La valanga d’imposte - La tirannia fiscale di Pascal Salin
Che cos’è il reddito di una persona?
Quando non ci penso lo so, quando ci penso non lo so più.
Di certo è un concetto più sfuggente di quel che percepiamo di primo acchito.
Su questa ambiguità il fisco gioca la sua partita.
Cerchiamo di chiarire meglio il concetto partendo da una diatriba che dilania i fiscalisti da sempre: a parità di gettito, meglio un sistema ad imposta unica o un sistema con molte imposte?
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Avete presente come funziona l’IVA?…
… L’IVA è stata creata e adottata per evitare una valanga d’imposte sulla stessa materia imponibile. È noto, infatti, che l’imposta riscossa ad ogni tappa del processo di produzione e dello scambio ricade sul valore monetario del prodotto venduto; ma colui che paga l’imposta può dedurre l’IVA pagata nei precedenti stadi della produzione…
Un bel passo in avanti rispetto alla vecchia IGE…
… Se l’imposta colpisce un bene quando viene scambiato, alcuni beni possono venire ipertassati rispetto ad altri, tenuto conto del più o meno ampio circuito di scambi che percorrono… Potrebbe accadere, ad esempio, che un bene finale prodotto da una ditta integrata che assicura tutti gli stadi della fabbricazione, dalle materie prime alla vendita al commerciante al minuto, subisca solo un’imposizione limitata… il medesimo bene sarebbe sottoposto ad una tassazione di gran lunga superiore nel caso in cui il processo di fabbricazione fosse assicurato da più ditte…
Cio’ non toglie che l’ IVA colpisca il medesimo imponibile dell’imposta sul reddito.
In un certo senso è una sopratassa. Ve ne eravate mai accorti? No? Forse perché neanche voi sapete bene cosa sia un reddito.
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Il bello è che l’imposta sul reddito è spesso una sopratassa di se stessa, lo è nel momento in cui colpisce anche i redditi di capitale. Il perché lo sappiamo bene…
… Il caso dell’imposta sul reddito, esaminato nel capitolo III, costituisce un esempio d’imposta a valanga, poiché il risparmio subisce due volte l’imposta sul reddito…
Il rischio di doppia tassazione aumenta con il numero di tasse, visto che inevitabilmente si colpisce la stessa grandezza…
… i consueti sistemi fiscali tanto meno facilmente schivano questo eccesso di tassazione quanto più moltiplicano le differenti imposte…
Se tutte le tasse sono sul reddito, l’unica questione rilevante riguarda l’entità delle aliquote effettive.
Avere più tasse consente di occultare meglio l’aliquota effettiva e di differenziarla – sempre in modo occulto – tra i diversi contribuenti.
Cio’ non toglie che la moltiplicazione delle imposte (a parità di gettito) abbia le sue ragioni…
… In linea di massima si giustifica tale moltiplicazione, invece del ricorso ad un’unica imposta “perfetta”, affermando che così è più semplice reperire la materia imponibile, sia perché le differenti imposte consentono un reciproco controllo (conoscere il capitale dà indicazioni sul reddito), sia perché diminuiscono le possibilità che una fetta della materia imponibile sfugga ad ogni imposta…
Chi evade agevolmente un’imposta – in effetti - potrebbe non poter evadere l’altra. Da qui il detto “imposta unica, imposta iniqua”.
Ma supponiamo che non esista possibilità di frode o d’evasione fiscale. Si ha motivo di ritenere che l’imposta unica sia da preferirsi.
Quel che non si coglie: di fatto esiste già una sola imposta (sul lavoro)…
… non esiste che un’unica materia imponibile: quella che deriva dall’attività degli individui…
Quando colpisci il lavoro colpisci la divisione del lavoro (specializzazione)…
… Essa spinge difatti gli individui a sostituire con attività fuori mercato le attività che passano per lo scambio. Ma lo scambio è un motore essenziale del progresso… È evidente che in questi paesi si sviluppa un’economia sotterranea, unico mezzo per aggirare l’ostacolo fiscale…
Ma perché di fatto esiste già l’imposta unica? Che differenza c’è tra le varie imposte?…
… le varie imposte non sono altro che metodi amministrativamente differenti per tassare una medesima materia imponibile…
Torniamo alle ragioni per moltiplicare le imposte…
… La tesi secondo cui la moltiplicazione delle imposte moltiplica anche le possibilità di colpire la materia imponibile e facilita il controllo per l’amministrazione fiscale sembra decisiva. E, poiché si ritiene ingiusto che un individuo possa sfuggire all’imposta mentre un altro la subisce, a parità di risorse, si sarebbe pronti ad accettarla…
Ragioni piuttosto deboli, direi…
… Eppure, la moltiplicazione delle imposte non risolve affatto la diseguaglianza di trattamento tra contribuenti: è forse giusto far pagare ad un contribuente due imposte sulla medesima materia imponibile, nella speranza che il suo vicino, sfuggito alla prima imposta, non sfugga alla seconda?…
In sintesi: la moltiplicazione delle imposte crea doppia e tripla tassazione ma limita l’evasione. Come soppesare vantaggi e benefici?
Come se esistessero due situazioni tra cui scegliere: 1) tassati + evasori o 2) tassati più tartassati.
E’ davvero preferibile la seconda situazione?
D’altronde, per combattere l’evasione ci sono altri mezzi…
… In altre parole, non si può combattere l’evasione e la frode fiscale aggiungendo un’imposta, bensì migliorando le procedure d’informazione o, meglio ancora, diminuendo la “redditività” della frode…
Una finalità occulta del perché scegliamo la proliferazione delle imposte…
… evitare la formazione di un’opposizione compatta dei contribuenti, separando gli uni dagli altri gli interessi di differenti categorie di contribuenti…
Una specie di “dividi et impera”. Quanto pago? Boh. In un marasma del genere il contribuente è scisso anche da se stesso…
… Così, nessun contribuente sa bene quante tasse paga in complesso, tanto più che alcune di esse vengono pagate solo in occasione di particolari operazioni (come i diritti di registrazione). Inoltre, la rivolta fiscale è tanto meno realizzabile quanto più divergono gli interessi dei contribuenti: perché la massa dei contribuenti dovrebbe ergersi contro l’esagerata progressività dell’imposta sul reddito? In che modo i debitori dell’imposta patrimoniale possono far capire di venir spogliati più degli altri? Come potrebbero tutti i risparmiatori chiedere una modifica dell’imposizione del risparmio, quando alcuni di essi beneficiano di privilegi (esoneri e tassi preferenziali)? “Dividere per meglio regnare”, “prendere il denaro dove c’è…
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Il sistema ad imposta multipla non è un sistema che tassa cose diverse ma un sistema a sovrapposizione d’imposta.
Pensiamo solo a IVA e imposta sui redditi, ovvero a due tra le tante imposte che tassano la stessa cosa. Cerchiamo di capire con un esempio la sostanziale uguaglianza tra i due tributi…
… Supponiamo, per chiarire, che inizialmente non esistano imposte e immaginiamo il caso di un produttore che venda un bene il cui valore sul mercato sia di FF1000. Questo produttore acquista materie prime per FF500, vale a dire che il valore aggiunto è FF 500. Tale valore aggiunto si traduce in una ripartizione di redditi pari, ad esempio, a FF400 di salari e FF100 di profitti. Supponiamo allora che lo Stato s’inventi un’imposta sul reddito del 10%. Coloro che ricevono un salario di FF 400 pagheranno FF40 d’imposta sul reddito, e il potere d’acquisto netto che resterà sarà di FF 360. Ugualmente l’imprenditore, che ricava FF 100 di profitto, pagherà FF10 d’imposta sul reddito e tratterrà, pagata l’imposta, FF90. Cosa sarebbe successo se invece di creare un’imposta sul reddito al tasso del 10% lo Stato avesse introdotto un’IVA al medesimo tasso? Il produttore non può aumentare il prezzo di vendita, fissato dalle condizioni del mercato (e, anche, dai prezzi mondiali). Più precisamente, se la quantità di moneta che circola in un paese è costante, non è possibile che aumentino tutti i prezzi in denaro.2 Di conseguenza, il produttore, che vende il suo prodotto sul mercato a FF1000, dovrà sborsare il 10% d’IVA (cioè FF50) e non gli resteranno che FF450 di valore aggiunto da dividere tra i fattori di produzione, cioè, nel nostro caso, tra i salariati e se stesso. Se si presume che la ripartizione tra i due rimanga costante, il produttore pagherà FF 360 di salari e tratterrà FF90 di profitto. Il potere d’acquisto derivante al salariato e quello trattenuto dall’imprenditore sono dunque esattamente gli stessi, che l’imposta sia sul reddito o un’IVA…
L’eterno equivoco sull’IVA…
… l’IVA non è, contrariamente a ciò che si ritiene, un’imposta sui consumi, ma un’imposta sui redditi dei fattori di produzione… è identica all’imposta sul reddito, ma il sistema utilizzato dall’amministrazione per prelevarla è diverso…
Calcoliamo il tasso reale di imposizione in un caso del genere…
… Se lo Stato preleva il 20% d’IVA, chi produce per un valore di FF 100 non ne riceve di fatto che 80. E se, inoltre, esiste un’imposta sul reddito pari al 50%, pagherà FF 40 sugli 80 che ha ricevuto e non ne conserverà che 40. Il tasso reale d’imposta è dunque del 60%…
Una valanga di imposte genera aliquote assurde. Ma occulte! Quindi si tira avanti.
Il caso dell’ingegnere spaziale che si imbiancò la casa…
… L’economista belga Alain Siaens, da parte sua, ci fa il seguente esempio:3 Prendiamo il caso limite di un ingegnere che abiti a Genk, città del Belgio in cui le addizionali comunali del 19% battono ogni record; il tasso marginale d’imposta raggiunge il 90%. La sua casa ha bisogno di essere pitturata. L’imbianchino gli sottopone un preventivo di FB100.000, suddiviso in FB 10.000 per i materiali, FB 30.000 per la mano d’opera e FB 60.000 tra tasse e carichi sociali. L’ingegnere calcola che il suo reddito dovrebbe essere di un milione di franchi belgi perché l’imbianchino possa avere un reddito netto di FB30.000. Lo scarto, tolti i FB10.000 per i materiali, arriva a FB 960.000. È l’accumulo dei carichi fiscali e parafiscali. L’ingegnere decide di dipingere lui stesso la casa. Ne deriva che l’imbianchino resta senza lavoro e che l’ingegnere occupa le sue ore libere in un compito in cui si rivela poco abile, invece di dedicarle ad un aggiornamento nei corsi serali, come avrebbe voluto e come la collettività si aspettava da lui. Tutti ci rimettono, compreso il fisco, senza che tuttavia ci sia frode. Forse l’ingegnere, in seguito a ciò, opterà per una pensione prematura…
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Plusvalenze (immobiliari): ennesimo doppione per attrarre i privati che non pagano laddove le imprese pagherebbero. Immaginatevi un privato che rivende con profitto la sua casa…
… come si può giustificare l’aggiunta di un’imposta sui plusvalori ad un sistema fiscale che già comprende una tassa sul valore aggiunto ed una sul reddito? Il problema che troviamo qui è esattamente uguale a quello già visto a proposito della tassa sul capitale: poiché la base sia della tassa sul reddito che di quella sul valore aggiunto è mal definita, si aggiunge un’imposta supplementare, ritenuta valida per compensare i difetti delle altre imposte… L’istituzione dell’imposta sulle plusvalenze mira dunque a compensare un difetto nella definizione della base dell’IVA o dell’imposta sul reddito…
L’imposta sulle plusvalenze è un tappabuchi del sistema traforato poiché fondato su concetti maldefiniti, esempio quello di reddito.
Altro effetto delle imposte duplicate: legislazione complessa e gioia dei commercialisti…
… la crescente complessità di una legislazione fiscale che tenta continuamente di compensare la cattiva definizione della base delle imposte…
Missione impossibile (ma essenziale): distinguere consumo da produzione…
… le imprese hanno anche attività di consumo, nel caso in cui un proprietario o un dipendente si giovi di servizi quali l’uso di un’auto di rappresentanza per i propri spostamenti, i viaggi ed altri vantaggi in natura… Il fisco capisce bene che c’è una frontiera difficile da individuare tra quel che si raccoglie dall’attività produttiva dell’impresa, il cui scopo è soddisfare i clienti, e quel che si raccoglie dal fornire direttamente soddisfazioni ai dipendenti o ai proprietari… Certo non è facile definire tecnicamente la base delle imposte partendo da una distinzione tra attività di consumo e attività di produzione…
Conseguenza: impossibile capire cosa sia reddito.
Se mi piace il lavoro che faccio il mio reddito non è più misurabile dal mio stipendio. Eppure, l’ IRPEF – che pretende di essere un’imposta sul reddito - colpisce il mio stipendio anziché il mio reddito. In questa materie l’arbitrio regna sovrano…
… la legislazione fiscale è incapace di definire la base delle imposte. Tale definizione è necessariamente arbitraria…
Tesi: se l’imposta è arbitraria non è meglio che perlomeno sia bassa?
Il concetto di reddito è ambiguo…
… L’imposta sul reddito poggia su una base mal definita, perché il concetto stesso di reddito è privo di un preciso significato teorico ed è difficile da circoscrivere…
Quando l’imposta sul reddito è l’architrave, tutto il sistema fiscale si fa ambiguo.
Altra ingiustizia: rivela solo il mercato…
… Inoltre, l’imposta sulle plusvalenze non raggiunge tutte le plusvalenze, dato che colpisce solo quelle che si realizzano sul mercato, quelle cioè che sono il risultato di una transazione. Quindi, il contribuente che accresce il valore del suo capitale ma ne consuma egli stesso i servizi – ad esempio l’abitazione – non subisce la tassa sulle plusvalenze…
Tassare le plusvalenze colpisce solo chi opera sul mercato creando ingiustizie palesi…
… due individui che dispongono di risorse identiche e di identici redditi sono tassati in modo differente, a seconda se desiderano o meno cambiare la struttura del loro patrimonio. Di conseguenza, colui che avrà il torto di voler passare le vacanze in montagna piuttosto che al mare dovrà pagare forti tasse, contrariamente al suo vicino che continua a possedere la casa in riva al mare…
Ma il culmine lo si raggiunge quando si tassano le intenzioni anziché i comportamenti…
… Il regime di tassazione, infatti, è più o meno severo a seconda che il plusvalore abbia caratteristiche più o meno speculative! È in parte l’intento speculativo a venir tassato, non l’esistenza di un reddito! Si arriva dunque a questa straordinaria innovazione della legislazione tributaria, che i cittadini non subiscono le tasse in funzione della loro “capacità contributiva”, ma in funzione delle loro intenzioni supposte… Simili provvedimenti farebbero sorridere, se non fossero di estrema gravità. Essi danno al fisco poteri di natura totalitaria, consistenti nello scandagliare e valutare le intenzioni…
Siamo all’imposta sui peccati…
… L’imposta, allora, sembra avere una funzione moralizzatrice: colpisce i “cattivi”, gli speculatori, ed è più tenera con altri….
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Un sistema a imposta multipla è di fatto un sistema di imposte a valanga che rende occulte le sue aliquote. Non è più onesto nazionalizzare la ricchezza?…
… L’imposta sul plusvalore, che colpisce una fetta del valore del capitale, per certi contribuenti si assomma evidentemente non soltanto ai diritti di vendita, ma anche alla patrimoniale, all’imposta sul reddito – che ha colpito il risparmio a monte del capitale, come pure i suoi eventuali rendimenti – e a quella di successione, a quella fondiaria, o all’IVA… Non è difficile, a queste condizioni, trovare numerosi casi in cui l’imposta che grava sul capitale superi, e a volte di parecchio, il 100%. Di fronte a questa enorme spoliazione del capitale che dura da molti anni, si può sottolineare ancora una volta che le nazionalizzazioni…
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Che fare?
Ripiegare su un’imposta unica fondata su concetti non ambigui al fine da non creare doppioni.
Un esempio: imposta sui consumi, imposta unica. La nozione di consumo è meno ambigua di quella di reddito, in altri termini: consente di evitare le duplicazioni di imposta.
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Ultima appendice: ma chi paga le imposte?
L’imposta è sempre pagata da chi vende, ovvero da chi produce. L’imposta sul lavoro, per esempio, è pagata dai lavoratori, non dalle imprese. Per agevolare le imprese meglio abbassare le imposte sugli investimenti.
La scienza della finanze dedica una delle sue branche allo studio sull’ “incidenza dell’imposta”. E’ una materia intricata in cui sono centrali concetti come quello di elasticità della domanda e dell’offerta.
Noi – per giustificare la risposta precedente - ci concediamo una semplificazione e guardiamo al sistema nel suo complesso anziché settorializzato.
Immaginiamo allora un sistema economico di libero mercato in equilibrio: non c’ è disoccupazione e ogni venditore strappa il prezzo massimo.
Viene introdotta una tassa sugli scambi. Chi la paga?
Il venditore/produttore del bene scambiato, ovvio. Come tutte le tasse.
Perché?
Perché sul libero mercato il prezzo previgente era già massimo, non puo’ essere ulteriormente alzato per trasferire parte dell’imposta. Dietro – è chiaro - ci sono tutte le assunzioni del modello classico: operatori egoisti e ragionevoli.
In altri termini: se il prezzo sopportasse un aumento, questo aumento ci sarebbe già stato, in omaggio al principio per cui un mazzetto di banconote incustodito non sta mai molto tempo sul marciapiede.
Ma perché allora a volte assistiamo al fatto che i prezzi aumentano e che di fatto pagano anche gli acquirenti/consumatori?
Perché non tutti i produttori hanno pari efficienza.
Mi spiego meglio: un produttore inefficiente puo’ essere mandato fuori mercato allorché gli piomba tra capo e collo una nuova tassa da pagare. E la cosa si realizza anche se i produttori sono di pari efficienza e la nuova situazione è insostenibile per tutti: alcuni usciranno prima degli altri.
E’ chiaro che, a questo punto, se la produzione diminuisce causa uscita dal mercato di alcuni produttori, il prezzo del prodotto aumenta.
Ma aumenta perché si produce meno, non perché i produttori trasferiscano parte della tassazione sui consumatori. Anche se è vero che nella sostanza nulla cambia per il consumatore che si trova a pagare di più.
Le tasse – a rigore - sono sempre pagate dai produttori che vendono beni e servizi.
Senza dire – ma questa è solo un’ipotesi contingente - che i produttori espulsi dal mercato tartassato possono rientrare in un altro mercato diminuendo il prezzo in formazione. In questo senso ci sarà un gruppo di consumatori beneficiati che compenseranno i consumatori danneggiati. I consumatori – intesi come categoria - non soffrono.
E la tassa sui consumi chi colpisce?
Colpisce sempre i produttori. In particolare quei produttori che non reinvestono nella produzione.
La tassa sui consumi usa i consumi come misura di riferimento al fine di non produrre doppia tassazione.
Cio’ non toglie che se rilassiamo le ipotesi di cui sopra una parte delle imposte possa ricadere anche su soggetti diversi dai produttori di beni e servizi.
Gli assunti di cui sopra di fatto ipotizzano un libero mercato. Tuttavia, spesso la politica conta più del mercato, basta notare il peso del sindacato. In casi del genere il ragionamento appena svolto non vale più.
Prendiamo la benzina, ammettiamo che il prezzo sia in gran parte dettato dalla politica: non si vuole “esagerare” nello spremere gli automobilisti che si rivolterebbero. In casi del genere (molto frequenti) quel che a noi interessa è la presenza nel prezzo effettivo di un margine per trasferire sui consumatori parte di una nuova eventuale tassa. Spesso gli automobilisti si lamentano che una nuova tassa alza il prezzo dei carburanti ma non si rendono conto che in teoria cio’ è possibile solo perché il prezzo del carburanti è tenuto artificiosamente basso. Dico in teoria perché la politica interviene su più livelli nel settore, per esempio anche mettendo barriere all’entrata e garantendo quindi di fatto i cartelli delle compagnie, queste misure lavorano in senso opposto alle misure di prezzo calmierato.