Il debito pubblico italiano è attualmente di oltre 2200 miliardi di euro, il 133 per cento del Pil; il disavanzo è di circa 40 miliardi, il 2,3 per cento del Pil. Il che significa che, sempre in rapporto al Pil, il nostro debito pubblico è il più alto d’Europa, dopo la Grecia.
Embè?
Perché mai dovremmo preoccuparcene?
In effetti molti non se ne preoccupano, qualcuno chiede addirittura di aumentarlo, almeno in questa fase di stagnazione prolungata.
Nel suo libro “Status quo: Perché in Italia è così difficile cambiare le cose” Roberto Perotti mette in fila sia gli argomenti dei “preoccupati” che quelli dei “sereni”.
Cominciamo dai primi
1.
1) bisogna ridurlo perché… ce lo chiede l’Europa!
Ma l’argomento delle “regole europee” è debole:
… Tali regole dovrebbero essere l’ultima delle preoccupazioni: nessun paese le rispetta e, a parte qualche richiamo, non c’è praticamente niente di sostanziale che l’Europa possa farci se non le rispettiamo…
2) Stiamo ipotecando il futuro dei nostri figli.
Questo sarebbe corretto se lo stato prendesse a prestito dall’estero. Un esempio chiarisce quanto dico:
… Supponiamo che l’Italia abbia due abitanti, Carlo e Paolo; anche la Germania ne ha due, Karl e Paul. Carlo produce due mele, Paolo nessuna perché non lavora: il Pil italiano è dunque di due mele. Lo stato italiano vuole dare una pensione di una mela a Paolo. Può prendere a prestito una mela da Karl, e girarla a Paolo come pensione. In questo caso l’Italia nel suo complesso consuma tre mele (due Carlo e una Paolo), quindi vive al di sopra delle proprie possibilità, nel senso che consuma una mela in più di quante ne produce; per questo si è indebitata per una mela con Paul. Se lo stato italiano promette di restituire la mela a Paul (assumendo un tasso di interesse pari a zero per semplicità) fra cinquant’anni, quando sia Carlo sia Paolo saranno morti, sta effettivamente ipotecando il futuro dei figli di Carlo e Paolo, perché saranno loro che dovranno rinunciare a una mela per restituirla a Paul o ai suoi eredi. Ma se lo stato non prende a prestito la mela da Karl o Paul, cosa può fare per dare una pensione di una mela a Paolo? Può prenderla solo da Carlo. Può farlo tassando Carlo di una mela; oppure prendendo a prestito una mela da Carlo, cioè emettendo debito pubblico che Carlo acquista pagando con una mela. In entrambi i casi, Carlo oggi consuma una mela invece di due; Paolo una mela invece di zero. L’Italia nel suo complesso continua a consumare due mele, esattamente quante ne produce: la generazione di Carlo e Paolo nel suo complesso non sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità. C’è sempre il debito pubblico emesso dallo stato, del valore di una mela, acquistato da Carlo. Prima o poi lo stato dovrà restituirlo. Supponiamo che la scadenza sia tra tantissimi anni, quando sia Carlo sia Paolo saranno morti. Adesso ci sono i figli, Carletto e Paolino, che producono ciascuno tre mele (il progresso tecnico…). Carlo ha lasciato in eredità il titolo di debito pubblico a Carletto; alla scadenza del titolo, lo stato deve procurarsi una mela per rimborsare Carletto. Lo può fare tassando Carletto stesso di una mela, o Paolino di una mela, o entrambi di mezza mela. In tutti questi casi, quante mele consumeranno complessivamente Paolino e Carletto? Sei, esattamente quante ne producono: non stanno vivendo al di sotto delle proprie possibilità. Dunque, se non diventa debito verso l’estero, il debito pubblico non è un prestito dalle generazioni future a quelle attuali…
Se il debito è detenuto dagli italiani ai nostri figli passeremo sia i debiti che i crediti.
Tuttavia, questo argomento suggerisce un motivo più sottile per cui il debito pubblico oggi potrebbe essere un peso sul tenore di vita delle generazioni future:
… Sapendo che uno o entrambi dovranno essere tassati per ripagare il debito pubblico, Paolino e Carletto potrebbero pensare: “Chi me lo fa fare di lavorare così tanto, per poi dover dare gran parte delle mele che produco allo stato?”…
3) Preoccupa i mercati.
E qui si fa sul serio. Anche il non economista ha toccato con mano la serietà di questo argomento negli ultimi anni. La parolina “spread” dice qualcosa?
… Si potrebbe rispondere: se i mercati sono così sciocchi da pensare che l’Italia non sia in grado di restituire il debito o pagare gli interessi, affari loro. Non proprio. Una crisi del debito si riflette sulle banche, sulle imprese e sulle famiglie stesse. Le banche italiane sono piene di titoli del debito pubblico italiano: se questi ultimi perdono di valore, le banche vedono il loro capitale assottigliarsi, fanno meno prestiti, le imprese producono e assumono di meno, e le famiglie stesse, anch’esse detentrici di titoli del debito pubblico, consumano di meno…
4) Bisogna tenersi un cuscinetto per i tempi di vacche magre.
Questa è l’argomentazione più fondata.
… Si fa notare spesso che durante la crisi finanziaria il rapporto debito pubblico/Pil italiano è aumentato molto meno di quello di tanti altri paesi, come Regno Unito, Irlanda, Usa, che l’hanno usato prevalentemente per finanziare il salvataggio delle banche… Che cosa è successo? Questi paesi partivano da un debito pubblico molto basso, e hanno potuto permettersi di aumentare il disavanzo di bilancio (in Irlanda è arrivato a toccare il 35 per cento!) per combattere la recessione più grave del dopoguerra…
Bene, adesso valutiamo gli argomenti di chi ci invita a non preoccuparsi.
2
1) L’Italia ha l’avanzo primario di bilancio più alto del mondo.
L’avanzo primario è la differenza tra entrate uscite senza tener conto degli interessi. Detto questo, ciascuno vede che:
… l’ avanzo primario positivo è … una condizione necessaria per ridurre il debito. Ma non è una condizione sufficiente: perché il debito si riduca, l’avanzo primario deve poter pagare tutti gli interessi…
Eppure su un argomentazione tanto fallace ci gioca persino il ministero dell’economia:
… Sul sito del ministero dell’Economia si può trovare la seguente affermazione, nel contesto di un’analisi della politica di bilancio italiana: “Per apprezzare appieno lo sforzo prodotto dal paese bisognerebbe guardare al saldo primario. […] Ebbene l’Italia risulta il paese che ha mantenuto l’avanzo primario in media più elevato (1,1 per cento), tra i pochi ad aver prodotto un saldo positivo”.5 Questa affermazione è un po’ birichina…
L’ambiguità di questo “vanto” è resa bene dalla seguente storiella:
… Nel 1996 Giovanni ha comprato una casa che costa il triplo di quella che ha comprato John, e ha fatto un mutuo triplo. Negli anni successivi Giovanni è quindi costretto a risparmiare molto più di John, per ripagare il mutuo; infatti, Giovanni risparmia il doppio di John. Una persona che li abbia conosciuti nel 2015 e che non abbia visitato le loro case osserverebbe che Giovanni è molto più virtuoso di John. Ma le loro banche non hanno la stessa percezione: Giovanni ha scialacquato all’inizio per una casa stravagante, il fatto che risparmi il doppio di John non fa nessuna impressione sulle banche; anzi, dovrebbe risparmiare più del triplo di John per ripagare il mutuo nello stesso arco di tempo. Nonostante risparmi molto di più, per le banche Giovanni è quindi ancora molto più rischioso di John…
2) In Italia la ricchezza privata è molto più alta che negli altri paesi.
Di per sé l’affermazione è un po’ inquietante. E’ come se si dicesse: “poiché molti dei nostri contribuenti hanno avuto l’ardire di risparmiare e investire anziché consumare, in caso di necessità potremmo prendere da loro”
Ma a parte questi particolari, c’è da dubitare anche nel merito:
… Per lo più questo argomento si basa sulla maggiore propensione delle famiglie italiane a possedere case: in Italia il tasso di proprietà delle abitazioni è del 77 per cento, contro il 45 per cento in Germania. Ma a chi appartengono le case se non alle famiglie? Per esempio, a società di assicurazioni e immobiliari, che sono a loro volta possedute da famiglie. Quindi anche in Germania tutte le case sono, in ultima analisi, possedute da famiglie…
Misurare la “ricchezza” non è affatto facile e le stime possibili non confermano la percezione di chi avanza questo argomento:
… Non è assolutamente chiaro perché questa ricchezza totale dovrebbe essere più alta in Italia. Anche se è molto difficile misurarla, ci si può fare un’idea guardando a quanto hanno investito (nel senso della contabilità nazionale, cioè produzione di nuovi beni capitali) in passato l’Italia e altri paesi europei: la ricchezza totale di oggi, infatti, non è altro che la ricchezza totale di ieri più la somma degli investimenti intercorsi nel frattempo (meno il deprezzamento del capitale). Nel periodo 1991-2015, il tasso di investimento (cioè, il rapporto tra investimenti e Pil) italiano è stato del 20 per cento, il più basso tra i maggiori paesi dell’Eurozona, che in media ha investito il 22 per cento del Pil ogni anno. È difficile immaginare che, nonostante un tasso di investimento così basso, l’Italia abbia la ricchezza più alta di tutti…
Inoltre, quel che conta per i creditori non è tanto la ricchezza del paese, quanto la capacità del debitore di impadronirsene al momento opportuno:
… Dal punto di vista degli investitori, ciò che importa è la capacità di ripagare il debito, quindi il gettito fiscale totale. In questo senso, l’Italia non è messa particolarmente bene, per tre ragioni: ha una pressione fiscale già elevatissima, quindi non ulteriormente aumentabile; ha una grossa componente di economia sommersa, che, per definizione, non può contribuire al gettito fiscale; è notoriamente incapace di tassare la ricchezza. In molti altri paesi le tasse sulla ricchezza, principalmente sulla casa, sono una fonte importante di introiti, soprattutto per le amministrazioni locali; in Italia, sappiamo bene che la tassa sulla casa è la più impopolare. Se un paese ha una ricchezza privata elevata, ma non la può tassare, dal punto di vista della capacità di ripagare il debito pubblico questa diventa irrilevante…
CONCLUSIONE
Tra gli argomenti presentati alcuni non reggono, senonché nessun argomento dei “sereni” sembra reggere.