mercoledì 1 agosto 2018

SAGGIO La prima lezione di don Giussani sul senso religioso (come si è mutata dentro di me)

La prima lezione di don Giussani sul senso religioso (come si è mutata dentro di me)

Quella prima lezione l’ho metabolizzata per 34 anni finché si è trasformata in qualcosa di diverso. E’ diventata più prosaica, non potrebbe essere mai letta con profitto in nessuna Scuola di Comunità ciellina, si è probabilmente mutata in un banale buon senso che non interessa nessuno, ma è comunque rimasta (la stessa cosa non puo’ dirsi per le altre lezioni impartite in quell’Università). A mente libera, senza la preoccupazione di tradire o di travisare, dico apertamente quel che mi è restato dentro, espongo al pubblico ludibrio la striminzita pianta che ha fatto crescere quel semino destinato sicuramente a più grandi imprese, ma tant’è. Lo faccio poi nei limiti che impone la stilistica contemporanea, ovvero senza superare le cinquanta righe. E sempre nelle cinquanta righe ci aggiungo molto del mio.
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In quella prima lezione Giussani diceva che l’uomo è un essere che desidera l’infinito, e quindi destinato all’ insoddisfazione eterna. Noi uomini – e qui già sento che cominciano le interferenze – ci adattiamo a tutto e ben presto quel “tutto” ci lascia indifferenti, cosicché vogliamo di più. Potremmo anche avere un Picasso in tinello che nel giro di una settimana diventerebbe per noi invisibile.
L’errore fondamentale dell’ingenuo: “quando avrò di più, avrò meno bisogni”. No, stupido: “quando avrai di più, vorrai di più”. Il bisogno sembra crescere con il possesso, i poveri dovrebbero donare ai ricchi poiché tra noi sono loro i più “bisognosi”. 🙂
Vogliamo di più, vogliamo di più: la dipendenza è ovunque, non riguarda i drogati ma la natura umana.
Ora, le favole sono bugie che raccontano la verità e molti miti sono favole che raccontano proprio questa verità con cui Giussani esordiva: il vaso di Pandora, Adamo ed Eva, Tantalo… Forse per questo Giussani era tanto amante della letteratura (con relativa cotta per un Leopardi che citava a raffica).
Il problema è insolubile, ma perché esiste? Perché diavolo è così difficile essere appagati? Perché siamo creature imperfette. Noi cattolici pariamo di Peccato originale. Sul “perché esiste?” Giussani non insisteva ma io nel tempo ho insistito.
Insomma, la spiegazione più convincente che ho trovato sarebbe questa: tutti i vizi hanno alla loro base un bene, l’attrazione per il glucosio ci assicura calorie, anche se implica golosità. Il riposo ci garantisce un recupero di energie, anche se spesso sfocia nella pigrizia. L’amore per il rischio ci conduce a grandi imprese, ma anche ai tavoli del casinò. La curiosità ci garantisce conoscenza, ma anche molti guai. La rabbia ci assicura il rispetto degli altri, ma accende risse inutili. Eccetera: non siamo perfetti e il bene che accumuliamo nelle nostre dispense in parte marcisce assicurandoci, tra gli altri inconvenienti, l’ insoddisfazione perenne di cui si diceva. Il nostro cervello ha molte imperfezioni perché molto sofisticato, ma le imperfezioni possiamo vederle ovunque nei nostri organi: gli occhi, tanto per dire, vedono bene in molti casi ma in altri sono vittime di miraggi. Si chiama, ripeto, peccato originale, puo’ parlarne il religioso come lo scienziato, entrambi dicono fondamentalmente la stessa cosa, entrambi aderiscono alla medesima teologia.
Potremmo chiamarlo: problema del desiderio, per arginarlo le emozioni chiedono aiuto alla ragione. Come gestirlo visto che non possiamo eliminarlo? Mentre Giussani ti proponeva la sua via, la ragione te ne propone 5:
1. Aumenta continuamente i tuoi consumi.
2. Prendi coscienza del problema: la consapevolezza non risolve ma attenua la gravità del male.
3. Applicati a filosofie particolarmente versate su questo punto: stoicismo, epicureismo, buddismo…
4. Appartati limitando la tua conoscenza del mondo: cio’ che non si conosce non si desidera. Anche scegliere i giusti amici è importante (viene in mente la “compagnia” giussaniana).
5. Dirigi correttamente questo eccesso di desiderio. Per esempio verso la conoscenza, oppure verso la religione (la via privilegiata da Giussani e a cui verrà dedicata la seconda lezione).
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