Dai microfoni di Radio Maria, Padre Giovanni Cavalcoli ha affermato che i recenti terremoti siano un castigo divino. Questo almeno secondo il mainstream dei giornali, poi, per farsi un’idea, è bene sentire anche la campana di Giuliano Guzzo. Ad ogni modo, per non saper né leggere né scrivere, il Vaticano tacita il “provocatore” in nome dell’amore e della misericordia divina.
Lasciamo perdere la vicenda cronachistica, mi chiedo se il concetto di “castigo divino” abbia ancora diritto di cittadinanza nella teologia cattolica.
L’obiezione all’idea di castigo divino ha un certo peso: se i cattivi sono puniti con l’inferno (un male eterno) perché mai infierire punendoli anche sulla terra? Sarebbe come accoltellare un cadavere, un gesto insensato, e Dio non compie gesti insensati.
Ma qui compare una contro-obiezione altrettanto fondata: anche i buoni sono premiati con il paradiso (un bene eterno), perché allora rispondere alle loro suppliche mitigando il male che sopportano sulla terra? Eppure Dio a volte interviene miracolosamente in loro aiuto.
Per districare la matassa meglio allargare gli orizzonti: il “castigo divino” è un male prodotto da Dio e quindi, per valutare se sia giustificato o meno, è bene ripassarsi la teodicea. Qui c’è n’è una per me accettabile.
Riassumendo le tesi di cui al link, almeno nella parte che ci tocca: il male nel mondo si giustifica in quanto connesso alla libertà umana.
Da un lato la libertà di scelta puo’ indurci a comportamenti malvagi, dall’altro dal male puo’ venire il bene: dal terremoto possono nascere gesti coraggiosi, per esempio.
Tutto parte dal fatto che risulta terribilmente difficile per Dio giudicare l’uomo in vista della grazia poiché si tratta di un essere “radicalmente libero” e quindi imprevedibile, al punto da limitare l’onniscienza divina. Occorre allora sottoporlo a dei test che comportano anche la presenza del male (per esempio dei terremoti). Vista la posta in palio, si ritiene che il gioco valga la candela.
Il “gioco” dei test di cui si parla, per il cattolico, è la nostra vita, mica robetta.
In questo senso il concetto di castigo divino non si connette bene con la teodicea: il male avrebbe infatti una funzione diversa dal “castigare” e l’obiezione di cui sopra al “castigo divino” mantiene pieno valore.
A questo punto resterebbe in piedi la contro-obiezione: la risposta divina alle preghiere petitorie non è che una pratica simmetrica al castigo divino, perché dovrebbe avere senso la prima se non ha senso il secondo?
Andiamo per gradi, vediamo dapprima il possibile senso della preghiera petitoria.
L’uomo a volte invoca Dio affinché mitighi la sua sofferenza, ma, si puo’ pensare, un Dio onnisciente ha già programmato il mondo in modo perfetto, una simile preghiera appare assurda e non degna di un essere razionale come l’uomo poiché comporta un intervento divino teso a turbare la perfezione del creato.
In realtà, abbiamo già visto come l’onniscienza divina sia limitata dall’imprevedibilità umana, ma se così è allora il mondo non è perfettamente calcolabile a priori, se così è l’intervento divino nella storia è giustificato anche dalla ragione.
In questo senso Dio puo’ accorgersi quanto una certa sofferenza specifica sia eccessiva e diminuire il male sulla terra attraverso un intervento miracoloso. Ecco perché la preghiera petitoria non sarebbe insensata.
A questo punto diventa cruciale segnalare l’asimmetria negli interventi divini, infatti: ha senso diminuire il male nella storia se si riscontra che ce n’è in eccesso ma – per un Dio d’amore – non ha mai senso diminuire il bene, poiché il bene non è mai in eccesso per definizione!
Ora, cos’è il castigo divino se non un intervento che diminuisce il bene di alcuni uomini sulla terra? In quanto tale ha poco senso poiché costoro, se colpevoli, sono già destinati all’inferno, ovvero al male eterno.