relazione ad una realtà soprannaturale.

Ma chi ama la vita vive anche e soprattutto per consumare.

Per "consumo", sia chiaro, intendo tutte le attività distinte da quella produttiva.

Qualcuno ha detto correttamente che chi non vive per il consumo è un alienato. Per costui l' attività produttiva avrebbe la precednza rovesciando l' ordine naturale del ciclo. Costui mangia per lavorare anzichè viceversa. Inverte i fini con i mezzi.

Ora, per non scadere in un gretto materialismo, veniamo a dei consumi particolari che, di primo acchito, non sembrerebbero classificabili come tali.

Mi fermo a meditare l' infinito di Leopardi e ne traggo grande giovamento.

Ecco una tipica attività attraverso la quale molti consumano (il proprio tempo).

Se leggo un sonetto di Shakespeare coltivo il mio spirito e la cosa puo' venirmi buona anche quando sono in ufficio.

Ma non è certo questa la funzione principale di quella lettura.

Innanzitutto io miro ad un godimento estetico e ad una realizzazione interiore immediata.

Il sonetto è dunque un bene di consumo e non di investimento.

Questa distinzione (consumo/investimento) io la manterrei, la trovo ancora ragionevole.

I tentativi di sopprimerla sono ingegnosi ma quasi mai riusciti.

Del resto i più impegnati nel sopprimerla sono i letterati, e i letterati falliscono spesso nel dar conto della società in cui vivono.

Quest' ultimo è un giudizio un po' pepato. Ma se non azzardiamo qua...

Quando consumo, come dice Michela, esprimo anche il mio voto. Tramite il pagamento rendo più potente chi soddisfa i miei bisogni.

Non piovendo dal cielo, questo voto sarà più responsabile ed esprimerà al meglio la mia personalità.

C' è un' eccezione: colui che ama il proprio lavoro.

In questo caso saremmo di fronte ad un "godimento produttivo". Che fortunato questo signore.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 14:57 Produci, consuma, crepa.

Non è poi così male rispetto all' alternativa, ovvero: produci e crepa.

Non capisco poi l' opposizione tra "bisogni" e "consumi". Come se fossero in competizione. Il consumo è l' attività mediante la quale si soddisfa un bisogno.

Qualcuno ha sollevato il problema dell' aria e di come stia diventando un bene prezioso. E' vero! Di aria pulita ce n' è poca poichè non la si può vendere.

Bisognerebbe ovviare a questo inconveniente. Ma come fare a renderla negoziabile? Le idee ci sarebbero. Una fra tante: i pedaggi stradali telematici. Purtroppo gli interessi in ballo sono consistenti e la fattibilità di progetti ragionevoli è scarsa.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 18:56 La teoria dei bisogni indotti non mi ha mai convinto.

Comincio con il dire che la domanda "di cosa ho bisogno?" ha senso. I can get no satisfaction. E' forse un sentimento inventato? Direi di no visto che è stato il sentimento di un' intera generazione.

Se altri, nel loro interesse, senza frodi o inganni, ci aiutano a rispondere, significa forse che un bisogno viene creato dal nulla?

No, molto più semplice considerare questo movimento come una scoperta: un mio bisogno viene scoperto. Meglio l' ignoranza?

Vista così tutta la fattispecie mi sembra inquadrata in modo più ragionevole, alla teoria dei bisogni indotti non resterebbe che uno spazio residuale.

Inoltre non si dilapida quel bene prezioso che per me è l' architrave della società: la responsabilità personale.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 21.08

Dicono che sulla questione ambientale il consumatore venga posto di fronte a due strade.

Combattere le cause dell' inquinamento consumando beni ecologici (es. auto a idrogeno).

Combattere gli effetti dell' inquinamento consumando beni resilienti (es. condizionatore).

Per vari motivi sia etici che utilitaristici trovo che la seconda strada sia più ragionevole.

Ad Antonio vorrei dire, in effetti per alcuni beni si realizza un marketing più pressante.

Ma questo si spiega con il fatto che alcuni produttori subiscono una maggiore concorrenza e anche una maggiore attenzione da parte del consumatore.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 22/09/2006 10:44 Viene prodotta troppa merce? siamo soggetti ad una iper produzione?

E' una domanda troppo complessa a cui rispondere.

Per farlo non posso certo basarmi sul fatto che altri utilizzano merce che io non utilizzerei mai!

Starei più tranquillo se si riuscisse a fare in modo che i costi dell' eventuale iperproduzione vengano sopportati da chi l' ha realizzata.

Siccome in una società libera la merce in eccesso coincide con quella che nessuno vuole, tale merce resterà invenduta e graverà sul groppone di chi l' ha prodotta sbagliando i suoi calcoli.

In questo senso siamo garantiti.

Michela dice "i bisogni indotti esistono, lo sanno bene i grandi strateghi del marketing...".

Ma la funzione degli strateghi del marketing è perfettamente coerente con la teoria dei bisogni NON indotti (vedi sopra).

Michela, tu dici che perdi il tuo tempo nel forum a discapito dell' azienda per cui lavori. Se entri in rete per un tuo piacere personale allora stai "consumando".

La cosa torna utile in modo rilevante all' azienda? Anche qui un bel problema.

Ma c' è una buona e ragionevole soluzione, basta vedere se l' azienda ti paga per passare così il tuo tempo.

Naturalmente devi considerare che alla tua azienda torna utile (in modo decisivo) anche se tu ti nutri come si deve.

Come potresti recarti al lavoro se non mangiassi? Ma per questo non ti paga. Sa benissimo che sulla questione il tuo interesse di consumatrice prevale su quello del produttore

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 22/09/2006 19:36 In effetti qualcosa non torna con Michela.

Secondo te sono indotti tutti i bisogni che non siano primari.

Ma questo non è cio' che si intende comunemente.

Indotto è il bisogno che in realtà non esiste.

Mentre i bisogni non primari esistono eccome (ammesso e non concesso che abbia senso l' espressione "bisogno primario"!!).

Per avere bisogni indotti è necessario postulare che il consumatore non sia in grado di intendere e di volere. Oppure che subisca un inganno.

Così correttamente definito per me è facile dimostrare che si tratta di una falsa nozione da abbandonare quanto prima per un corretto sviluppo del ragionamento.

Anche perchè, una volta accettata la teoria, le conseguenze potrebbero essere spiacevoli. L' alternativa sarebbe che una autorità tirannica stabilisca quali siano i tuoi "reali" bisogni.

Questa alternativa mi è antipatica di brutto.

No, no, meglio prendere la nozione di "bisogno indotto" e buttarla nello sciacquone (insieme ai tiranni che porta con sè).

Abbiamo già visto come un bene come l' aria sia minacciato dal fatto di non essere negoziabile. Quelle dinamiche perverse potrebbero essere estese al nostro dialogo, cara michela.

Nel dialogo, infatti, ci facciamo dono reciproco delle nostre idee. Io ti regalo le mie.

Probabilmente non hanno molto valore poichè le regalo a destra e a manca.

Ma se avessi un' idea particolarmente brillante la coprirei con il diritto d' autore (o con il brevetto) al fine di farmela pagare limitandone la circolazione.

Se non potessi fare tutto cio' eviterei fin dal principio ogni sforzo e ogni investimento per produrre idee innovative.

Non è un caso che le società in cui esiste l' istituto del brevetto siano anche più innovative (con più idee originali prodotte).

Il forumista effeminato

Nelle animate discussioni internettiane, con regolarità impressionante spunta il forumista effeminato.

Amico di tutti e iper-sensibile, quando la situazione si fa critica e iniziano i tuoni, comincia l' affannosa ricerca di una gonna sotto cui riparare e da cui uggiolare mendicando una carezza di compatimento.

Non mi sembra ci voglia poi molto per cogliere il marchio di fabbrica dell' effeminato.

Quel periodare tutto fratturato e singhiozzate che, in cronica assenza di messaggi da veicolare, punta tutto sulle strizzatine d’ occhio e sulla simpatia ruffiana che vorrebbe sprizzare. Non vuole invece capire il fastidio che al prossimo danno quelle deresponsabilizzanti gomitatine d’ intesa. L' unico registro alternativo che conosce è quello di un' isteria da utero peripatetico. Condizione posta a premessa di rabbie afone e altre carnevalate stucchevoli. Ovviamente sono rabbie di cartapesta, scoordinate e senza costrutto. I suoi odi frequentissimi e mal pensati, sanno solo indirizzare puerili coltellate che arrivano deboli e di piatto circondate dalla crescente ilarità della Comunità Maschile.

Quando spirano simili miasmi si arriva presto a rimpiangere persino lo slancio pasticcione di una Valeria, le trincee da cui una Diana, con tanto di elmetto, getta le sue granate sarcastiche, le muffe didascaliche di un Enrico, il nulla con fiocco di una Rosemarie, lo scherzo della natura replicato da un mario, la desolazione adolescenziale di chi realizza le sue acerbe voglie trasgressive nel conformismo della parolaccia (RX)…

Le subordinate, purchè castrate, sono essenziali per condire una simile pietanza inodore, insapore, incolore. Come si farebbe senza il tesoro di queste tortuose involuzioni scritturali e cognitive? Sono tanti vicoli ciechi che non conducono da nessuna parte pur abbarbicandosi ovunque. Sono necessarie solo ad infiacchire il messaggio, a devitalizzarlo, a estenuarlo, a renderlo anodino, a sbiadirlo fino all’ elisione completa. Dissimulato in questo modo, perlomeno, si potrà dare l’ impressione che in origine un messaggio ci fosse. Ma basta un semplice bisturi per far saltare questa crosta e scoprire con orrore la mummia di un pensiero rachitico e animalesco, improvvisato senza cura sul momento e tenuto su con lo sputo tanto per non impegnarsi e per poterlo tradire il giorno dopo senza pagare pegno. L’ esempio perfetto di chi si distingue nell’ accudire, nel crescere, nell’ educare qualcosa che non è ha mai voluto nemmeno far nascere.

Perorazione dei forum rissosi

Un forum rissoso ci respinge, ma un forum stagnante ci ammorba.

Nella vita vissuta andare d'accordo con il nostro prossimo ci rasserena, ci consente di pensare ad altro rendendoci più produttivi nel perseguire progetti comuni.

Raggiungere l' accordo in una discussione forumistica, invece, decreta la fine di quella discussione. Se poi l' accordo c' è fin dall' inizio, la discussione sarà abortita sul nascere. In una discussione l' unico progetto è convincere l' altro o, perlomeno, chiarire la propria posizione e i motivi della divergenza. L' accordo annichilisce il confronto. Non dico che alla discussione subentri il nulla ma sicuramente si entra in un altro mondo. Faccio alcune ipotesi.

  1. In una preghiera quando va bene, in una ciacolatoria altrimenti.

  2. In un incitamento reciproco in stile All Blacks. Ci si compiace nel comunicarsi vicendevolmente e ripetutamente i segreti eleusini.

  3. In un racconto isolato. Isolato, cioè senza quell' ascolto attivo che genera interpretazioni interpretazioni contrastanti.

  4. In un pettegolezzo.

  5. In manifestazioni disarticolate di solidarietà o odio.

  6. In un chiarimento dei termini. Ovvero, siamo tutti d' accordo, basta capirsi.

  7. In un atto espressivo egocentrico.

  8. Alcune di queste varianti sono pure nobili, ma io, se penso al forum, penso alla discussione.

Se poi non si riescono a gestire le divisioni e si ripiomba nella disarticolazione del mondo emotivo (odio), non ne farei una colpa alla redazione. Anzi, se proprio dovessi scegliere un parametro di giudizio, direi che la redazione è tanto più abile quante più cangianti e numerose sono le divisioni che riesce ad inoculare nella sua platea.

A mio avviso un forum senza divisioni è privo d' interesse. In un mondo virtuale ci sono solo "paci" virtuali e senza sugo, per me si trasformerebbero subito in bonaccia. Personalmente sono interessato solo ad opinioni che siano diverse dalle mie, purchè non siano puri pretesti improvvisati sul momento.

Winterreise

Non posso dare la mia approvazione a Into The Wilde, l' ultimo film di Sean Penn, non posso farlo. Eppure è di quello che bisogna parlare, di quel winterreise, magari con altre parole ma è di quello. Magari, se non si trovano altre parole, un bel silenzio preserva al meglio la magia e il potenziale della bomba. E che lì sia sotterrata una bomba ce lo raccontano alcune vibrazioni che non sfuggono al rabdomante. Vibrazione che, a volte, spuntano frammiste alle chitarre sferraglianti di Hard Sun.

sabato 15 marzo 2008

Il Fiume Rosso

La storia narrata ne “Il Fiume Rosso” non è particolarmente originale, specie per chi la scopre solo oggi. Una motivazione c’ è: è stata molto imitata. Ma questo è solo un titolo di merito, accade per tutti i classici.

Ci vengono raccontate le vicende di due uomini, Tom e Matthew, legati da una relazione speciale, qualcosa che somiglia a ciò che unisce Maestro e Discepolo. E’ un evidente simulacro del legame istituito dalla paternità. La rottura tra i due si consumerà allorchè Matthew matura lentamente la sua condanna per alcuni comportamenti intollerabili che Tom tiene nei confronti dei suoi sottoposto. Ma il debito per l’ attenzione ricevuta dal ragazzo nel suo periodo di apprendistato si farà sentire gettando le basi per una riconciliazione tra i due eroi. Il legame di ferro verrà ristabilito su un piano paritario.

Il genio pratico di un autore come Hawks ha lardellato questo scheletro con molta carne succulenta.

Il dramma ha due fuochi. Primo, come raccogliere le forze per condannare apertamente chi ci è intimo e, perdipiù, con la sua riprovevole condotta nemmeno ci procura un danno personale?

Secondo, come eludere gli ostacoli che si frappongono alla riconciliazione?

Il primo dramma non è insolito. Per far scattare la condanna è necessaria la violazione di una norma etica che trascenda i nostri affetti, che eluda il conflitto di interessi più immediato, che superi i nostri più intimi sentimenti. L’ ingiustizia deve prevalere sui rapporti personali (1).

La non debole premessa, quindi, è che norme di tal fatta esistano. Siamo fortunati, nel Far West esistono eccome.

Certo, non è facile formulare un giudizio tanto gravido di conseguenze spiacevoli, eppure in questi casi una coscienza ben formata deve poter compiere questo lavoro ingrato. Ed ecco un primo corto circuito che costituisce la poesia di questo film: la coscienza tanto proba da poter emettere un simile verdetto, è stata “formata” proprio da colui che ora si trova a subirne la condanna. La cosa non sarà irrilevante.

Il secondo dramma è più caratteristico dei film western. Riguarda la canonica pietra d’ inciampo sulla via della riconciliazione: l’ orgoglio.

L’ orgoglio rende pudici e trincerati i cowboy che popolano questi bruschi paesaggi texani, cio’ non consente loro di addivenire a quelle che per noi sarebbero facili e risolutive spiegazioni. L' inane e istintiva incitazione dello spettatore è sprecata.

Attenzione, stiamo parlando di un nemico insidioso perchè orgoglio e pudicizia sono, allo stesso tempo, anche il tesoro più prezioso che un cowboy reca con sè ovunque vada. Non puo’ certo disfarsi a cuor leggero di queste due pepite. Volete qualche esempio della loro utilità?

Abbiamo la fortuna di parlare del Fiume Rosso, un capolavoro che, quanto ad esempi, è una miniera inesauribile.

Prendiamone uno frivolo: il pocker.

Non si puo’ giocare a pocker senza quell’ innata pudicizia dalla quale il “gambler” attinge per forgiare la sua maschera imperscrutabile. Nel pocker bisogna impedire che gli altri ci “guardino dentro”, che penetrino nell’ andito dove si elabora il nostro pensiero più recondito. Ma la pudicizia è proprio l’ arma con cui la psiche umana custodisce al meglio questa sfera riservata. Non è un caso quindi che tutti nel vecchio west giochino a pocker. Anche questo film presenta una mano al tavolo verde. Il mix di fortuna e astuzie che incorona il vincitore costituisce una buona mimesi della vita di frontiera.

Il secondo esempio, quello riguardante l’ orgoglio, è più serioso.

L’ orgoglio e l’ onore (2) sono i genitori della vendetta. Chi non sente urgere questi sentimenti è destinato a percorrere solo un brevissimo tragitto sui sentieri selvaggi del vecchio west. La vendetta è istituzione centrale in quel mondo, e la storia del Fiume Rosso lo ribadisce.

Notate come Tom abbia dato grande visibilità alle sette tombe di chi era venuto a disturbarlo reclamando quella che lui considerava la sua terra. Vendicando la sua terra l’ ha resa ancora più Sua, l’ ha serrata con vigore crescente nella sua stretta. Chi lascia cio’ che è suo quando puo’ difenderlo viene disonorato perdendo i suoi diritti (3).

Lo capiamo subito il giro del fumo: niente orgoglio, niente onore da difendere, niente vendette, niente terra, niente storia, niente western, niente civilità.

Ma allora come fa il cow boy a tenere a bada i potenti influssi negativi di questi sentimenti, peraltro così essenziali su altri versanti? Semplice, deve avere vicino una donna che svolga questa funzione emolliente. Una parola femminile a cui sia dolce cedere. Un’ orientamento appena alluso che sia possibile seguire abbandonandosi con fiducia.

Ed ecco allora il dramma da cui germina tutta la nostra storia: Tom ha perso la sua donna, lo veniamo a sapere nelle lapidarie scene iniziali, non ci sono più donne al suo fianco.

Senza donna la sua corazza di pudore è diventata impenetrabile e lo stritola. Il suo stesso pudore lo sta fagocitando al cospetto dei suoi amici impotenti. Tutti sanno, e Metthew, il figlioccio, sa meglio di tutti. Ma loro sono uomini, sono disarmati di fronte a questa tragedia, possono solo comunicare con la vittima come potrebbe farlo un odioso grillo parlante da prendere a martellate, un ruolo che disturba prima di tutto proprio loro stessi.

Anch’ essi sono di quella razza, anch’ essi hanno connaturata quella pudicizia che non consente loro di moraleggiare agevolmente. Solo Groot, il brontolone compagno di sempre, messo sotto pressione e richiesto con insistenza (“...e tu cos’ hai da guardare?...”) lascia che una metà della sua bocca sdentata articoli uno smozzicato: “...avevi torto Tom...”.

Da quanto detto si sarà già capito che il deus ex machina della fiction vestirà una gonnella.

***


Adesso vorrei dar conto di alcune tematiche collaterali che il Fiume Rosso illustra magistralmente. Sono ricorrenze tipiche del genere western. Non sono solo formalismi di un genere cinematografico, sono dei capisaldi culturali di un mondo che, pur sottoposto a parecchie metamorfosi, ancora informa parte della realtà che viviamo e dei sentimenti che proviamo tutti i giorni.




  1. Innanzitutto non dobbiamo dimenticarci di essere di fronte ad un’ opera ci carattere epico. E’ un po’ difficile dimenticarselo poichè l’ eroe ripropone per tre volte la sua solenne decisione di compiere un’ impresa. La prima di conquista, andrà nel Texas a conquistare la sua Terra. La seconda d’ affari, andrà nel Missouri a vendere la mandria. La Terza di vendetta, andrà ad Abilene ad uccidere Metthew. Il decisionismo e la centralità dell’ impresa ci fanno capire di avere a che fare con personalità che hanno tutta l’ intenzione di influire sul proprio destino.


  2. Gli Indiani fanno parte del paesaggio selvatico, sono semplicemente un fenomeno naturale, un ostacolo da superare sulla strada delle imprese. Non hanno motivazioni, non hanno ragioni. Non ha nemmeno senso abbracciare la loro causa, sarebbe come schierarsi a favore del Grand Canyon. Fortunantamente questa immaturità verrà superata nei film dei decenni successivi, a volte in modo talmente pedante da costringerci a rimpiangere il candore primigenio.


  3. La donna è associata alla notte, al riposo e alla riflessione. C’ è un tempo per combattere e un tempo per soppesare l’ azione nella tranquillità domestica che ci donano gli affetti più cari. Ma anche la parola è il regno della donna. Lei sa parlare al cuore. Con la parola porrà fine alla discordia (4).


  4. Esiste una tradizione da tramandare. Basterebbe la scena in cui il braccialetto della madre viene donato alla donna che ne prenderà il posto, per illustrare adeguatamente questo punto.


  5. La stirpe dà continuità al lavoro dell’ uomo. Il figlio è la speranza, è la medicina contro la morte. Avere figli è essenziale. “Ma perchè vuoi un figlio Tom?” “Per lasciare a lui tutto quello che ho costruito...è una cosa bella...”


  6. Ogni buon western esalta con le sue zoommate il paesaggio naturale. Non è solo un vezzo iconografico, si tratta proprio di porre al centro un concetto come quello di Natura en plein air. La natura mette in scena se stessa ma anche il cuore dell' uomo.


  7. La gerarchia è un punto fermo dell’ organizzazione. La forza auita a stabilirla. Con un ceffone Tom si insedia come capo, Metthew incassa, sarà il discepolo. Comprende l’ ordine naturale di questa gerarchia e questa comprensione sarà la sua ricchezza, ad essa dovrà la sua fortuna.


  8. Ogni gerarchia ha un capo. Non c’ è cosa pù difficile che svolgere questa funzione. Il capo detta la strategia. Ma è anche giudice, un giudice che applica leggi mai scritte in nessun codice, leggi da estrarre con finezza dalla materia viva e cangiante della tradizione e della natura (5). Molti film western, questo compreso, si incaricano di descrivere meticolosamente i fallimenti ricorrenti di chi si addossa questi compiti ingrati ma necessari.


  9. A proposito di norme mai scritte in nessun codice, eccone una sulla quale, almeno allora, mai nessuno trovava da ridire: non è richiesto di seguire il capo in fondo al pozzo. Esiste un diritto a ribellarsi, un "appello al cielo".


  10. Il metodo didattico della doccia scozzese viene impiegato spesso con successo. E’ sbrigativo, non infetta le piaghe, e spesso riduce i costi, anche i costi di una narrazione ridondante. Chi non capisce capirà, e chi ancora non capisce non capirà mai con qualsiasi metodo.


  11. Arriva il momento in cui l’ allievo prosegue la sua crescita solo se adeguatamente responsabilizzato. A Metthew viene consegnata la pistola, è un momento solenne, se l’ è meritata e, nello stesso tempo, se la deve ancora meritare. Il passato e il futuro vengono caricati di senso grazie a questo gesto (6).


  12. La terra è di chi la sa difendere e di chi la fa fruttare. Probabilmente Tom non ha fatto nessuna scuola di legge ma quanto sia legittima la sua pretesa se lo sente nel sangue. Sono diritti che esistono come esiste il fiume e la prateria. Marcherà le sue vacche e quella marca indicherà una sua proprietà. Il confine, la recinzione, la marca. Ecco dei protagonisti indiscussi del vecchio west (7). Anche a Metthew è promessa la sua marca “...quando se la meriterà...”. Daltronde il “vissero felici e contenti” di questa fiaba è sì un amore che va in porto, ma anche un accordo su confini, marche e percentuali.


  13. “...l’ ho capito guardandolo negli occhi...”. Il cow boy, come il pockerista, è uno scrutatore dell’ anima. Nessuno è lontano dal negarne l’ esistenza quanto il cow boy.


  14. Zappa e Bibbia. Lo si capisce facilmente, il cow boy, vivendo una vita rischiosa a noi sconosciuta, è necessariamente uomo religioso. Ma il suo Dio, prima ancora di essere un Dio Misericordioso, è un Dio giusto e vendicativo, è il Dio come esce dall’ Antico Testamento. A Metthew, che è tentato dal sovvertire queste priorità, vengono pronosticati guai. La Religione è valorizzata in quanto Tradizione prima ancora che come Fede.


  15. Tom non capisce il denaro, non lo sa maneggiare, è colto da un senso d’ impotenza, vorrebbe reagire ma non sa più come indirizzare tutta l’ esplosiva energia che ha in corpo. Questa novità lo confonde e lo oblitera. Eppure non è certo alieno dalla pratica degli scambi (stipula contratti a ripetizione). A deconcentrarlo è proprio questo specifico mezzo di pagamento (8). Ma questa non è una sua fisima, la diffusione del denaro andrà di pari passo con la scomparsa dei cow boy, altri eroi gli subentreranno. Molti film si dedicano ad illustrere questo crepuscolo, questo cambio di scena. Volete degli esempi? L' Uomo che uccise Liberty Valance è il primo che mi viene in mente.


  16. Al contratto è data grande importanza. Onorare la parola data non è solo importante. E’ tutto per certi uomini. Sono per l’ appunto gli Uomini d’ Onore. E la cultura del far west è una cultura dell’ Onore. Ma i contratti vanno anche inerpretati. La caduta di Tom comincia con la sua interpretazione di stampo fondamentalista del contratto stipulato con i mandriani per andare in Missouri (9).


  17. Un topos che ricorre, specie nei film di questo autore, è il concetto di lavoro ben fatto; il lavoro svolto a regola d’ arte viene esaltato. Soprattutto “...cio’ che è inziato deve essere portato a termine...”. Tom è fermissimo (fin troppo) nell’ affidarsi a questo principio (10).


  18. La vendetta è il cuore della giustizia nel Far West. E’ sentita come un dovere da espletare, anche controvoglia. Va annunciata come si legge una sentenza. Sono tutti formalismo che Tom non manca di osservare (11).


  19. Nel duro mondo dei pionieri fare comunella con gli altri è essenziale sia per sopravvivere che per vivere. Il sentimento comunitario è spiccatissimo e convive a meraviglia con l' individualismo di fondo. Ogni buon film western deve contenere una festa dove la comunità si riunisce a mangiare, ballare e divertirsi. Anche qui ce n’ è una (12).

Vorrei chiudere con una parola sullo stile. Uno stile primitivo, asciutto, stringato, essenziale. Non c’ è che dire, si sposa bene con la materia narrata. Non manca però chi si è lamentato di questo aspro primitivismo (13), altri invece apprezzano sopra ogni cosa il dono della sintesi messo in campo.


NOTE




  1. Quando Tom viene abbandonato da tutti Groot, richiesto se vuole restare, afferma “...che avessi torto o ragione sarò al tuo fianco...”. Questa impostazione sembra in contrasto con la mia ipotesi.


  2. anche presso di noi il sentimento dell’ onore gioca un qualche ruolo? Bè, sì. Come negarlo. In genere lo gioca in negativo, ma c’ è una spiegazione. Prendiamo le bande giovanili delle aree metropolitane. Per loro l’ onore è ancora un valore, eppure non c’ è chi non veda i guai che tutto cio’ procura. Ecco come si sono spiegate queste aberrazioni: non puo’ esistere una cultura dell’ onore che non sia ancorata a solide tradizioni e che non irradi dalla presenza di “vecchi saggi”. Tradizioni? Vecchi saggi? sono tutte infrastrutture che mancano nel mondo delle bande giovanili. Con lacune del genere la cultura dell’ onore diventa diabolica. Il concetto di “dignità” è l’ unica versione (molto annacquata) che possiamo permetterci di “onore”.


  3. Ma chi non si batte in quanto ben conscio delle proprie forze è invece portatore di buon senso e degno di elogi (vedi la scena della rissa al saloon).


  4. La predica finale inflitta, pistola in pugno, a Tom e Matthew ancora riversi a terra, è lo splendido apice di tutto il film. Parole istintive, fiere, comiche, passionali, le vere ed autentiche parole d’ amore che tutti conoscono ma solo una donna puo' pronunciare poichè sono le parole "del grembo", le parole che fondano la comunità degli uomini...Parole grazie alle quali “vissero tutti felici e contenti”.


  5. Un sintomo della deriva di Tom lo percepiamo nel momento in cui proclama a chiare lettere “...qui la legge la faccio io...”. E' somma bestemmia in un mondo dove la Legge esiste alla stregua del Gran Canyon.


  6. Quando il mandriano vuole vendicarsi facendo fuoco su Tom, viene dapprima trattenuto. Ma per calmarlo è sufficiente che Matthew prenda il fucile e lo riconsegni ostentatamente nelle sue mani. Una volta responsabilizzato seriamente ritroverà la ragione ed abbandonerà il suo gesto insano.


  7. In realtà le cose sono più sfumate. In parecchi film allevatori e coltivatori entrano in conflitto. La loro concezione dei diritti non collima. Sopratutto l’ allevatore ha problemi ad adeguarsi alla terra cintata. Molti cow boy, osservando le distese di filo spinato, considerano terminata la loro epopea.


  8. E’ interessantissimo formulare ipotesi che motivino questo disorientamento di fronte al denaro. Alcuni studiosi fanno discendere il denaro dal sacrificio: l’ animale o l’ uomo sacrificato è la moneta con la quale rendiamo grazie al nostro Dio pagandolo. Persino la vendetta è stata identificata come un modo per “pagare” attraverso la mutilazione del corpo un sopruso perpetrato. Probabilmente il salto con il quale si passa dalla “moneta vivente” alla “moneta convenzionale” resta incomprensibile alle mentalità più arcaiche.


  9. Ma la rigida interpretazione contrattuale di Tom è davvero così aberrante? Il suo comportamento è senz’ altro crudele, ma è anche manifetamente iniquo? E’ davvero possibile non far fronte ai propri impegni dicendo “...tu non sei più l’ uomo di allora...”. Fortunatamente la parabola del film non si pacifica in una chiusura ermetica, ci sono spiragli per interpretazioni eterodosse. Qualcuno potrebbe perfino vedere in Metthew un anti cow boy. Il dibattito è aperto, che ognuno dica la sua.


  10. La solennità con cui iniziano le imprese è particolarmente studiata. Se devo selezionare la scena che ha reso famosa la pellicola non ho dubbi, opto per l’ inizio dell’ impresa, per l’ inizio del lavoro da portare a termine: la partenza delle mandrie in viaggio per il Missouri, quella in cui all’ albeggiare si scatena la lunga serie di urla selvagge dei cow boy che danno il la alla sinfonia epica.


  11. Il passo di marcia con cui Tom va verso Metthew per regolare i conti esalta questo formalismo. Sul tema della vendetta come dovere gravoso hanno qualcosa da dirci i film di Eastwood, in particolare si impara molto guardando “Gli Spietati”.


  12. Pur se siamo ben lontani dalle deliziose comunità di Ford. Ma con Ford stamo parlando di un irlandese, quindi di un temperamento più sentimentale e festaiolo.


  13. Un regista come Woody Allen, rapportandosi al grande cinema europeo, ha sempre lamentato la latitanza di grandi maestri nel suo paese.

Rothbard: quello che c' è da prendere e quello che c' è da lasciare

Anche la critica più aspra illumina il Maestro. Qui ci si concentra sulla politica monetaria.

venerdì 14 marzo 2008

La prima minaccia delle società: l' economista

E' la tesi contenuta nell' ultimo libro di Stephen Marglin.

Soliti qui pro quo con individualismo, egoismo, consumeismo e compagnia cantante? Probabilmente.

Rodrik consiglia di vaccinarsi leggendo i grandi (e umanissimi) economisti come Adam Smith. Io consiglio di farlo leggendo Rodrik.

Il bazar del welfare. Giocare con le tre carte per mantenere l' incentivo

Salario minimo, reddito minimo, sussidi di disoccupazione, negative income tax, crediti d' imposta...e un meccanismo d' incentivazione che va messo a punto se non si vuole cadere dalla padella nella brace.

E alla fine vince ancora il vecchio Friedman con la sua NIT (praticamente un reddito minimo con l' incentivo a non sedersi).

Geniale l' applicazione della NIT sotto il vincolo costituzionale libertario per cui nessun cittadino puo' ricevere aiuti in misura differente dai suoi concittadini. Sul punto si è prodotto Charles Murray dell' American Entreprise Institute.



A che serve un salaraio minimo se c' è un reddito minimo? A nulla. A che serve un sussidio di disoccupazione se c' è un reddito minimo? Serve come anticipazione visto che la NIT è calcolabile solo a posteriori.



Il problema decisivo resta comunque la transizione dal welfare deforme all' opera qui ed ora.

giovedì 13 marzo 2008

Regole contro Mercato. Rodrik contro De Soto?

La fama che circonda personaggi come Rodrik e De Soto spinge a riflettere.

Si tratta di due grandi economisti che si sono spinti a fondo nella ricerca inaugurata da Adam Smith: rinvenire il segreto che rende ricca una Nazione e povera l' altra.

Il primo si è spesso mostrato critico verso le ricette comunemente utilizzate per gestire la globalizzazione.

Poichè queste ricette, cucinate dall' FMI e dalla Banca Mondiale, vengono con faciloneria etichettate come neo-liberiste, va da sè che l' economista di Harvard venga ritenuto poco più che un social-democratico.

Mi è capitato di sentire parecchi no-global citarlo attingendo alla ricchissima messe di esempi che l' Illustre ha con dovizia sciorinato nelle sue preziose pubblicazioni.

Al contrario, De Soto, si è spinto a difendere le economie illegali di cui ribolle la suburbia dei paesi poveri. I suoi libri presentano nella controcopertina i giudizi sperticati di Coase e della Thatcher. Chiude ogni suo paragrafo con una perorazione del diritto di proprietà. Ha appena vinto il premio Friedman...Insomma, appare a molti come un mastino del mercato spinto.

Eppure, quando poi vai a guardare, non c' è una grande differenza nell' approccio dei due.

Entrambi, sulla scia dell' insegnamento neoclassico, vedono nella qualità istituzionale la chiave di volta delle questioni legate allo sviluppo. Entrambi predicano forme di decentramento nell' azione volta a costruire dette istituzioni.

Rodrik giudica questo decentramento come garanzia di un approccio molteplice da contrapporre al Modello Unico (e Neoclassico) degli organismi internazionali.

De Soto si spinge ancora oltre e invita a rintracciare l' esistente embrione di regole condivise che già è presente - spesso in forma illegale - nella vita quotidiana dei diseredati. Una volta rintracciato quello scheletro, la formalizzazione del diritto dovrà tenerne conto.

In fondo dicono qualcosa di molto simile.

C' è però un elemento meramente retorico che li differenzia e che forse crea un' ingiustificata frattura negli schieramenti in cui vengono poi collocati.

Nella prosa di Rodrik si tende a sottolineare l' importanza delle Istituzioni Non di Mercato. Viene usata esattamente questa locuzione in modo che il lettore resti colpito da quanto il fondamento di tutto non sia affatto il mercato. Rodrik ci appare subito come un non-fondamentalista, per lui contano le Regole. Il mercato viene dopo.

Altra storia per De Soto. Invitandoci a formalizzare dette Regole sulla base delle consuetudini, il peruviano non puo' enfatizzare l' estraneità di quelle Regole rispetto ad un fenomeno contrattualistico. La consuetudine infatti emerge hayekianamente da una miriade di interazioni umane, ovvero da qualcosa che assomiglia molto ad un mercato.

Personalmente attribuisco a Rodrik un' imprecisione retorica. Per i fini che si propone lo studioso è praticamente irrilevante ma per il giudizio ideologico che a me interessa ora, no.

Come distinguere infatti chi assume le Regole come fondamento contrapponendole al mercato, operazione che traspare dalla retorica di Rodrik?

In genere costoro prediligono soluzioni centraliste: esistono delle Regole e vanno poste a fondamento. Tutto deve girare intorno ad esse.

La soluzione "localista" in fondo cos'è se non un "mercato delle regole": esistono dei set istituzionali differenziati, che competano visto che sono entrambi legittimi. Ma optare per un "mercato delle regole" è un modo per asserire la superiorità del Mercato sulle Regole.

Poichè abbiamo visto che sia De Soto che Rodrik propendono per la soluzione istituzionale localista, allora entrambi, nella diatriba Regole contro Mercato, appartengono di diritto allo stesso schieramento.



ADD1. A chi si infervora nel proclamare in astratto la necessità di un' imprescindibile gabbie di regole a fondamento della vita civile e a barriera di un mercato pervasivo e corruttivo, fate pure presente che sono in molti a ritenere la Costituzione come un contratto su cui gli italiani fondano la loro convivenza. Poi fate anche presente che "il contratto" costituisce l' atto di mercato per eccellenza. Dopodichè attendete risposta.

mercoledì 12 marzo 2008

Grandi Anime

William Parker, con il suo Ensemble, si è messo a frugare nientemeno che nell' anima di Curtis Mayfield per cavarne dai precordi l' eco più intima. L' anima è grande, il vagabondaggio infinito, ma alcune pepite sono già state rinvenute, per esempio questa.

Da William Parker - The Inside Song of Curtis Mayfield - Live in Rome.

Sulle piste di Calhoun e Tocqueville

Ah, questi liberali...sempre sulle piste di Calhoun e Tocqueville alla ricerca della formula aurea per limitare l' ipertrofia democraticista. Ecco di seguito una delle tante.

Sostituire il criterio di maggioranza semplice con uno di maggioranza qualificata (o unanimità) + eventuale sorteggio in caso di mancato accordo.

E' una delle proposte che Miglio avanza documentando i successi storici di questa soluzione: nelle democrazie greche, nella repubblica fiorentina prima di Savonarola...Nella repubblica veneta poi, il sorteggio delle cariche impedì la lottizzazione a capo della flotta. Guicciardini considerava il sorteggio come il modo "normale" di scelta all' interno di una Repubblica ben ordinata. Con l' avvento dei Parlamenti settecenteschi e la creazione di nuove oligarchie, di sorteggio non si parlerà più. I concetti di Popolo, di Mandato e di Volontà Generale, lo rimpiazzeranno.

Il sorteggio è considerato anti-elitario, ma questo è anche il suo limite. Senza contare che rimane il problema di individuare le alternative e di limitarne opportunamente il campo d' applicabilità.

Per una trattazione storicistica del sorteggio da affiancare alle pratiche negoziali vedi il libro di Bernard Manin, La democrazia dei moderni, Anabasi. Per una sua trattazione economicistica ai limiti del paradosso, vedi il libro di Antonio Martino, Semplicemente liberale, Liberilibri.
GM+AB, FS p.106

lunedì 10 marzo 2008

Libertari nei mondi virtuali

E' sorprendente quanto la gente sia disposta ad accettare disparità di condizioni anche pesanti quando i punti di partenza sono i medesimi. Un esperimento di massa in proposito è fornito dai "mondi virtuali" che proliferano su internet. Ne parla Castronova.

Negli USA la diseguaglianza cresce

Qualche argomento per dire di NO.

Hugo Chavez, l' amico dei poveri

Sì, certo...Hugo sta disastrando l' economia del suo Paese...però sta facendo del bene ai poveri...

SBAGLIATO!!!

Ricchi per sempre?

L' ultimo libro di Pierluigi Ciocca ha il merito di darci le proprorzioni della recente crisi di produttività che attanaglia l' Italia (nel 2000 la produttività congiunta dei fattori è diminuita). Le si possono sentire anche qui al minuto 17.15. Cio' è meritorio e ci sottrae dalle urla catastrofiste del politico di turno.

Inoltre, la meticolosa analisi della storia economica italiana dal 1796 ad oggi, mette in luce i 4 fattori che sono centrali per lo sviluppo economico del nostro paese (vedi link di cui sopra al minuto 18.45):

  • infrastrutture materiali;


  • infrastrutture giuridiche;


  • concorrenza e dinamismo d' impresa;


  • finanza pubblica in ordine.


Volgendosi alla parte più prettamente storica, si nota come lo sviluppo italiano è sempre stato determinato da grandi emergenze. Sembrerebbe quindi che da noi le strategie "starve the beast" siano destinate a funzionare. Si analizzano alcune fasi ben precise.

  • Il decennio post-unitario e la politica della Destra Storica.


  • Il decennio giolittiano.


  • La politica economica della Ricostruzione (Einaudi-De Gasperi).


  • Il superamento della crisi mirtifera del 1992 (Ciampi).


Salvo poi scoprire che, eccezion fatta per il periodo della Ricostruzione, non si puo' dire che gli altri periodi siano caratterizzati da virtuose politiche di sviluppo, semmai da un risanamento dei bilanci nazionali, quasi sempre orientato sul fronte delle entrate. Le grandi spinte allo sviluppo arrivarono acchiappando al volo occasioni che spesso provenivano da fuori. Due esempi: rivoluzioni tecnologiche nel campo dello sfruttamento energetico, Piano Marshall e inserimento nel circuito delle economie capitaliste.



Scarso da noi il contributo del capitalismo privato.

Piccolo è di nuovo bello

E non parlo dell' Italia ma degli USA. Dopo evidenze contradditorie ora sembra assodato: sono i piccoli a creare lavoro.

Placebo al quadrato

Che l' effetto placebo esista lo sanno anche i sassi, e qui potete trovare gli studi più aggiornati in merito. Ma che lo si possa rinforzare facendo pagare salato il falso medicinale, questa è una novità reperibile nel link indicato.

Filantropia for profit

Due casi di successo e altro materiale.

Fine dello Stato

Per dimostrare l' incompatibilità tra Federalismo e Secessione si ricorre spesso all' argomento per cui non siano mai esistite Costituzioni federali che prevedano, regolandoli, processi secessionistici.

A rigore questo non è vero. Le Costituzioni di URSS (art.77), Etopia e Birmania, prevedevano questa eventualità, per quanto fossero formulazioni astratte e di mera convenienza. La secessione dell' Irlanda nel 1921 non era prevista dalla Costituzione, ma lo stesso non puo' essere affermato tanto perentoriamente per la secessione della Slovacchia e per i referndum secessionisti del Quebec.

John Caldwell Calhoun volle basare la Secessione statunitense sulla Costituzione. Fu sconfitto nei suoi intenti grazie alla valorizzazione del concetto di Sovranità. La Sovranità Popolare è sempre unica.

Del resto fu il grande giurista tedesco Carl Schmitt ha individuare una derivazione diretta tra i concetti teologici e quelli politici relativi allo Stato: la Sovranità non puo' che essere unica e indivisibile poichè tale è la sovranità divina.

Accogliendo l' intuizione di Schmitt si sarebbe portati ad affermare, non tanto l' incompatibilità tra federalismo e secessione costituzionale, quanto quella tra secessione e statualità.

Il giorno in cui si riuscirà ad introdurre una regolazione dei processi secessionistici all' interno delle Costituzioni, potremmo dire che sarà arrivata la fine dello Stato. Da notare che la cosa prevede una relativamente semplice fattualità formale. Che l' istituzione statuale abbia un suo inizio e una sua fine è sempre stato negato da chi ricorre alla concettualistica teologica indicata da Schmitt.

Già in passato gli studiosi si divisero circa la possibiòità di prevedere clausole scissioniste nel patto costituzionale. Altusio era favorevole, Hobbes no. Locke e Grozio le ammettono in circostanze eccezionali come varianti del famoso "richiamo al cielo".
GM e AB: FS

sabato 8 marzo 2008

Centro-sinistra e miracolo economico

L' associazione recentemente proposta da Veltroni è fuorviante e consente a Salvatore Carrubba una messa a punto sul Sole del 7.3.2008 p. 12.

Il boom fu generato da governi centristi, le date non lasciano scampo. Carrubba considera produttività, stabilità monetaria, export, produzione, supermercati, auto.

Gli illustri da riverire sono, secondo lui: Marshall, De Gasperi, Einaudi, Menichella, Merzagora, Pella, Vanoni e il primo La Malfa.

Al contrario, fu il centro-sinistra, a creare le condizioni di quella crisi che pudicamente andò sotto il nome di "congiuntura".

Non solo, molte leggi di spesa che oggi non sappiamo più come arginare (es. pensioni a ripartizione), furono forgiate nella loro impostazione di fondo da quei governi. Che lo Statuto dei lavoratori, poi, non sia questa gran conquista, oggi è molto più evidente. L' energia elettrica divenne un ferreo monopolio da cui non ci si liberò più, l' interventismo e la spesa crebbero.

Ciononostante il centro-sinistra mise nel piatto intelligenze liberali di primordine: Mondo e Rossi in primo luogo. Ma furono poco influenti visto che subirono l' emarginazione da chi il capitalismo non lo voleva riformare ma rovesciare.

cartellina blu

Vite a buon mercato

Occhio per occhio, dente per dente. Oggi ci ripugna venire a contatto con quelle idee che stanno comunque alla base del nostro sistema giudiziario. Preferiamo ammantare il carattere compensativo della pena con altre sue più presentabili funzionalità. Eppure la matrice di una buona giustizia resta pur sempre quella. Dove lo scambio non funziona la vittima si sente tradita.

Un mondo dove ci si paga scambiandoso "pezzi di corpo" è un mondo che la lezione cristiana non tollera: un mondo incompatibile con il reale valore della vita umana.

Non la pensa così l' erudito giurista William Ian Miller. Nella sua appassionata ricognizione sulle "culture dell' onore", conclude che il loro mancato sviluppo dipendesse da un eccessivo valore dato alla vita e al corpo in genere. Una vita soppressa o diminuita, costava parecchio al colpevole, troppo. Cio' impediva la necessaria accumulazione di capitali. Tanto per fare un esempio: immaginate se ogni incidente mortale dovesse costare la vita all' imprudente. In queste condizioni il capitale era sempre precario e poco disponibile ad essere indirizzato verso impieghi produttivi di lungo periodo. Anche la separazione della società in caste (Signori, plebe...) è forse volta a porre un freno alla repentina mobilità sociale che da simile sistema di giustizia si scatena.

Oggi noi rinunciamo a tanta meticolosa compensazione giustificando razionalmente la nostra denuncia e dicendo che gli inconvenienti che mi colpiscono oggi a causa della tua improvvida azione, domani potrebbero vederci protagonisti a parti rovesciate.

WIM EFE p. 55

venerdì 7 marzo 2008

Le 4 inutili eresie di Vito Mancuso

Aderisco in pieno al modo in cui Vito Mancuso imposta il suo discorso teologico e al modo in cui concepisce la fede: l' esperienza di fede è intimamente legata a quella razionale; la leva della fede è tanto più potente quanto più si concentra in un punto ristretto facendo il più possibile largo alla ragione umana.

Detto cio' non riesco a seguirlo allorchè deriva le sue conseguenze eretiche da questo punto di partenza. Esistono, secondo me, discorsi compatibili con la premessa che evitano le magagne in cui il Mancuso si impegola.

Faccio l' esempio del seguente atto di fede: Dio con un atto di giustizia espelle Adamo ed Eva dal Paradiso marchiandoli con il Peccato Originale; dopodichè, con un atto d' amore, regala alla loro genia (l' Umanità tutta) il dono della libertà che comporta possibilità di salvezza.

Veniamo ora alle difficoltà su cui Mancuso chiede una revisione dell' ortodossia.

  1. Il problema del Peccato Originale. Perchè dovrebbe soffrirne anche la stirpe di Adamo? Le colpe dei padri, secondo giustizia, non dovrebbero ricadere sui figli!

    Comicio con il dire che il Peccato Originale segnala un limite sostanziale nella condizione di chi ne è affetto.

    Anche la Ragione ci parla continuamente dei limiti di cui soffre la condizione umana. Le due visioni convivono dunque in pace.

    Venendo alle questioni di giustizia. Si puo' tranquillamente evitare di pensare al Peccato Originale come all' eredità di una colpa. Consideriamolo come una conseguenza del comportamento di un nostro ascendente. Se perdo metà del mio patrimonio in borsa non potrò farne oggetto della mia eredità. Nessuno si sognerebbe di dire che i miei figli abbiano subito un' ingiustizia.


  2. Il problema del male. Perchè il male?

    Poichè Dio ha reso libero l' uomo, il male si presenta come opzione necessaria.


  3. Il problema del male innocente. Perchè deve soffrire anche chi, secondo la ragione, è senza colpa?

    La libertà donata all' uomo è di natura radicale. Anche l' onniscenza di Dio arretra di fronte ad essa. Ma un giudizio sull' uomo è necessario. Affinchè Dio possa giudicare l' uomo deve quindi metterlo alla prova, per farlo, a volte, è necessario metterlo di frinte a situazioni sconvenienti che implicano un male innocente. L' innocente ha la salvezza garantita, ma per salvare anche il libero è necessario che la sofferenza innocente esista prima di essere redenta.


  4. Il problema dell' eternità dell' inferno. Perchè una punizione infinità, cio' è contrario alla Ragione? Tutto cio' non comporta una diminutio dell' Amore divino?

    Se il peccato mortale è un danno reso a Dio, la ragione puo' tranquillamente considerarlo un danno dal valore infinito. La pena è dunque equa. L' inferno è eterno perchè Dio prende sul serio la Libertà dell' Uomo e lo sottopone a scelte radicali. L' Amore divino si esprime nel dono della libertà.

Concludo rapidamente: se le tracce fiutate qua sopra fossero percorribili, le revisioni che il teologo chiede sulla base di argomenti ragionevoli sarebbero in realtà inutili.

Altri acrostici che Mancuso tralascia, sembrano invece incalzare con maggiore veemenza l' approccio ragionevole alla fede: come coniugare il Perdono e la Giustizia?



P.S. evito persino di segnalare il best seller del teologo, se volete ascoltarlo in viva voce potete cliccare qui

giovedì 6 marzo 2008

Il Leviatano allarga il suo mascellone

E', in una battuta, la storia dei bilanci italici negli ultimi 15 anni, così come ce li raccontano i "rumoristi".

"...di ciò che è mangiabile - che è cresciuto molto poco - il settore pubblico si è andato prendendo, dal 1990 al 2006, una fetta sempre più grande: dal 14% al 24%. Il che spiega perché i redditi disponibili delle famiglie siano aumentati, in media, di quasi niente. Quando usciranno i dati per 2007 e 2008 la fetta del settore pubblico sul PIN risulterà essere ancor maggiore, azzardiamo il 25-26%.

...sgombriamo il campo da un ultimo dubbio: non è che son gli interessi sul debito che si mangiano il reddito disponibile del settore pubblico, mentre la spesa al netto dei medesimi è stata messa sotto controllo? Magari! Purtroppo è vero quasi tutto il contrario: guardate il primo grafico...

...riassumendo: l'(op)pressione fiscale è cresciuta, eccome. La spesa pubblica è cresciuta, eccome. Entrambe son cresciute più, molto di più, del reddito nazionale. Di conseguenza, lo stato controlla oggi quasi il 60% della torta. A chi lavora nel settore privato rimane solo il 40%. Le conclusioni tiratele voi, che a noi per una volta mancano le brutte parole..."

La fortuna di essere europei

Nel suo articolo più recente Sabino Cassese tira un sospiro di sollievo: fortunantamente è nato in Europa. Dalla lettura si ricava tutta una serie di indizi che segnalano quanto la civiltà giuridica europea sia all' avanguardia rispetto a quella poco più che barbara dei mai citati USA. Con l' autore si è parlato da poco in una puntata di Fahre.



Le parole di Cassese hanno anche un contenuto che merita considerare. Purtroppo perdono di autorevolezza nel momento in cui ostentano le categorie di "Europa" e "America".



Basta allungare l' occhio e sappiamo bene cosa ci dice la storia recente dell' Europa. Ci dice di una terra che nella prima metà del Novecento ha messo in piedi uno dei più terrificanti mattatoi mai visti. E nella seconda parte ha vissuto sotto tutela sfruttando opportunisticamente e a costo zero l' ombrello difensivo di chi, tra l' altro, come se non bastasse, l' aveva salvata già in precedenza. Da questa campana di vetro i suoi fini intellettuali hanno riversato una marea di critiche capziose e di distinguo sofistici sull' azione di chi era seriamente impegnato a fare i conti con la storia. I più recenti verdetti, crollo del muro ecc., hanno poi confermato come gli ideologhi in pantofole avessero torto rispetto ai cowboy. Da vent' anni ci divertiamo assistendo alle retromarce più grottesche e ai ricicli più impudenti.



Ora che si apre una nuova stagione, Cassese viene subito a spiegarci quanto il terrorismo islamico sia combattuto male dagli unici che lo combattono per tutti. Bene, su molte cose posso essere anche d' accordo in toto. Ma che per favore non tiri fuori, sobillato da Sinibaldi, le categorie di "Europa", "America" e "Barbarie", con quell' eredità a cui accennavo nel precedente paragrafo, finirebbe per screditarsi da sè.