L’articolo 9 della costituzione afferma che compito della Repubblica è tutelare il patrimonio storico-artistico.
Perchè mai bisogna farlo? Chi ci obbliga? Sono domande che si pone Luca Nannipieri nel saggio “Oltre la Costituzione”.
...Molti politici, soprintendenti, critici, studiosi, giornalisti, parlando o scrivendo, danno già per assodato che cosa sia il nostro patrimonio... Dicono: il duomo di Modena, Pompei, Paestum, un borgo di Siena, un affresco di Giotto, un manoscritto di Pascoli, e nominando o evocando quelle realtà, danno già per sottinteso che esse siano patrimonio e, di conseguenza, che debbano essere per necessità protette, tutelate, custodite, restaurate...
La domanda all'inizio suona strana. Dopo, invece, quando constatiamo che non si presentano facilmente risposte adeguate, suona molto piú sensata.
Le cose si complicano allorché realizziamo che non esiste un patrimonio fisso ma qualcosa sempre in divenire.
Senza un uomo presente qui ed ora non esistono né paesaggi, né arte, e l'uomo del qui ed ora è una realtà dalla potenza dinamica esplosiva. Proprio per questo l'art. 9 andrebbe riformato, per la sua concezione museale della cultura.
Insomma, non esiste né un patrimonio della nazione né un paesaggio della nazione, come invece afferma l’art.9: proprietario puo’ essere solo l’uomo, non un ente platonico astratto come la Nazione…
...Sarebbe come se venisse promulgato un articolo per difendere la memoria della Nazione, oppure l’identità della Nazione, oppure il dolore della Nazione, o l’accoglienza della Nazione...
Alessandro Manzoni è patrimonio di chi lo ama e di chi lo legge, non della nazione. La cultura nasce dal desiderio del singolo, parte dal basso e può essere tutelata solo dal basso, ovvero dai suoi amanti.
Per capire meglio il concetto enunciato ripercorriamo un attimo la storia del libro, ovvero dello strumento principe per veicolare cultura. Chi lo ha fatto nascere? Chi lo ha curato e fatto prosperare?...
...La diffusione del libro, ad esempio, non è avvenuta per atto costituzionale, non è avvenuta per decisione di uno Stato, di una Nazione: è avvenuta da una compartecipazione di eventi, personalità, interessi, occasioni, nate senza una pianificazione dall’alto, senza una regolamentazione normativa atta a promuovere lo sviluppo, la diffusione e l’implementazione... Dopo che Gutenberg stampa il primo libro nel 1455, la diffusione della stampa inizia a circolare nei paesi. A Venezia, nei primi del Cinquecento, si sviluppa un’industria del libro a opera di tipografi e librai che stampano e diffondono quasi la metà di tutti i volumi pubblicati in Europa. Ma è con le invenzioni di Aldo Manuzio che la diffusione del libro prende piede. Infatti questo tipografo inventa i tascabili... da quel momento non si legge più solo per approfondire o pregare, seduti davanti a un leggio con il grosso volume davanti, ma si può leggere nei ritagli di tempo, negli spazi più diversi... il bibliofilo Magliabechi, morendo nel 1714 a Firenze, lasciò quasi 30.000 volumi alla cittadinanza, a disposizione di chiunque. Anzi, volle eredi della sua libreria «i poveri di Firenze»...
Non esiste un patrimonio culturale condiviso, non illudiamoci, siamo diversi, rassegniamoci e cogliamo in questo il portato positivo. Se visito la necropoli etrusca di Cerveteri non sono orgoglioso di essere italiano...
... la stessa vertiginosa commozione la provo di fronte ai templi egizi di Abu Simbel, la città maya di Tikal in Guatemala, il mausoleo di Taj Mahal in India, le città sepolte dei Romani sotto il Vesuvio, le migliaia di statue di terracotta messe a guardia della tomba dell’antico imperatore cinese a Xi’an...
Qui non agisce l'orgoglio nazionale ma qualcosa di più profondo che tocca la mia umanità.
Non puo' e non deve esistere condivisione sul patrimonio culturale, c’è invece diversità e scambio: siamo diversi e dobbiamo negoziare arricchendoci reciprocamente. Ma soprattutto nessuno di noi tollera di essere definito a priori in un codice delle belle arti.
Dobbiamo restaurare Leonardo o Raffaello? Prima di rispondere ricordiamoci che senza un uomo specifico e vivente che guarda la Gioconda, questa sublime opera d’arte vale una forchetta. Se la Gioconda ci è indifferente il suo valore si azzera.
Di chi è allora il patrimonio che la costituzione attribuisce alla nazione?...
... Il campo di concentramento di Auschwitz o di sterminio di Birkenau sono un bene della Polonia, della Nazione polacca? Sono un bene dell’Europa? Oppure, visto che vi sono stati sterminati milioni di ebrei, questi campi sono un patrimonio degli ebrei? Oppure, visto che vi sono stati uccisi migliaia di omosessuali, sono un patrimonio degli omosessuali? Sono un bene dell’umanità? Ma se un aborigeno non ha neppure avuto la nozione di Auschwitz, come si fa a parlare a suo nome?... Il Museo delle Antichità Egizie di Torino, nato seguendo la moda delle campagne depredatorie di Napoleone in Egitto, ovvero saccheggiando le opere degli egizi, è patrimonio della Nazione italiana? Oppure dell’Europa? E se l’Egitto volesse riappropriarsi delle antichità trafugate o requisite, così come la Grecia ha più volte richiesto al British Museum di Londra la riconsegna delle sculture strappate al Partenone...
Quando la “nazione” si interessa e rivendica un patrimonio che è uscito dai suoi confini statene pur certi che dietro ci sono secondi fini: turismo, prestigio, voglia di monetizzare…
Di chi è il patrimonio storico-artistico, quindi? No, non è di una fantomatica Nazione, è di chi lo desidera e dimostra di desiderarlo.
Il patrimonio esiste nel momento in cui c'è qualcuno che lo ama e dimostra il suo amore curandolo spontaneamente, è costui che ne diventa “proprietario”. Il patrimonio esiste nella misura in cui esiste una comunità che lo riconosce. Sono queste comunità la presenza da incoraggiare....
... non più «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», ma «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca e tutela il patrimonio storico e artistico»...
Sarebbe una riforma radicale: niente più Codice dei Beni Culturali, niente più Soprintendenze nominati dall’alto.
Basta con l’omogeneità: evviva la diversità, il bricolage, la differenziazione per ambiente. Solo accettando cio’ che per molti curatori equivale al “demonio” riusciremo ad ottenere che le persone si uniscano, in libertà e desiderio, attorno ai propri simboli.