lunedì 7 luglio 2008

Imprenditori in polvere

Perchè il numero di microimprese in Italia è tanto elevato? Perchè la nostra struttura produttiva si discosta tanto da quella di molti Paesi più avanzati di noi?

E' un aspetto preoccupante, molte riforme risultano impraticabili a causa dell' estrema dispersione degli imprenditori.

Non mancano però gli aspetti positivi: si diffonde meglio una salutare mentalità imprenditoriale (è il popolo delle partite IVA). Quella mentalità più matura che sostituisce il tiro alla fune ideologico delle "conquiste" con il bilancino dei pro e contro.

Ora però non vorrei occuparmi se "piccolo" sia più o meno bello, do la precedenza alle domande del primo capoverso e offro due ipotesi:



  1. La regolamentazione posta sul lavoro dipendente è repressiva; si cerca di aggirarla puntando a forme elusive di imprenditorialità e trziarizzazione; conquiste come lo Statuto dei Lavoratori, nonchè la sciagurata giurisprudenza che ha innescato, hanno semplicemente ucciso cio' che volevano tutelare estinguendo la figura del Lavoratore in favore di quella ambigua di Microimprenditore.



  2. Il nostro welfare è stato costruito anche mediante una tolleranza spinta dell' evasione fiscale, soprattutto al sud. Cio' ha consentito di mantenere in vita parecchie microimprese improduttive. Ma perchè un microimprenditore improduttivo non cessa la sua attività per andare "sotto padrone"? A parte la scarsità di domanda (vedi 1), è sempre meglio "comandare" che "essere comandati". Specie se uno è abituato così. La differenza che si spunta con l' evasione impedisce di cedere le leve del comando, anche quando la barca fa acqua. A proposito, la preferenza verso il comandare piuttosto che verso l' ubbidire, giustificherebbe i redditi talvolta inferiori che il micro-imprenditore spunta rispetto agli stipendi dei suoi dipendenti!

Forme di welfare: microcredito ed evasione fiscale

Questo articolo sembra fare il punto in maniera credibile sulla pratica del microcredito.

Per alcuni, per esempio gli assegnatari del Nobel a Yanus, l' idea appariva forse come epocale.

Anche per questo alcune conclusioni meritano di essere evidenziate.

Non ci si aspetti che il microcredito risolva o allievi in modo significativo il problema della povertà. In genere è una boccata d' ossigeno, ma poche persone escono dalla loro condizione grazie a queste pratiche.

Il microcredito è sempre esistito, lo si sappia. Coloro che prendono i soldi dalle banche del microcredito, li prendevano senza molte difficoltà anche ieri. Ogni villaggio ha infatti sempre avuto il suo "prestatore" che agiva al di fuori del circuito bancario. Solo che le banche di oggi chiedono tassi intorno al 50-100%, il "prestatore" era invece più esoso, nonchè scrupoloso nel riscuotere. E' un miglioramento, certo, non una soluzione rivoluzionaria.

Il microcredito generalmente non aiuta lo start-up di nuove aziende. I denari ottenuti così vengono consumati in seno alla famiglia o risparmiati con l' acquisto di una mucca o di una capra (non si creda che la mucca sia un investimento! E' un risparmio: nessun povero risparmia in contanti, verrebbero subito parenti ed amici a chiedere favori non rifiutabili; la mucca invece non puo' essere fatta a pezzi). Al massimo si investe in beni da usare promiscuamente sia nell' azienda che in famiglia (per esempio il cellulare).

Non si creda nemmeno che il microcredito sia esente dall' incorporazione in titoli collaterali. Visto che siamo nel mezzo di una crisi subprime, ovvero di titoli minati da mutui concessi ai meno abbienti, la cosa non puo' che preoccupare.

Conclusione: quasi sempre il microcredito si risolve in una specie di elemosina con un lato positivo: consente al povero di mantenere un' attività che lo impegna durante la giornata e, quindi, una propria dignità personale. E' un' assistenza anche psicologica. Dall' altro canto cancrenizza le cose come stanno mantenendo in vita una miriade di imprese non produttive.

In un certo senso il microcredito ha effetti simili all' evasione fiscale tollerata a lungo specie nel sud Italia. Mancando di un vero welfare, si sorvola sull'evasione diffusa dei piccoli: costoro possono stare a galla conducendo la loro aziendina senza costituire un problema sociale: sbarcano il lunario e sono alle prese con un' attività che li impegna fattivamente e dà loro qualche soddisfazione illusoria. I pregi e i difetti sono i medesimi del microcredito: si campa ma ci si immobilizza con una produttività deprimente.

La struttura polverizzata del nostro sistema produttivo forse è dovuta anche a questo: 1) evasione fiscale tollerata che consente al micro imprenditore di portare avanti la sua impresa improduttiva (in fondo è meglio comandare che essere comandati) 2 e regolamentazione del lavoro dipendente oppressiva.



http://www.wilsoncenter.org/index.cfm?fuseaction=wq.essay&essay_id=361250

Finalmente 2 film (3)

ci riprovo, vediamo un po' se questa volta ci sono riuscita.

Sennò scriverò il link per esteso....

ciao
d

Il declino della guerra

Now let's try a thought experiment. What if that same tribal rate were true for modern states? In this purely hypothetical situation, we would be seeing 165 thousand Canadian deaths every year from warfare alone, 2.5 million deaths in the European Union, and 6.6 million in China! Clearly nothing like this is happening.

Here is another way of thinking about it: Richard Rhodes once calculated that warfare of all kinds caused 100 million military and civilian deaths worldwide during the 20th century. But if the entire world had been suffering war-related deaths at the tribal rate then, as Keeley points out, there would have been two billion deaths due to war over the course of that war-torn century.

The dramatic decline in the risk of death due to warfare during the last two or so millennia demands for explanation. There are numerous theories, of course, but essentially all of them include the idea that the growth of states has acted to decrease the risk of death due to warfare — despite the well-documented propensity of states to engage in war, and the staggering growth in military firepower


http://tqe.quaker.org/2007/TQE159-EN-War.html

L' animalismo portatore di diseguaglianze

La cultura animalista soffre di un doppio blocco:

Da un lato non puo' affermare risolutamente che, in tema di diritti, le "differenze non contino". Infatti gli stessi animalisti, parlando di "diritti", rispettano molte differenze: un gorilla non è un topo, un topo non è una pulce, una pulce non è una pianta.

Dall' altro non possono nemmeno affermare che le "differenze contano", altrimenti sarebbe lecito introdurle anche tra gli uomini.

Il fatto è che il GAP vorrebbe dedurre i diritti etici di un soggetto dalle sue capacità. Questa procedura potrebbe sedurre qualcuno ma poi non manca di rivelare i suoi pericoli.

Non c' è dubbio che il gorilla abbia delle capacità, per esempio linguistiche, maggiori rispetto alla pulce. Ecco che allora, secondo il GAP, a lui spetterebbe una generosa manciata dei diritti.

Ma i diritti si conquistano davvero con le "capacità"?

Se fosse così bisognerebbe introdurre molte distinzioni anche tra gli uomini. Per esempio, in una democrazia, potremmo rendere ineleggibili le persone che a 18 anni abbiano l' IQ sotto una certa soglia.

Una conquista etica fondamentale, l' eguaglianza dei diritti, andrebbe così a farsi benedire.

Questi "pasticci" sono tipici di chi vorebbe dedurre dei "valori" da dei "fatti".

Certo, i fatti sono fondamentali per giudicare, ma i valori hanno un' origine differente. Derivano da un Principio.

Un uomo ha dei diritti in quanto "Uomo", non in quanto "essere capace di fare certe cose". Esiste qualcosa che chiamiamo "umanità", da lì dentro escono i nostri diritti.

Questa parola, "umanità", possiamo renderla con altre parole: "auto-coscienza", "imputabilità", "libertà", "responsabilità"...

Non sono i fatti a decidere se un essere è "responsabile", l' ultima parola spetta sempre a noi e alla nostra sensibilità nell' individuare un Principio.

Qualcuno dirà: "Ma come riconosco l' "Uomo"? Come riconosco il Principio?". Secondo me con la Ragione. Soccorre infatti la coerenza. Se l' uomo è "respnsabile" delle sue azioni e io tratto "quella" creatura "come se" fosse responsabile - per esempio processandola quando commette un omicidio o un furto - allora sono di fronte ad un Uomo.

Su questi temi è difficile trovare qualcosa in rete oltre a molta fuffa, specie sul fronte anti-animalista. Diversi filosofi si pronunciano sul tema ma c' è poco di "dedicato". Segnalo pertanto il blog di Waseley Smith. Magari si puo' iniziare da questo post.

Strade: meno regole, più cervelli

Le regole sono costose e, a volte, per la nostra sicurezza, è meglio levarle che metterle.

Ne sa qualcosa chi si occupa di frodi finanziarie, ora la questione è affrontata anche da chi si occupa della circolazione sulle nostre strade.

Per combattere il traffico e gli incidenti nelle grandi città europee (specie al nord), il nuovo trend sembra consistere nel bonificare le strade stesse dall' eccesso di segnaletica e di semafori.

Anche da noi le "rotonde" stanno soppiantando la regolamentazione più rigida.

Un ruolo sempre maggiore è affidato alle teste degli automobilisti e al loro buon senso.

Molti incidenti sono divuti alle distrazioni, se la concentrazione viene spesso sollecitata i rischi scendono. I pazzi, poi, non sono così frequenti e, oltretutto, un semaforo non è per loro una barriera invalicabile.

In piccolo e in laboratorio, anche qui spunta il solito adagio: solo la fiducia nell' uomo è portatrice di libertà.

sabato 5 luglio 2008

Finalmente due film (2)

(Volevo inserire questo commento nel thread sui film "Il Divo" e "Gomorra", ma non sapevo se avrei potuto linkare il video. Provo così.)

Ripensando al monologo finale di Andreotti nel "Divo", in cui parla dell'orrore e della 'necessità' del male, mi è tornato in mente questo.

ciao
d

venerdì 4 luglio 2008

Dear God (da vedere)

quel video era davvero stupendo. Sembra diretto da Michel Gondry, oggi.
d

(Non so se sono riuscita ad allegare il video, era una prova.
Lo scoprirò tra poco)

Dear God

Una lettera fimata Andy Partridge, XTC (1986)

Musiche sudate

La storia di Harry Partch sarà anche interessante abbellita com' è da così tante irregolarità, ma la mausica che ho potuto ascoltare su "HP collection volume 1" non è all' altezza.

Una musica bella da fortografare. Non basta. Gli strumenti da lui inventati hanno strane fogge che definisco liberty in assenza di meglio. Meno sorprendente all' ascolto.

Si sente comunque il profumo della giovane terra d' America. In più è pervasa dalla fierezza fintamente dimessa di certi lavori manuali.

Qualcuno laggiù, in quelle terre semi-vergini da sinfonie, ha pensato bene di modificare gli strumenti tradizionali "preparandoli", Partch se li è costruiti direttamente da zero con olio di gomito, martello, sega e goniometro.

Anche la sua musica sembra costruita con olio di gomito, martello e sega. La cosa più bella che esce da tanto lavorio sono i trucioli.

Mamma mia. Sorprendono sempre le mille forme che assume l' immaturità artistica, ci vorrebbe un Thomas Mann per cantarle: una musica lavorata da mille lime, annaffiata da sudori d' operaio, crivellata da instabili trapani briko, ci tocca poi bocciarla perchè, afflitta da schematismi, suona come "troppo pensata".

Mi consolo degustando il sapore ruspante dell' artigiano che ci dà dentro nel retrobottega, durante il tempo libero rubato alla banca, all' assicurazione e alle bollette che incalzano. Un tempo passato a declinare gentilmente l' invito al pub per un goccio con gli amici.

Un' arte coltivata nei week end subendo i rimbrotti della moglie... e intando il garage s' ingombra di quei misteriosi macchinari così diversi dal pianoforte della nonna (pensa lei)... e intanto anche stavolta dobbiamo rinunciare alla gita promessa... e tutto per quei suoni strampalati che non assomigliano per niente a quelli che escono dalla radio... ma cosa s' è messo in testa Harry... Harry, ne valeva la pena? Non potevi seguire i Padri e dedicarti ai parafulmini?... almeno quelli erano brevettabili.

E poi quelle titolazioni... roba tipo: "Let us contemplate undazed the endless reaches of my innocence - thaitian dance"... preferisco cento volte "Be my Baby"

Non capisco mai se vince l' uomo o la natura

Qualche idea per viaggiare nel week-end. E non dimenticate l' essenziale.

Divulgazione per "capire" o per "provare"?

Nella puntata del 18.6.2008 ascoltabile qui, l' arguto Pontiggia affronta la relazione che lega il linguaggio specialistico a quello di tutti i giorni.

In un primo tempo si diffida delle forme gergali per l' uso improprio che ne viene spesso fatto. Mascherato dietro la cortina del liguaggio specialistico, l' esperto coltiva i suoi interessi a danno dell' interlocutore profano che si puo' facilmente tagliare fuori. Questo è vero ma gli abusi sono all' ordine del giorno, bisognerebbe andare oltre.

Veniamo dunque alla parte interessante. Secondo Pontiggia lo specialista onesto sente l' esigenza di mettere alla prova le sue conclusioni tentando di trasporle in un messaggio semplice e comprensibile più o meno a tutti.

La divulgazione sarebbe dunque un esperimento volto a provare la bontà di scoperte relegate nel dominio degli esperti.

E' difficile prendere le distanze da Pontiggia, questa volta ci provo.

Personalmente ho sempre pensato che lo specialista "traduca" la sua teoria al fine di poterla "capire" meglio lui stesso, non per metterla alla prova.

La funzione del linguaggio specialistico è quella del rompighiaccio, con esso è più facile avanzare nella conoscenza. E' la nostra arma per progredire nella giusta direzione. Un' arma tagliente, efficace, rigorosa, fin troppo potente. Dopo che siamo tanto avanzati, infatti, è necessario fermarsi e orientarsi. Ecco allora che soccorre il linguaggio ordinario.

La validità di un pensiero è saldamente fondata, per esempio, sul linguaggio matematico. Interpretare quelle conclusioni trasponendole in un linguaggio piano non mette in pericolo la loro validità. Semplicemente ce le fa capire meglio.

Prendiamo la teoria quantistica. Nel momento in cui Einstein o Bohr tentano di interpretarla divulgandola, non la stanno "mettendo alla prova", la validità della teoria è già nelle loro mani. Molto più semplicemente cercano di capirla più a fondo integrandola con l' immagine più generale che abbiamo del mondo. E' un esercizio di comprensione che riguarda loro innanzitutto.

Se tutto questo è vero, si noti una funzione provvidenziale del "gergo": fa avanzare la nostra conoscenza anche in direzioni "scomode" per l' ideologia dello scopritore. Dovendo "scoprire" prima ancora di "capire", a costui non faranno velo i pregiudizi.

mercoledì 2 luglio 2008

Quando il razzismo conviene a tutti, che si fa?

Robert Fogel nel suo famoso Time on the Cross (1974) dimostrava che la qualità di vita di uno schiavo del sud prima della guerra civile americana era notevolmente più alta rispetto a quella di un operaio del nord.

Lo Schiavo viveva meglio rispetto all' Uomo Libero. Sia materialmente che psicologicamente.

Lo Schiavo, per esempio, lavorava molto meno, non rischiava mai il licenziamento e anche il trattamento disciplinare nei suoi confronti era più umano.

Non che Fogel fosse uno schiavista, dal punto di vista morale si opponeva strenuamente all' istituzione, ma, dati alla mano, non riusciva a negare il benessere prodotto un po' per tutti dalla schiavitù.

In precedenza, molti storici avevano visto il sistema schiavista come inefficiente. Ma Fogel negava anche questo: il sistema schiavista, per lui, era un' organizzazione efficiente e funzionante. Più efficiente rispetto all' agricoltura praticata da soggetti liberi.

Con conclusioni del genere non poteva pensare di passarla liscia. Certo, i suoi sistemi d' indagine storica, fondati sul metodo quantitativo, gli valsero il Nobel negli anni novanta, eppure non mancarono risposte altrettanto articolate che tentarono di invalidare almeno in parte il suo lavoro.

Da notare una cosa: Fogel rifiuta la Schiavitù ma non tace il benessere che è in grado di produrre per tutti (schiavi e padroni). Ci si chiede, in nome di che cosa "rifiutasse" la schiavitù?

Forse in nome di "valori non negoziabili"? Probabilmente sì, visto che se quei valori fossero negoziabili, se cioè contasse solo il benessere materiale, allora converrebbe negoziarli visto che, in base a questo parametro, l' opzione per la schiavitù sarebbe dovuta.

Il gioco uomo libero/uomo schiavo è molto complesso. Al punto che forse noi oggi siamo più schiavi di ieri ma anche più liberi visto il trattamento privilegiato e la protezione che ci riserva il "padrone".

Da notare un altro scherzo della storia: gli argomenti di Fogel sembrerebbero benvenuti per quelle mentalità nostalgiche del vecchio Sud. In realtà costoro abbracciarono la posizione antitetica: la schiavitù era un metodo di produzione inefficiente e si sarebbe esaurita da sola. Proseguono poi affermando che il Nord non capì questa elementare verità scatenando una guerra sanguinosa quanto stupida.

Quando ha senso "cercare" e non ha senso "trovare"

Secondo il filosofo Popper, dove inizia la cratività si arresta il linguaggio.

Chi parla di scienza puo' trascurare senza colpa i temi che riguardano l' origine delle idee. Si tratta di temi che implicano elementi irrazionali ("...ogni scoperta contiene un elemento irrazionale, o un'intuizione creativa...).

L' origine delle idee è un antro oscuro dove solo l' ingenuo e l' idiota tentano di penetrare.

Un' idea puo' sorprenderci in sogno e, parimenti, essere la pietra angolare di una favolosa teoria scientifica.

Anche Israel riprende questo canone commentando Boncinelli.

Chi si oppose al canone fu il Nobel Herbert Simon. Secondo lui anche le macchine erano in grado entro certi limiti di innovare.

Costruì dei software attraverso i quali fece "riscoprire" alle macchine parecchie leggi scientifiche in tutti i campi.

la posizione di Simon è senz' altro difendibile: tutti riconosciamo tra le doti fondamentali dello scacchista anche la creatività. Eppure ci sono macchine che giocano in maniera eccellente e vincono anche con i "grandi" campioni. Come potrebbero farlo in assenza di una dote tanto decisiva?

L' attività innovativa esalta la creatività. Eppure la stragrande maggioranza della ricerca innovativa si svolge oggi con equipe organizzate in modo ferreo. Da lì escono la maggior parte dei brevetti. E' forse insensato tutto questo?

Non attendiamoci che la diatriba Simon/Popper abbia mai una soluzione definitiva. Anzi, diffidiamo piuttosto di chi su questi temi prende posizioni risolute. Le macchine continueranno a sorprenderci ma saranno sempre gli uomini a programmarle.

Potremmo concludere con questo paradosso: pensare che esista l' algoritmo della creatività è insensato. Eppure non è insensato cercarlo.

Un dibattito di livello tra le "curve" Popper/Simon si è tenuto 5 o 6 anni fa sulle pagine della rivista Sistemi Intelligenti. Purtroppo sembra che non ne esista traccia in rete. Pazienza, non esiste più nemmeno la biblioteca dove mi ero fermato a leggerne e, tra article, replay, joint e rejoint, tutto si chiudeva, ovvio, senza vincitori nè vinti.

Nati per correre

Sì, lo so che devo sbrigarmi, che devo correre e poi ancora correre.

Ma se a dirmelo è Clara Belle con il suo ukulele, è tutta un' altra musica...

Test e Rolling Stones

Pur caldeggiando l' introduzione di test e classifiche nelle nostre scuole, sono consapevole dei limiti di questo strumento. La lettura di Koretz in questo senso è illuminante.

Il test high stake è una roba seria. E' una roba sulla base della quale si distribuiscono i finanziamenti e si scaglionano le carriere. Dobbiamo quindi essere consapevoli sia della loro necessità, sia dei loro limiti.

Ne sintetizzo una dozzina tanto per capirsi.

Innanzitutto un buon test è difficile e costoso da costruire. E quando bisogna tirare la cinghia anche questo conta. Si rischia di ripiegare su cio' che sembra un po' inferiore ma in realtà è del tutto inservibile. Anche perchè la soglia tra il top e la robaccia sta molto vicino al top.

Il test è un sondaggio e la costruzione di un campione corretto è tutt' altro che scontata, così come è difficile individuare delle proxy affidabili.

A volte tanto lavorio si rivela vano.

Se non fosse così non si capirebbe come mai, secondo il PISA, gli studenti USA sopravanzano quelli norvegesi, mentre secondo il TIMSS sia vero il contrario. I due test sono molto rigorosi, peccato vengano sempre presentati senza enfatizzare la grande e inevitabile deviazione standard. Si scoprirebbe che ordinare sulle competenze matematiche norvegesi e americani è insignificante. Soldi buttati?

Cio' non toglie che gli studenti giapponesi apprendano la matematica meglio di americani e norvegesi. Lo dicono i test, ma questa volta lo dicono in modo chiaro.

Oltretutto molte virtù dello studente sfuggono ai test.

Posso conoscere l' algebra ma non sapere quando applicare queste conoscenze. Il test difficilmente segnala lacune del genere.

Altro inconveniente: un prof. puo' eccellere come motivatore. Se la sua carriera dipendesse unicamente dai test rischierebbe grosso.

Il test incentiva i prof a fare meglio, lo dicono tutti. Vero, li incentiva anche a barare però.

A barare materialmente durante la prova, innanzitutto.

Andiamoci a rileggere il primo capitolo di Frekeconomics dove l' economista investigatore risale ai prof disonesti studiando la topologia random degli errori. E' uno spasso ma è anche istruttivo.

E teniamo conto di una cosa: il numero di insegnanti "bari" insediati nel distretto scolastico di Chicago è nella media nazionale, ma la qualità professionale di chi dà loro la caccia laggiù, eccede di gran lunga quella media.

Gli onesti barano invece fornendo preparazioni mirate, in molti casi è possibile. Cio' distorce l'esito poichè quel test è tarato per misurare a campione una preparazione più ampia.

Per giudicare un prof bisogna considerare i "miglioramenti" rispetto al test d' ingresso. L' esperienza degli hight stake spesso ci dice che i miglioramenti sono strepitosi. Purtroppo sono anche molto inaffidabili in quanto dovuti a preparazioni mirate.

Anche le condizioni in cui un test viene somministrato contano. I casi di incoerenza negli esiti si sprecano e per lo più sono dovuti proprio a questa variabile.

Neutralizzare questa variabile è estremamente costoso. Spesso si fa prima rinunciando al test.

Poi c' è l' uso improprio. L' esperienza concreta insegna che test costruiti con certe finalità vengono poi utilizzati per altre che al profano sembrano simili. Chi li maneggia vuole risparmiare senza rendersi conto delle distorsioni che cio' procura.

Le School Chart dei vari sistemi scolastici americani sono un caso che Koretz descrive nel dettaglio.

La preparazione di un allievo dipende dalla qualità della scuola. Ma dipende anche dal contesto che lo ospita (famiglia, amici...). Per classificare le scuole bisogna fare la tara. Compito improbo! Chiedere a chi stima il cosiddetto SES (social economic status). Koretz dedica un capitolo all' acrostico.

L' esito di un test deve essere reso con una scala adeguata. Spesso quando tutto è stato fatto bene, quando il percorso sembra netto, s' inciampa rovinosamente nell' ultimo ostacolo.

***


Oggi nella scuola e tra i prof vige un egalitarismo ingiusto. I test aumenteranno di molto le diseguaglianze e manterranno elementi di ingiustizia. Il gioco vale la candela? Per me sì, ma se giudico dalla cultura sindacalese che impregna l' istituzione che più soffre l' ombra lunga del sessantotto, mi vengono i brividi.

Per me sì soprattutto se i test non saranno l' unico indicatore per giudicare la scuola (ecco alcune variabili alternative: profitto universitario degli alunni di provenienza, indicatori oggettivi sulle strutture, esami diretti ai professori, acquisizioni charter delle scuole low school, autonomia e competizione attraverso i vouchers tra istituti in presenza di forti college premium, test tarati con il SES, retta libera per le scuole high score...).

Che atteggiamento assumere dunque nei confronti dei test? Personalmente mi adeguo al principio "Rolling Stones". In molti non troveranno nei test mai cio' che cercano e sognano, cio' non toglie che potrebbero trovare ugualmente cio' di cui hanno un dannato bisogno.

"... No, you can't always get what you want... but if you try sometime... you find
You get what you need..."


... così almeno ho la scusa per riascoltarmi il pezzo.


add: anche Israel dubita: http://gisrael.blogspot.com/2010/12/la-scuola-fa-schifo-e-se-fosse-ottima.html

martedì 1 luglio 2008

Part medita su Britten

Un po' mi ha sorpreso che Arvo Part dedicasse una suo lavoro a Benjamin Britten. I punti di contatto tra i due non sono molti.

Il primo sembra guardare tutto con commossa partecipazione ma da un osservatorio distante; da quelle lontanaze tira i suoi sospiri d' attesa, il moto dei corpi amati appare rallentato e uniforme. Il secondo si precipità negli eventi per procacciarsi un' acqua che spenga il fuoco dei desideri. Circondato dai fenomeni, combatte con loro, contro di loro e tra loro. E' contagiato dal loro calore, dal dinamismo e dalla varietà che mai si esaurisce nello sguardo.

La soluzione è stata stata semplice: si è trattato di osservare la musica di Britten da lontano.

E da lontano ci appare come giri vorticosamente su se stessa fino a che non giunge, la musica di Part è quasi sempre escatologica, il tempo di pacificarsi.



***



Ascoltare un bel disco quando sai già che è bello non appaga appieno l' animo del consumista segugio. Perchè temporeggiare in terre già conquistate? Eppure mi sento di incoraggiare al "riascolto". La bellezza non è mai "acquisita", non è mai "già vista". E' un fascio di luce cristallina che illumina sempre nuove cose ogni volta che lo si accende. Grazie miri per il prezioso prestito che mi hai concesso!



***



Altre volte avevo viaggiato nello spazio. Ma nell' astronave di Ligeti faceva troppo freddo. Nello scafandro di Bryars la visibilità era pessima.

Dieci mattoni per la costruzione del "bello"

Alcuni mattoncini per costruire un' estetica e sapere subito cio' che è bello e cio' che è brutto (magari).

  1. L' arte è uno strumento di conoscenza.


  2. L' arte è isomorfa (!?) con il mondo.


  3. L' arte è imparentata con la scienza.


  4. L' arte, diversamente dalla scienza, si occupa della totalità.


  5. L' arte, diversamente dalla scienza, valorizza la scaturigine del linguaggio (commento 5), anzichè la sofisticata manipolazione (la contemplazione prevale sull' analisi).


  6. L' arte, diversamente dalla scienza, ha un legame intuitivo con il mondo.


  7. L' arte evolve grazie all' originalità.


  8. L' arte reperisce i suoi significati di base nella tradizione.


  9. L' arte del mondo moderno è imperniata sulla divisione del lavoro.


  10. L' arte si giudica sulla base degli effetti che produce e non sulla base delle tecniche necessarie a produrla. Ovvero, per il giudizio estetico conta solo cio' che sta davanti al sipario.


  11. L' arte, come del resto la scienza, è sintetica.


No panic. Seguono generose delucidazioni.

La prop1 e la prop3, in fondo sono legate: sia arte che scienza sono strumenti conoscitivi. O no?

La prop4 addirittura sembrerebbe stabilire un primato dell' arte.

La prop5 è azzardata. Nega differenze qualitative tra arte e scienza. Oggi si puo' osare farlo poichè in molti considerano l' intuizione una variante "compressa" della ragione.

La prop2 mi serve per stabilire che l' arte ha sempre un contenuto "realista".

Questo realismo significa che i criteri di bellezza possono mutare in relazione alla nostra visione della realtà.

Per san Tommaso il "bello", implicava simmetria e armonia. Per noi non è più così, perchè? Io dico perchè è cambiata la nostra visione del mondo e l' arte non puo' che aderire a questo mutamento.

Secondo me l' "isomorfismo" fondamentale consiste nel rappresentare artisticamente il Soggetto, l' Oggetto, il Tutto (Dio?).

Parlando di questioni un po' fumose avrei voluto evitare parole strane. Ho fatto un' eccezione per "isomorfismo" perchè mi sembra decisiva.

Prop2 e prop5 sembrano contraddirsi. Come si legano "isomorfismo" e "intuizione". L' "intuizione" non ha forma.

Ne esco così: la scienza produce i suoi "isomorfismi" fornendo un traduttore analitico che consente di passare in modo rigoroso dalla sua stenografia alla realtà (la scala di una mappa, per esempio). Nell' arte il traduttore è intuitivo (informe).

L' isomorfismo ha altre conseguenze. Consente, per esempio, di esprimersi con metafore pertinenti su un pezzo musicale utilizzando un linguaggio psicologico, oppure teologico, oppure sociologico, oppure addirittura medico, oppure...

Non essendo pura forma isolata dal mondo, il linguaggio tecnico dell' arte non monopolizza il giudizio sull' opera.

la prop6 è un omaggio all' estetica romantica: il bello è originale. E' anche un omaggio al mio amore per le avanguardia.

Non che la cosa sia esente da problemi: molti grandi artisti perfezionano una tradizione. Di Bach alcuni hanno detto che era un "meraviglioso ritardatario". Ma Bach crea sempre problemi ai sistematizzatori.

La prop7 tempera la 6. Fare tabula rasa dimenticandosi che esiste una tradizione conduce alla deriva. certa musica colta accademica tra gli anni 50 e gli anni 70 paga questo scotto.

La prop8 è importante affinchè non si bocci l' opera incompleta. Molte sono tali ma meritano.

Parecchi artisti si "specializzano" su certi elementi trascurandone altri. Cio' non pregiudica il loro lavoro. Anzi, è naturale nella civiltà moderna, una società ricca dove il principio della divisione del lavoro si applica ovunque.

La prop8 salva molte forme d' arte popolare che vengono recuperate come "parziali" ma non per questo meno pregnanti.

La specializzazione consente di salvare molto musica del passato per le orecchie dell' ascoltatore spaventato dalla ricostruzione storica del contesto.

Pensiamo al solito Bach. Ascoltare Bach spesso è una grande esperienza. Ma, stando all' estetica proposta, manca di "completezza".

Esempio: in lui sento che manca la rappresentazione del soggetto, nelle sue armonie non reperisco la miseria del peccatore. Per fortuna c' è la prop8. Con la prop8 posso considerare il lavoro di Bach "focalizzato"; l' autore realizza con qualità sorprendenti la parte di lavoro che si ritaglia.

Penso anche a certa musica che ho già criticato sopra: lo sperimentalismo post-weberniano. Possiamo salvarlo considerandolo "focalizzato" sulla struttura molecolare dell' "oggetto". Una musica fortemente amputata ma non per questo meno "bella".

La prop10 mi serve per dire che "Pierino e il Lupo" oppure le musiche di Carl Stalling per i cartoni della Warner, non saranno mai capolavori assoluti: pedinano i fatti troppo da vicino senza un vero tentativo di sintesi. In queste opere l' imitazione della realtà eccede.

Avete notato il pallore di questi pensieri? E' dovuto al fatto che vengono concepiti sempre in ritardo. Il loro destino è quello di inseguire l' emozione estetica anzichè di precederla e guidarla come dovrebbe fare un vero pensiero. Pazienza, chi ha fiducia nelle idee non rinuncia, speriamo che serva a qualcosa.

Ora mi manca solo d' aggiungere che uno stimolo molto indiretto me l' ha fornito il tentetivo di Debenedetti di applicare l' estetica tomista a Joyce e Proust (cap. IV del suo libro).

ADD1: attenzione, la discussione prosegue qua, e anche qua.


ADD2: aggiornamento qua, qua e qua.

lunedì 30 giugno 2008

La scuola libera come antidoto al razzismo

Ottima rassegna di studi nell' ultimo numero di Economic Affairs sull' impatto dei vouchers scolastici. Parliamo del sistema USA.

La libertà di scegliere sembra migliori il profitto di chi sceglie. La concorrenza che procura si riflette in una migliorata qualità anche della scuola pubblica.

Fin qui nulla di nuovo.

Anche se dico che la concorrenza abbassa i costi per alunno, scommetto che nessuno fa una piega (nanca un plissè).

Ma se invece aggiungo che i buoni scolastici favoriscono l' integrazione razziale, come la prendete? Scommetto che non l' avevate mai sentita.

Non solo, gli studenti delle vouchers school sono più tolleranti di quelli delle scuole pubbliche e sono avanti in tutte le categorie relative alle "virtù civiche".

A questo punto il fazioso, prende e va a casa tutto soddisfatto. Lo scienziato sociale, invece, dovrebbe spremersi le meningi per trovare una mezza dozzina di spiegazioni possibili. Poi spremersele di nuovo per escogitare un test in grado di scegliere tra le candidate. Quanto è creativo il lavoro dello scienziato (e che mal di testa fa venire)! Non si va mai a casa.

Quando la meritocrazia non affronta il problema del merito

Il lettore "anonimo" di questo post sembra deluso dalle impressioni personali che riportavo sul libro di RA.

Forse si aspettava una recensione a tutto tondo ma un lavoro del genere non era certo nè nelle mie capacità, nè nelle mie intenzioni. Il piano era molto più circoscritto, cerco di circoscriverlo ulteriormente, spero non scompaia tutto nel nulla.

Un libro che si intitola "Meritocrazia" in genere parla di meritocrazia. E fin qui ci siamo. Ma, mi si conceda, non penso proprio di essermi fermato a questo punto.

Cos' è il "merito" e come puo' essere "misurato"?

Se davvero sei interessato alle due questioni di cui sopra, sgrani gli occhi quando sul bancone della libreria vedi un libro con quel titolo. E mentalmente pronunci le parole "ci siamo".

Ebbene no! Non ci siamo affatto, carissimo lettore. Il libro di RA non sembra molto interessato alle questioni di cui sopra, benchè appaiano fondamentali, benchè il libro sia di 400 pagine. Probabilmente RA sconta le risposte.

E' questa un' imfoprmazione così poco interessante. Io non penso. La trovo talmente interessante da doverla dare anche se forse non è vera al 100%.

Intanto, contro chi contesta che il merito sia qualcosa di soggettivo e non misurabile, noi restiamo disarmati e costretti a rivolgerci altrove (io mi sono rivolto qui con ben altri esiti).

Il lettore anonimo sembra molto interessato alle soluzioni pratiche che avevo tralasciato.

E mica posso parlare di tutto... vedo di rimediare.

Le soluzioni pratiche si sostanziano nella medesima soluzione di sempre: creare una commissione governativa (ma questa volta composta da tipi in gamba, mi raccomando) che introduca la meritocrazia nella nostra p.a. Il tutto condito con un po' di affirmative action e, naturalmente, con "riforme" per rendere più competitiva l' economia italica.

Come vedi, niente di interessante.

E' qui la festa

L' Italia non sembra unita come si deve. Ognuno va per la sua strada. Non si riesce nemmeno più a divertirsi quando festeggia. Non ci si riesce e finisce sempre a bicchierate in testa.

Altrove trovavo tutto cio' giustificato dalla Storia.

Anche la cronaca avanza le sue buone ragioni: per esempio queste.

Le magagne sono tornate fuori in occasione del 25 aprile. La cosa si ripete ma qualcuno, non volendo capire, fatica a farlo.

Si, lo so, c' è stata la guerra civile. Se è per questo ce ne sono state due (vedi link). Sì lo so, qualcuno ha perso e questo "qualcuno" erano i fascisti.

Ai "vincenti" piace essere accusati di un eccesso di zelo: il loro odio contro il nemico sarebbe ancora assurdamente in pista e fuori dalla storia. In parte puo' essere anche vero. Ma un' accusa del genere, poichè non regge, piace tanto sentirsela addosso, farla montare. E poi, con uno spillo, sgonfiarla.

E' il modo più consueto con cui il "festaiolo" si para le spalle.

Se le cose stessero davvero così, sarebbe facile per loro mostrare grande pietà ed apertura rendendo vana ogni discussione. E poi giù a puntualizzare l' ovvio: ovvero che una parte era nel giusto e l' altra no.

Dopo discussioni del genere sembra quasi che essere "antifascisti" equivalga ad essere contrari ai regimi fascisti. Io mi ritengo contrario ad ogni forma di fascistizzazione e sindacalizzazione della società, eppure non mi definirei mai "antifascista". Non ho le carte in regola. E come me molti che osteggiarono nei fatti il fascismo.

La categoria concettuale, è storia, fu introdotta per fornire usbergo alle forze comuniste e vestirle con un abito presentabile nel consorzio civile.

Poichè queste forze combatterono la loro resistenza con l' unico e chiaro intento di instaurare una dittatura, sembra abbastanza logico l' imbarazzo che ci accompagna quando ti tocca festeggiare stando gomito a gomito con chi viene da quella tradizione. A nulla vale se, dopo stretto consulto con il compagno Stalin, per motivi meramente strategici e opportunistici, si decise di procastinare la rivoluzione a tempo indeterminato. E a nulla vale che i compagni meritino una medaglia per aver combattuto il regime (alla stessa stregua, merito del fascio fu di aver combattuto i rossi riducendone la minaccia)! A poco vale opinare che la dittatura in gestazione sarebbe stata "diversa" rispetto alle altre 867 dittature nate nel mondo con i medesimi intenti e presupposti, poi tutte fallite tutte 867 disumanamente, in accordo con i detti presupposti...

Oppure le intenzioni con cui si combattè la Resistenza non contano?

Contano o no?

Bè, se le intenzioni hanno smesso di contare, con quale spirito robotico dovremmo intonare gl' inni di quella gloriosa battaglia?

Lasciamo allora perdere gli inquinamenti del 25 aprile, non c' è solvente che tenga; lasciamo al suo destino il 2 giugno, lasciamo ad una dolce ed armoniosa deriva l' Unità e tutti i Bandieroni in cui si avvolge. Mi sa che se veramente vogliamo brindare in concordia e fratellanza dobbiamo risalire ad epoche in cui le nostre città erano l' ombelico del mondo. Abbiamo la fortuna di averle nella nostra storia, perchè dimenticarsene?


P.S. avevo completamente dimenticato queste quattro righe buttate giù mesi fa nei pressi della ricorrenza. Ma poi qualcuno me le ha fatte tornare in mente.

sabato 28 giugno 2008

La Grande Madre Lombarda

Ci sono lettori che mentre leggono hanno sempre in bocca la propria saliva e non smettono mai di rimestarla e degustarla. Solo quel succo li appaga. L' unico cocktail che tollerano se lo procurano con la giunta del latte materno.

Se poi il loro fango è stato plasmato in Lombardia, vagano tra i volumi sempre sulle piste di una Madre Lombarda da mingere.

Ma non è facile trivellare la pagina alla ricerca dei pozzi di oro bianco. Occorrono sensibilissime bacchette da rabdomante.

L' orbato dai libri compie le sue indagini risalendo le correnti letterarie, tassellando i vari testi per l' assaggio. Difficilmente è possibile rintracciare i sapori secreti dalla grande Tetta Primaria, per quanto i grandi scrittori sappiano espellere mille succhi e coprire uno spettro infinito di sfumature.

Nemmeno pedinare la genitrice puo' essere di qualche utilità, visto che spesso s' impegna con zelo a ricoprire nei modi più vari proprio quei prodotti che lei considera deiezione e noi gerovital.

Per non smarrirmi tra i crepacci mi tengo ben attaccato alla corda della letteratura para-dialettale, gli odori mi sembrano quelli giusti. Ma se l'olfatto si accontenta di poco, il gusto è più esigente e proclama di continuo la sua insoddisfazione.

Passo in rassegna alcune ghiandole insoddisfacenti prima del gran finale.

La Tetta di Franco Loi, succhiata recentemente, ha emesso umori asperrimi, non ci siamo. La plumbea drammaticità di quell' esperienza sempre pronta all' autocoscienza, è ben lungi dall' umanissima vigliaccheria dei grambi più accoglienti. Lui stesso diffida e minaccia gli orfanelli che si avvicinano al suo rigo teso con l' intento di un omaggio ancestrale.

I Ghirigori di Arbasino esorcizzano la petrosità mondana.

Ma le mamme sgravate non dubitano mai un attimo di quella inestinguibile consistenza che l' "alchimista damerino" vorrebbe trasmutare. Il loro ex-feto è sempre lì a caricarle di adempimenti che annientano la riflessione, figuriamoci quella impreziosita da un ciuffo come il trompe l' oeille dialettico.

Altra dissonanza: le "Belle di Lodi" fanno avanti e indietro dalla riviera.

Ma nel "petroso mondo" la riviera è una california da conquistare in carovana sull' autosole con 1100 e 124 in un viaggio che tra radiatori raffreddati e carburatori tossicchianti, ha tutta l' aria di essere di sola andata. E intanto, tra i calori esalanti a pelo d' asfalto, compare l' Autogrill Pavesi di Modena, nostra Abilene.

Vano è poi l' impegno con cui Arbasino decora la pagina attingendo dalla tavolozza le tinte dorate del commentario sinuoso, del bel motto polisemico e della chiosa erudita. Sono smalti stranieri a chi conosce solo la polpa del corpore vivi e del pane & salame & caffè nero bollente di Abilene; per coloro i quali anche l' aria condizionata era un esotismo ("copriti che sei sudato").

Piero Chiara lo incontro sempre in latteria. Porge a me fiducioso un bel bicchierozzo dalla stabilità classica, opaco, sbreccato nei punti giusti e che trasuda promesse. Già la sniffata d' apertura raffredda i miei entusiasmi. La sorsata gli deprime, non si tratta di latte. E' solo un' acqua liquida.

E' un liquido però che frizza. La spina giocosa delle prime bollicine comincia a pungermi. Sono le bolle esilaranti del Lago Maggiore, vanno dritte nel cervello producendo stupefazioni da doping.

Sotto quell' effetto tutto il repertorio delle immaginazioni da bar/latteria prende corpo e comincia a sfilare una dissacrante processione.

Ed ecco che dal fumoso biliardo, le bolle ti traslano nell' afosa alcova della Bella di Paese. E' l' attacco di una sequela paganeggiante di vicende ben incastrate tra loro. Di solito sono mille e si tengono di notte. Si tratta spesso di Quella Cosa in Lombardia (qui nella versione cantata di Fortini). Di solito hanno ambientazione paesana e sono costellate di corna, tradimenti e dolci trasgressioni da perdonare all' istante; non per carità verso il peccatore ma per meglio offendere l' architrave ipocrita della società normalizzata.

Ma l' antenata, quell' architrave aveva l' aria di lucidarla in continuazione con la cera grey e fino all' epicondilite. Camuffare con imperizia certe timide trasgressioni - in modo che le si scoprisse sempre abbinate al giudizio ufficiale - sembrava uno dei suoi compiti primari.

Niente Chiara quindi. Niente bollicine, qui si cerca una bevanda da masticare, mica l' acqua della Sponda magra, imparentata più ai gas che ai liquidi.

Il fatto è che Chiara cade dalla torre portandosi dietro la popolosa cordata dei paganeggianti che va da Gianni Brera (scrittore all' impiedi) fino giù giù al Dottor Andrea Vitali (scrittore in panchina).

C' è del rumore laggiù in Sangiano. Non sono i fuochi di Laveno, sono gli schiamazzi del magnifico buffone. Ha fatto bene Dario Fo a predersi il suo Nobel e a portarselo a casa incurante delle critiche. Ha fatto bene perchè la sua casa è anche la mia e con un mobilio del genere ci guadagnamo tutti. Hai fatto bene Dario!... mi piaci anche solo per il fatto di aver "pendolato" sui miei stessi treni - e fa niente se nel salone di Stoccolma non hanno cosparso la segatura privandoti di quella capriola senza la quale la tua presenza è mutilata e non più radiante.

Forse la scomposta ganascia di Fo nella pagina soffre, è in cattività e non libera la sua sincope. Ascoltarla invece all' aperto, condita con la ritmica delle sputacchiate fertilizzanti, colorata dai sovracuti dello stupore villico, illustrata con la gestualità epilettica dell' analfabeta che la paga cara se non si spiega alla svelta - è la cosa più naturale.

Ma l' escadescenza lacustre di Fo non contagia mai del tutto la Santa Madre terraiola che ne ride nascondendo meccanicamente la bocca quasi avesse dentatura equina. Quel dispendio concitato di energie preoccupa. Quelle sintassi frantumate in modo osceno che svelano una condizione... messe in piazza così poi. Ma dài! Quasi fossero merde su cui ben presto si affolleranno i giudizi come mosche stercorarie. Non va bene per chi vuole il figlio "dutur...", che "vada avanti...".

Il Fo fa troppo chiasso per le Mamme Ladre che tutti i giorni devono rubare un po' di vita per portarla nel nido come un vermicello.

Dal chiasso puerile al chiasso straziato. Il Tempestoso Testori, per quanto ricrei l' ambiente giusto (Il Fabbricone, Novate, la Ghisolfa, il Calzaturificio...), ama agitarlo fino alla convulsione, manco fosse la boccia con la neve del Duomo. E questo non va bene per chi ama i piedi per terra e soffre i capogiri.

Io per me, figurarsi, m' immergo volentieri nella sua vasca, mi sottopongo con finta ritrosia all' idro-bombardamento della sua pagina offensiva. La sua è la vera lingua madre, ricca della verace ferialità di provincia, ubertosa al punto giusto per allevare il tuttifrutti.

Purtroppo la moltitudine di mulinelli spasmodici, che anzichè covare negli abissi si presentano in bella vista a pelo d' acqua, mi convincono che l' omaggio a questo grande sia da tributarsi per motivi differenti a quelli ricercati, la stilla originaria del latte materno non sta nemmeno lì.

L' apoteosi di Testori è l' urlo dilaniato e formidabile; per lui è urlata anche la gloria divina: sia che il Dio si presenti nei cessi della Centrale di Milano, sia che appaia alla giovane operaia del calzaturificio posseduta da spasmi di egoismo amoroso, sia che, in Basilica San Vittore a Varese, sormonti i vortici con cui l' amato Cerano movimenta la sua pittura deforme e a sua volta urlante.



D' altronde il culmine del film più testoriano, Rocco e i suoi Fratelli, è l' idiotismo urlato con la genialità concessa solo al dialetto (ma qui siamo nell' enclave milanese di Potenza). Il fratello cattivo Salvatori, sotto il Ponte della Ghisolfa e sguainato il coltello, lo scaglia badando bene che impatti contro l' unica persona della cui comprensione è sicuro, il fratello buono Delon: "... cercami perdono!...".

Solo il dialetto rende al meglio l' atto d' accusa che il carnefice cosciente della sua colpevolezza, rivolge alla candida vittima. Il capo d' imputazione che il peccatore già pentito addossa con furia al dio contro cui ha appena mancato, tanto per scendere ancora un gradino verso l' abisso e farla finita.

E poi Testori ha la bestemmia facile. Elemento altamente disturbante per chi da mezzo secolo pur mantenendo soglie di attenzione bassissime, non ha mai mancato una Santa Messa. Preciso: sto parlando di quella santissima deconcentrazione che evita l' udienza della parola ponderandola fino alla macerazione interiore, fino a fare di essa un vero prodromo ai comportamenti più bizzarri e antisociali. Quella Santa Deconcentrazione che forse i Controriformatori avevano in mente puntando tutto sulla sfuggente oralità non verbalizzata, anzichè sull' inamovibile e paralizzante sigillo del geroglifico scolpito.

Il Gadda poi, quanto a latte, è una vera vacca. La Tetta di Gadda secerne un prodotto scevro da ogni pastorizzazione.

Si diventa grassi a popparne troppo, e nell' albo forografico a noi ci conti le costole. La pinguedine dello stile è grave lacuna per chi gira le pagine con un paio di braccia accorciate dalla guerra. Gravissimo e impraticabile scialo per chi è in fila nel formicaio lafontainiano con nello zaino la sua ambizione borghese.

Eppure nessuno come Gadda ha narrato lo struggente sentimento dei gretti così sapientemente; modulato e miscelato dal macchinario sublime dei dolci egoismi settentrionali. Macchinario provvidenziale attraverso cui l' Ingegnere drenava tutta la feccia umida e melliflua.

Anatomizzando poi il dispiacere della Madre del Figlio Cattivo, Gadda è arrivato al cuore di tutti i discorsi, in primis al cuore del discorso materno, ha afferrato ben saldo il Dolore e la sua Cognizione. E' confortante un simile successo sul fronte dei contenuti. Quando si ha in mano un bolide da Xmila cavalli e le strade sono tutte intasate, la cosa più facile è che lo si faccia romare a vuoto.

Ma nell' industrioso formicaio le priorità sono ben altre: non servono cognizioni ad ampio raggio, come nella chorus line basta seguire e sincronizzarsi con le mosse e le posture dei vicini. Sciegliersi bene il cappuccio della falsa coscienza più adatta puo' essere decisivo mentre il Dolore è solo uno sbrego da cicatrizzare al più presto.

Varco il secolo e mi tolgo la berretta perchè sono sotto la statua del Manzoni. Una statua che incute... non so cosa ma incute. Incute troppo.

Sarà certo rigore giansenista, adatto all' isolamento cogitabondo nella levigata urbe meneghina, meno tra la nebbiolina che esala dalla rustica fatica campestre obnubilando anche i cervelli più promettenti.

Il suo mondo fatto di grandi conversioni corrucciate, non coincide con quello di chi s' identifica con la propria placenta, con quello di chi si sprofonda ogni giorno di più nel posto dove è nato dentro e crede ad altre province abitate come crede ai marziani.

La sacralità marmorea dei sui Inni prende le distanze dalle litanie berciate di chi in Processione arriva con la boffa e i scarp del tennis alla sommità del Sacro Monte votivo pregustando gazzosa & salamino.

Le santità sacrificale della celletta cristoforiana, non comunica con la religione vissuta in piazza come pretesto, buon senso e consolazione, in attesa che il miracolo della Misericordia la trasformi in Fede autentica e gloriosa.

L' alto e peripatetico ragionamento dipanato con il Rosmini in Villa nella quiete arborea e lacustre di Stresa, non si coniuga con l' iterata passeggiata al camposanto con cui la Vedova di lungo corso si stordisce e su cui impernia la settimana facendone una ventennale cadenza in attesa del grande Re-incontro coniugale - pensato in realtà solo con il lobo più periferico a disposizione.

I freddi ricami della Provvidenza potrebbero non conciliarsi con il formicolio febbrile della Sagra caciarona dove Lei trascina ovunque il braccino di un Figlio frignante alla ricerca dell' Altro disgraziato che chissà dov' è finito. E intanto le frittelle si raffreddano.

Il Pessimismo (filosofico, non benevolo) sull' uomo è un freno a mano lussuoso che non puo' permettersi chi sospinge tutti i giorni il suo fardello di dipendenze e interrelazioni portandosi sempre appresso il bilancino della diplomazia tarato sulla difensiva.

L' aculeo con cui il Porta fa sentire la sua puntura è qualcosa a cui il bonaccione pragmatico non resta indifferente, sebbene alla lunga lui preferisca l' ago del materassaio.

Con il Porta il Bonaccione Pragmatico entra nei palazzi dei Siori ma passa metà del tempo allo zerbino strofinando lo scarpone e l' irriverenza del poeta, mentre all' inizio lo diverte, poi lo inquieta e alla fine lo disturba. Non è a suo agio, si vede. Molto meglio starsene all' ingresso con il cappello sul petto a ricevere i sorrisi dei Fortunati e la curiosita dei pargoli (tutti biondi e che giughen dumàa in càa).

Quando poi il Porta produce il suo slancio romantico, il BP torna a casa sua che son pronte le verze, lasciando che l' ispirato si "slanci" da sè. All' umile non piace udir cantata con il trillo la propria umiltà. Lui, che passa la vita a sentirsi "un po' di più" di quello che è, non lega molto con chi trova tanto poetico figurarselo come "un po' di meno" per meglio compatirlo.

Il raffinato Parini poi, nei palazzi ci abita. Impugna uno squisito fioretto con cui vince tutti i duelli. Ma sono conti nati e regolati al di là della barricata. Ci si compiace per le stoccate che assesta ma non ci si immischia. Un bel calcione alla Vergin Cuccia puo' essere un lenitivo ma nella lista delle priorità materne bisogna scendere parecchio per rintracciarlo. Difficilmente le spallate del reverendo abbasseranno mai un qualsiasi ponte levatoio.

Se nel 900 al ricerca è stata infruttuosa, le cose migliorano solo di poco con l' ottocento e il sette. Niente paura, c' è ancora il sei. E' proprio lì che ho munto il Latte migliore. Spero settimana prossima di poterne parlare.

Il piccolo tornado Aimee Mann

(prova invio mp3...)

L'ultima di Aimee da

ascoltare e da leggere.

ciao
d

Redistribuire i voti scolastici

Il matematico Pietro Poggio Corradini si coordina e mette a punto un buon colpo.

Propone di REDISTRIBUIRE i voti degli studenti. E lo fa con tanto di algoritmo.

La logica e la morale che stanno sotto questa trovata non è poi così lontana dalle logiche e dalle morali che applichiamo spesso altrove. E perchè allora non a scuola?

Se proprio vogliamo fare dei voti una moneta, preferisco i budget con cui Landsburg fronteggia la piaga della "manica larga".

Certo che queste università americane ne devono ancora mangiare di pastasciutta per arrivare al "flat grade", ovvero al nostro 18 politico.

venerdì 27 giugno 2008

Qualche argomento a favore della carbon tax

Il confronto con Davide sui modi per fronteggiare la crisi energetica e ambientale mi sta trasformando in un tiepido sostenitore della carbon tax.

In effetti i problemi legati all' inquinamento mettono sovente in crisi il liberale, di solito tanto orgoglioso delle sue soluzioni efficienti.

Parlando di esternalità pensa subito a cartolarizzare i diritti (d' inquinamento) e a renderli negoziabili.

Ma se la cartolarizzazione viene fatta da un monopolista si rischia l' inefficienza.

Una tassa (carbon tax) potrebbe procurare meno guai.

A scegliere "soglie" o "aliquote" sarebbe un soggetto pubblico, e cio' fa tremare le vene ai polsi. Eppure sbagliare un' aliquota è senza dubbio meno grave che sbagliare una soglia.

Nel primo caso certe attività efficienti avrebbero ancora una possibilità di essere implementate, nel secondo no poichè si fa ricorso a proibizioni assolute.

La rivalità tra "carbon tax" e "cap & trade" puo' evocare il confronto tra Pigou e Coase. Viene naturale schierarsi con il secondo, ma il parallelo è inmproprio.

La compravendita dei diritti ipotizzata da Coase per risolvere il problema delle esternalità non coincide con la soluzione cap & trade, sebbene anche in quel caso ci sia una compravendita di "diritti ad inquinare".

Coase aveva in mente una contrattazione del diritto tra l' inquinatore e l' inquinato. Premettendo che il soggetto pubblico rimpiazza l' inquinato, questa contrattazione si realizza sia con la soluzione CT che con la soluzione C&T. solo che la prima è più sofisticata.

Come si puo' avvicinarsi ad una soluzione coasiana partendo da CT?

Certo che se i diritti risarcitori fossero negoziabili tutto sarebbe più semplice. Ma gli "inquinati" sono dispersi e in condioni disomogenee che favoriscono gli opportunisti. Bisogna dunque affidarsi al soggetto pubblico.

Innanzitutto si dovrebbe trasformare la carbon tax in una tassa di scopo rigorosa. Magari anche con un diritto di risarcimento ai soggetti "inquinati".

In secondo luogo si potrebbe relazionare l' aliquota della carbon tax al volume complessivo delle emissioni rendendola una tassa progressiva.

La carbon tax puo' convivere con un mercato delle emissioni: ad emissioni incrementali si applicherà un' aliquota marginale (elevata), ad emissioni coperte da diritti acquistati presso altri produttori si applicherà invece un' aliquota media.

Certo, un esito non molto differente potrebbe essere ottenuto in C&T rinegoziando continuamente le soglie.

Ma anche la struttura della carbon tax puo' essere rinegoziata. Poichè CT è più sofisticata, l' urgenza di rinegoziazioni continue viene meno. Questo è un bel guadagno in termini di costi transattivi.


add1: elasticità garantita anche sul mercato energetico.

Petroli non negoziabili

Forse tutto è mercato.

E per "mercato" intendo ora un luogo in cui conviene sempre sostituire alle proibizioni dei prezzi.

Certo che, se gli incentivi funzionassero sempre nell' indirizzare il comportamento umano, allora il mercato sarebbe una soluzione razionale.

Ma a volte gli incentivi fallano: le carote succulente vengono schifate e le bastonate sembrano non carezze. Siamo in presenza di "domande rigide".

Esempio: un ghiacciolo alle 5, in questo periodo, sta diventando per me una domanda parecchio rigida. Lo voglio costi quel che costi. Ovvero, sono indifferente al prezzo.

Altro esempio: se domando vendetta "ad ogni costo", non ci sarà pena deterrente che "funzioni".

Ma io e Davide l' altra sera, degustando l' ananasso "sbranato" da un aggeggio infernale, con la nostra discussione eravamo sbarcati su altri lidi, eppure la logica in cui eravamo immersi era simile. Ci interessava il prezzo del petrolio in ascesa e le sue ipertrofiche conseguenze. Sia quelle legate al tenore di vita che quelle ecologiche.

Per noi amanti del mercato e dell' ambiente, un prezzo alto della benzina non è solo un fattore impoverente: incentiva anche la nascita di soluzioni energetiche alternative e magari più pulite. Questo è un bene.

Davide, se ho capito bene, non era molto d' accordo. In effetti lui ipotizzava una "domanda rigida" per i derivati petroliferi. Domanda rigida, ovvero insensibile agli incentivi. In questi casi il potere dei prezzi sarebbe nullo.

Passando nel salone il discorso si è allargato ulteriormente ai prblemi dell' inquinamento atropogenico e Davide, coerentemente con il suo assunto, si opponeva ad una Carbon Tax. Neanche soluzioni "Cap and Trade" possono essere da lui prese in considerazione.

Nelle sue mani non restano che le due soluzioni all' estremo dello spettro: lasciare tutto deregolato o adottare strategie "command and control" (proibizioni secche sul tipo delle "domeniche a piedi").

In proposito ecco un buon dibattito dove le quattro posizioni vengono rappresentate.

Mi sia consentito di non cedere però sull' assunto della "domanda indifferente ai prezzi" nel settore petrolifero.

In effetti, di fronte a prezzi crescenti, sembra che il consumatore risponda. Ed ecco un' altra storia istruttiva.

La piccola discussione è proseguita focalizzandosi sulle possibili cause di una simile impennata. Probabilmente molti fattori sono in azione ma io, contrariamente al Davide, non do molto peso alle "speculazioni".

Scegliendo come proxy dell' attività speculativa i tassi sui future, è interessante osservare l' andamento dei prezzi in un periodo in cui gli speculatori erano al lavoro quanto oggi. Ebbene, il prezzo allora scendeva.

giovedì 26 giugno 2008

Se a 7 anni è già tardi

Certo che le ormai stagionate provocazioni di The Bell Curve continuano ad irradiare conseguenze a decenni di distanza.

I provvidenziali provocatori ci fanno notare come l' IQ misurato a 15 anni è l' arma migliore che abbiamo nelle mani per predire il successo materiale socio-economico di una persona nel corso della sua vita.

Quello che accadrà dopo non è statisticamente molto rilevante. Su quello che è accaduto prima ne sappiamo ben poco.

Murray è percepito come un cattivone, molti sospettano che voglia andare a parare sulla genetica.

Poichè Murray è un libertario il passaggio che pregusta forse è questo: quanto più la genetica "conta", tanto più inutili sono le politiche di "pari opportunità".

Molti "glielo hanno fatto dire", ma in realtà nel libro ci sono solo dei puntini di sospensione.

Per intanto sappiamo quanto poco servano politiche di pari opportunità implementate tardivamente. E su questo anche i liberal cominciano a convenire.

La premessa rilevante è che, persino in italia, la sinistra sembra oggi disposta ad accettare una nozione di eguaglianza incentrata sulla parità di partenza anzichè sulla parificazione a posteriori. Deve quindi ora fare i conti con Murray, non puo' più eluderlo.

La posizione di James Heckman sembra la più cristallina in merito: parificare l' ambiente partendo dalla scuola dell' obbligo puo' essere tardi. Figuriamoci dopo: le politiche di pari opportunità incentrate sull' adulto sono una perdita secca, così come quelle implementate nei college e nei licei.

Il momento in cui si decidono gran parte delle sorti è la prima infanzia e la risorsa scarsa è la qualità delle relazioni familiari. Lì bisogna investire per una vera politica contro le diseguaglianze.

I gap cognitivi ed emotivi che si registrano a 18 anni, compaiono già a cinque.

Devo dire che anche le conclusioni di JH lasciano un pochino con il brivido. Anche se l' autore mette le mani avanti dicendo che tutto deve svolgersi rispettando la "family sanctity", l' incentvo al "sequestro" dell' infanzia e all' allevamento in batterie permane.

Sarà questo il vicolo cieco delle "pari opportunità"? Anche senza arrivare alla genetica il malefico Murray avrebbe colpito.

P.S. del resto le interazioni ambiente/geni sembrano esistere e magari i "pari opportunisti" vedrebbero con favore lo sviluppo di un gene che immunizza dall' ambiente (fantascienza? No). Magari da regolare in modo che si ampli l' influenza dell' ambiente e si possa tornare spensierati a politiche sui trantenni riferendole alle "pari opportunità".

A letto con il nemico: Krugman e Reynolds

Un paio di articoli sui prezzi petroliferi. Economisti di opposte tendenze sembrano d' accordo nel ridimensionare il ruolo degli speculatori.

mercoledì 25 giugno 2008

L' Inno dell' Evasore

Una bella canzone da ascoltare e riascoltare.


Ninna nanna del contabbandiere

Ninna nanna, dorma fiöö...
el tò pà el g'ha un sàcch in spala
e'l rampèga in sö la nòcc...
Prega la loena de mea fàll ciapà
prega la stèla de vardà in duvè che'l va
prega el sentée de purtàmel a ca'...

Ninna nanna, ninna oh.....

Ninna nanna, dorma fiöö...
el tò pà el g'ha un sàcch in spàla
che l'è piee de tanti ròpp:
el g'ha deent el sö curàgg
el g'ha deent la sua pagüra
e i pàroll che'll po' mea dì....

Ninna nanna, ninna oh....

Ninna nanna, dorma fiöö...
che te sògnet un sàcch in spàla
per rampegà de dree al tò pà...
sö questa vita che vìvum de sfroos
sö questa vita che sògnum de sfroos
in questa nòcch che prégum de sfroos

Prega el Signuur a bassa vuus...
cun la sua bricòla a furma de cruus....
***



Ninna Nanna, dormi Figlio...
Che il tuo Papà ha un sacco in spalla
e si arrampica sulla notte...
prega la luna che non lo faccia prendere
prega la stella di illuminargli la strada
prega il sentiero di riprtarmelo a casa...

Ninna Nanna, dormi Figliolo...
Che il tuo Papà ha un sacco in spalla
che è pieno di tante cose:
c' ha dentro il suo coraggio
c' ha dentro la sua paura
e tutte le parole che non puo' dire

Ninna Nanna, dormi Figliolo...
Che sogni un sacco in spalla
per arrampicare dietro al tuo Papà...
in questa vita che viviamo sottobanco (di frodo)
in questa vita in cui sognamo sottobanco (di frodo)
in questa notte che preghiamo sottobanco (di frodo)

Prega il Signore a bassa voce...
con la sua bricolla a forma di croce


***


La bricolla è il sacco dove i contrabbandieri (spalloni) mettevano la merce trasportata sui sentieri di montagna che attraversano i confini.

L' importanza delle regole. Italia in cattedra, USA al banco

Molti, guardando scoraggiati il capitalismo italiano e alle regole che lo disciplinano, indicano sospirando l' inesorabile puntualità con cui colpisce il controllore americano.

Le retate di manager, poi, mandano in sollucchero l' animo giustizialista di chi vede nella mannaia la soluzione definitiva.

Quando poi si spiano i pensieri provenienti da oltre oceano (perchè le beghe le hanno anche loro e non poche), di cosa ci accorgiamo? Qual è la soluzione invocata nel paese che ha già risolto tutto?

"Il modello italiano". Un modello di governance della finanza basato sui principi anzichè sulle regole.

Lacci e lacciuoli? Sì, in america però. Lì la proliferazione delle regole è responsabile dell' impennata di formalità e frodi.

Del resto le dritte del grande truffatore finanziario John Law parlano chiaro: per fare veri colpacci occorre un sistema pieno di regole.

E' ovvio, passi inosservato, tutti sono impegnati a compilare il loro modulino. Passi inosservato specialmente se tu sei il campione dei "modulini".

Il John Law dei nostri giorni avrebbe vita facile negli USA ma non in Italia. Qui vigono i "principi", non le regole, qui s' inquadra una sostanze è c' è un monarca (l' authority) che di volta in volta dà specificazione alla sostanza. Qui non ci freghi con i modulini.

E' il mondo alla rovescia quello presentato dal New Yorker. Nella governance finanziaria italiana la normativa si produce con le consuetudini specificate dall' authority sempre attenta ai fatti e refrattaria all' illusionismo formalistico su cui John Law e molti suoi simili puntavano tutto.

Anche così si spiega la tenuta eccellente delle dighe che hanno preservato il Bel Paese dall' inondazione dei Sub-prime

D' accordo, la finanza è affare internazionale e non c' è diga che tenga. Ma per intanto gonfiamo il petto e gustiamoci il brivido di salire in cattedra.

E' il mondo alla rovescia, il mondo anglosassone viene a lezione di common law nel bacino mediterraneo!

Nelle parole di Surowieki:

"... bank regulators in Italy, following a principles-based strategy, succeeded in keeping big Italian banks from heavily investing in subprime derivatives, even though such investments wouldn’t have broken any laws..."

Capire la differenza tra "regole" e "principi" è facile. Basta pensare al calcio e al football americano.

"... It’s something like the difference between football and soccer. Football, like most American sports, is heavily rule-bound. There’s an elaborate rulebook that sharply limits what players can and can’t do (down to where they have to stand on the field), and its dictates are followed with great care. Soccer is a more principles-based game. There are fewer rules, and the referee is given far more authority than officials in most American sports to interpret them and to shape game play and outcomes. For instance, a soccer referee keeps the game time, and at game’s end has the discretion to add as many or as few minutes of extra time as he deems necessary. There’s also less obsession with precision—players making a free kick or throw-in don’t have to pinpoint exactly where it should be taken from. As long as it’s in the general vicinity of the right spot, it’s O.K...."

"... It can make life easier for honest corporations, since they have to spend less time complying with overly complex rules, and also thwart dishonest ones, since regulators can spend more time looking at the substance, rather than the minutiae, of corporate bad behavior. It has been argued that Enron might have found it harder to get away with its shenanigans under a principles-based system, since many of the company’s gambits, while following U.S. accounting rules, nonetheless violated fundamentals of financial reporting..."

martedì 24 giugno 2008

Fasi

Uno non sa mai se è in questa fase o in quest' altra. Che brutto il mal di mare.

Primati

Ha vinto lui ma io tifavo per lei.


Le rette nella scuola pubblica

Misurare con un indicatore quantitativo la bontà di un istituto scolastico è compito impervio.

Dice: bisogna individuare il differenziale di preparazione dell' allievo da quando entra in quella scuola rispetto a quando esce.

Ma la "preparazione" include anche elementi incommensurabili.

Si puo' benissimo convenire senza arruolarsi tra gli anti-testmen barrcaderi.

Molto meglio, in questi casi, assumere nei confronti del test quello che Koretz chiama "il Principio Rolling Stones":

"... No, you can't always get what you want... but if you try sometime... you find
You get what you need..."

Fiduciosi proseguimo alla ricerca della bisogna e subito altre barriere si frappongono.

Inanzitutto l' atteggiamento leggermente fraudolento di alcuni istituti che va sotto il nome di inflazione da test. Consiste nell' organizzano unicamente in funzione dei test trascurando altri aspetti della preparazione.

In secondo luogo la curva di progressione: i miglioramenti non procedono linearmente, se si parte da livelli alti non sarà facile migliorare molto.

In terzo luogo il contesto (famiglia, amici) continua ad influenzare le prestazioni dell' allievo anche durante la frequenza scolastica.

Per noi ottimisti gli ostacoli sono superabili, si tratta solo di prendere una bella rincorsa. Nel primo caso potremmo ricorrere all' impiego random di più misuratori, negli altri casi basta stimare delle "tare" opportune.

Ad ogni modo, anche così viziati, i misuratori potrebbero avere un impiego alternativo: autorizzare le scuole eccellenti in termini assoluti a fissare una retta per gli allievi che le frequentano. In fondo la misura assoluta ci esenta dallo sgravio delle "tare".

E poi non è detto che la facoltà di una "retta" anche nel pubblico minacci le pari opportunità introducendo discriminazioni economiche: se il contesto conta, i frequentatori perverranno da famiglie agiate. Se conta meno, il preside userà il pedale della "retta" stando ben attento a non mettere in fuga un' utenza che gli dà questa opportunità di raccogliere finanziamenti aggiuntivi.

L' anello mancante: lo scienziato cattolico d' assalto

Steven Pinker afferma che difficilmente sapremo mai quanto la genetica influenzi le differenze che dividono i generi e le razze (parla proprio di razze).

Questo settore di ricerche è taboo per gli accademici e chi tocca muore, almeno professionalmente.

Da parte sua però è pronto ad accettare il fatto che la genetica giochi un ruolo importante nel caratterizzare i talenti tipici delle donne tenendoli ben distinti da quelli degli uomini. Lo stesso dicasi per le razze.

Chi di fronte ad affermazioni del genere fa scattare l' accusa di "sessismo" o "razzismo", è semplicemente un analfabeta statistico.

Sarebbe interessante chedere a Pinker cosa intende per "razzista".

Altra osservazione: il fatto che certi settori di ricerca siano oggi taboo per le scienze è una chiara accusa al secolarismo. Eppure penso proprio che Pinker simpatizzi con la tendenza secolare.

Il secolarismo affida unicamente alla scienza sperimentale il compito di ricercare il Vero. Quando si profila un Vero scomodo non puo' che tirare le briglie.

Bisogno estraneo a chi, avendo a disposizione "altre dimensioni", puo' concedersi il lusso di porre l' enfasi sul lato strumentale della ricerca senza imporsi dei limiti.

La Fede Religiosa è un' ottima produttrice di "altre dimensioni".

Dopo tanto trambusto sulla religione, vuoi vedere che proprio il secolarismo (nella sua variante più avanzata del politically correct) sia il vero nemico pronto ad imbavaglare le scienze?

La logica della conclusione fila da dio.

Peccato latiti la figura dello scienziato cattolico spregiudicato.

Ma non disperiamo, sembra che al San Raffaele, tanto per dirne uno, si diano da fare per costruirla.

D' altronde questa impasse è la stessa che coglieva Feynman nel momento in cui non trovava nessuna incompatibilità tra fede e scienza, salvo poi rilevare quanto gli atei affollino la comunità scientifica in proporzioni ben maggiori rispetto alla comunità civile.

L' uragano degli aiuti

Difficilmente il settore della protezione civile potrà mai essere privatizzato. Cio' non toglie che i privati possano giocare un ruolo importante.

Il day-after di Katrina ha insegnato ancora cio' che tutti sanno: l' efficienza del settore pubblico è bassissima. Con concorrenti del genere era naturale che gli sforzi di Wal-Mart spiccassero per qualità e tempismo.

Ma Dan Rothschild va oltre soffermandosi non tanto sull' apporto positivo quanto sui danni che un ritiro dell' intervento pubblico risparmia. Tenta una stima di quanto costino le mancate promessa e il relativo spiazzamento dell' iniziativa privata. Si arriva a cifre vicine a quelle del disastro.

The lesson of Katrina that matters the most is that the promise of federal assistance that will likely never materialize can be as destructive as the initial disaster...

What residents need in this maw of confusion is certainty. They need to know which roads will be rebuilt, and when the power and water will come back online. They need to know that the rule of law will be enforced. In short, they need to know what economists call the "rules of the game" for rebuilding.

sabato 21 giugno 2008

Il ronzio di Carver

Raymond Carver: Cattedrale



Fa piacere sapere che se subisci un torto puoi sempre correre a casa e confortarti con un racconto di Carver.

Funziona anche se il torto lo infliggi.

Funziona ogni volta che resti senza parole.

Ray fa bisbigliare i tuoi silenzi attoniti, sottrae dramma e tensione alla sconfitta esistenziale senza occultarla sotto patine plastificate. Lei resta sempre lì a due passi da te, quando sarai pronto potrai darle un' occhiata.

Non c' è fretta, nel frattempo possiamo farci un goccetto.

Ray ti fa parlare e ti parla. Parla a tutti i cuori che hanno bisogno di rallentare il loro battito.

La sua compagnia è gradevole, non ti chiama continuamente a "fare il punto della situazione". Non si sognerebbe mai di chiederti un "chiarimento" su cose dette o fatte. Men che meno si interessa ai tuoi "progetti". Con lui le impellenze vanno a farsi benedire.

Quando un estraneo entra in casa tua e si guarda in giro, hai sempre l' impressione che non gli piaccia cio' che vede. Ecco, con Ray apprensioni del genere ti vengono risparmiate.

In realtà nemmeno apre bocca finchè nella stanza non aumentano certe misteriose pressioni e lui, messo alle strette, si sente in dovere di farlo.

Si chiacchera un po' del più e del meno, quando le batterie della discussione si esauriscono (quasi subito), propone di accendere la TV. Da qualche parte c' è sempre un telegiornale o un documentario.

Capita spesso che sia sul punto di dire qualcosa, ma poi non dice niente.

Tanta discrezione a volte crea delle stasi, non lo nego. In questi casi si resta lì come fulminati, con i nostri faccioni imperlati di sudore. Le copertine di Gabriella Giandelli illustrano bene il modo in cui i televisori dilatano l' iride, appesantiscono la palpebra, gonfiano la borsa oculare. Sono piccole deformazioni facciali che i personaggi di ray presentano invariabilmente.

Le parole di Ray non sono granchè, ma perlomeno le puoi toccare. Le puoi tenere in mano come fossero suppellettili. In mano ci stanno in modo stabile, la cosa è rassicurante per tipi come noi che hanno le mani grosse e callose. In testa è diverso, lì le parole si muovono in continuazione, scivolano via che è un piacere. Quando le cerchi non ci sono mai.

Ray non sopporta troppa "realtà" tutta in una volta.

Ricordo quando dovette incontrare e ospitare nei suoi racconi un cieco, era tutto eccitato e apprensivo. Non finiva più di riempire i vuoti di quel racconto con la parola "cieco". E il cieco di qua... e il cieco di là...

Un cieco nei suoi racconti, un cieco in casa sua. Che stranezza! Era già al limite e, come se non bastasse, quando il cieco aprì la porta ed entrò nel racconto, si scoprì che aveva la barba, un gran barbone. Pure la barba, un cieco con la barba, decisamente eccessivo per Ray.

Un' altra volta Ray in un suo racconto c' ha messo dentro un pavone (forse ha fatto anche la ruota ma sul punto il testo è ambiguo).

Ma che ci fa un pavone dentro racconti dove cercheremmo invano anche il nome del protagonista?

Per compensare questa esagerazione incongrua ha dato fondo a tutto il suo virtuosismo.

Noi lettori abituali l' abbiamo notato subito il pavone e ci siamo guardati con fare interrogativo. Anche perchè i pavoni sono esseri agitati, non stanno comodi nei racconti di Ray, non sono quelle le gabbie adatte a loro. Nell' altra raccolta una presenza del genere sarebbe stata impensabile impensabile.

Noi lettori abituali guardavamo questo strano pavone e nutrivamo un certo imbarazzato; in quel racconto ci siamo sentiti come ospiti in visita pieni di cautele. Abbiamo bussato in equilibrio sulle uova, cercando di darci un tono leggermente migliore del nostro solito, dare una buona impressione era importante. D' altronde eravamo in un racconto con tanto di pavoni e ci sembrava naturale mostrare una certa confidenza con un simile uccello.

Quando l' anfitrione - ovvero Ray - ci ha aperto la porta per farci entrare anche il pavone - che fino a quel momento razzolava convulsamente in giardino - ha voluto accedere. Ray lo scacciava trattandolo anche malino, devo dire. In quel traffico abbiamo toccato timorosi la bestia con lo stinco e abbiamo detto "Oh".

Nel suo racconto Ray ha dato grande evidenza a questo "Oh". Non se l' è lasciato sfuggire. In questo senso Ray è una sicurezza, non delude mai.

Sono contento perchè il nostro "Oh" compensa di gran lunga la bizzarra presenza di un pavone tra le righe di Ray. Non solo la compensa, la giustifica e la valorizza. Ora sono contento che Ray abbia scritto un racconto con un pavone, lo sono perchè in quel racconto c' è anche quell' "Oh".

A distanza di due giorni, memore di quel passaggio letterario, sono tornato sulla pagina a rileggere l' "Oh". Non mi capita spesso di recuperare alcune righe, di solito quello che è "letto" è "letto", avanti il prossimo.





Le parole di Ray ronzano.

Ray si è dimenticato le sue opinioni, forse una volta ne possedeva ma ora non ha più giudizi praticamente su niente e non se ne cruccia, tanto a colmare le lacune ci pensa il ronzio che emette in continuazione.

Se Il tran tran avesse un suo spartito, allora potrei dire che Ray ha sia lo strumento che il talento idoneo per eseguirlo al meglio.

Ci sono dei conti da fare, delle somme da tirare, delle conseguenze da fronteggiare, lo sai anche tu. Ma quel ronzio è una sirena, ti invita a dilazionare le noie, ad isolarti dalle pressioni della donna istigatrice; ti approva quando ti fermi un attimo a farti un goccetto. Ti seduce infine conducendoti nel lazzaretto dei procastinatori: un minuscolo inferno ammobiliato con tanto di tinello. E con un bel televisore a cui dare un' occhiata quando sei alle strette.

Rastrelli di classe

Non capisco tanta perizia nel rastrellare il giardino quando tanto non invito mai nessuno per il barbecue.

venerdì 20 giugno 2008

Paradisi mormoranti

Svoltato il tornante cosa troveremo? Non siamo poi così certi di portare al sicuro il nostro corpo - corpo infreddolito dall' umidore dei fanghi delle trincee, smembrato dalle granate-ananas, traforato dalle schegge, intontito dal clangore del bazooka, meccanizzato dagli ordini di caserma, intossicato dall' antracite, straziato da fili spinati, irradiato dagli urani impoveriti. Non siamo sicuri che veramenti ci spetti come ci hanno detto di depositarlo in un qualunque Paradiso. Varchiamo la soglia intimoriti, il posto sembra quello giusto, ci sono i Martiri, c' è Lazzaro... ma la voce che c' accoglie è timida, è stanca anche lei, come noi. Poi sopraggiunge l' angelo e le sicurezze si rafforzano scaldandoci nella loro stretta: cio' che è reso aspro dalle timidezze si scioglie nella confidenza, cio' che è contratto nel crampo della stanchezza si rilassa. Nuove voci sempre più coordinate ci soccorrono cullandoci in un riposo cicatrizzante. Sono tutti contenti di vederci, rinunciano con fatica a imprigionare il canto della loro calma gioia, ubbidiscono con riluttanza anche al tocco della campana paradisiaca quando ordina il raccoglimento nella preghiera. La strada era giusta, l' indicazione corretta, è proprio qui che elargiscono il lumino fioco che scaccia i timori cedendo solo al sonno fausto che riunisce e asciuga le labbra della piaga più rognosa. Dobbiamo ringraziare Benjamin Britten per averci spinto fin qui gonfiando la nostra vela con la sua musica ventilata; affrettiamoci! Ora che la fa solo mormorare... è sul punto di lasciarci.

E sbrigatevi anche voi ad acquistare il doppio della Decca con il War Requiem in occasione a 10 euri!!


Il realismo dell' inesperto

Ho sempre cercato di capire il mio disinteresse per la politica estera.

Ogni tanto mi piace giocare a quello fa l' "umile": la politica estera tratta un soggetto talmente lontano dalle mie esperienze consuete che sento forte il dovere di osservare un silenzio compunto.

Un' uscita come la precedente ti dà un certo tono quando sei in compagnia ma se presa sul serio non convince nessuno. In fondo pontifico su mille questioni che trascendono di gran lunga le mie esperienze quotidiane.

Probabilmente la questione è più semplice. Su questi temi è difficile imbattersi in idee seducenti.

Certo, alcune forme di isolazionismo radicale o di pacifismo ad oltranza sono guide sicure in grado di indirizzare senza ambiguità l' azione di chi le abbraccia. Ma sono anche idee del cavolo votate al fallimento. Hanno senso solo come lussi di chi è condannato alla minoranza che nulla deciderà mai.

Altri tentativi di ingabbiare il problema sono estremamente precari. Praticamente tutti utilizzano un apparato concettuale vago.

E alla fine, dopo aver enunciato fior di principi, chi vuole fare la guerre, con quattro distinguo introdotti ad hoc, la fa quando e come vuole.

Questo vale per la teoria della guerra giusta tanto cara ai cristiani.

Mani slegate pure a destra.

Per non parlare della sinistra: porte aperte a qualsiasi invasione (basta mettere qualche puntino sulle i).

Lo spettacolo è deprimente. Mi abbandono al realismo, che per un inesperto significa lasciar fare agli altri e pensare ad altro.

Sanare le zoppie

Chissà un fresco maturando che esce dalla scuola italiana che punteggio riporterebbe in un test di questo tipo. Oltre a testare lui si testerebbero anche le affermazioni di chi ritiene che certe impostazioni asimmetriche siano solo roba vecchia che ammorbava la scuola di un secolo fa. Da ultimo, m' incuriosirebbe proprio somministrare il tutto a chi queste affermazioni le ha in bocca tutti i giorni. Lo score sarebbe decisivo per dare a costoro seria udienza.

giovedì 19 giugno 2008

Sergentemagiù Rigoni

Solo l' anno scorso, dopo consulto con la miri, lessi la sua opera magna. Visto che l' altro giorno si è involato, forse l' occasione è buona per riprendere vecchie impressioni annotate a suo tempo fresco di quella vicinanza.


***


Mario Rigoni Stern: Il sergente nella neve.

Questi scrittori di guerra li riconosci subito, hanno tutti un rigo dal cominciamento che attacca d' impeto, come se la storia bruciasse loro tra le dita.

Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".

Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.

Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.

Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.

Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.

Come tutte, anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.

Una pace satura di attività poco indicate per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.

Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.

Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.

Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.

Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.

Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili, incassati come piccioni stravecchi dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".