venerdì 9 marzo 2018

Una certa idea di progresso

Una certa idea di progresso

Considero il progresso come qualcosa che migliora la nostra condizione ma nello stesso tempo registro quanto sia difficile da realizzare: il nostro intuito davvero non ci aiuta a imboccare la strada giusta. Certo, è meglio vincere la lotteria che rompersi l’osso del collo, ma non poi così tanto meglio come ci suggerisce il nostro intuito. Nel giro di un anno i vincitori di lotterie milionarie e i paraplegici saranno tornati al loro livello base di felicità, la mente umana è straordinariamente sensibile ai cambiamenti di condizione, ma non altrettanto sensibile ai livelli assoluti.
In generale è altrettanto sorprendente constatare la scarsa attitudine dei soldi a commutarsi in progresso. Lo capisci subito pensando ai tuoi antenati: sei proprio sicuro che – loro, mille volte più poveri di te – fossero davvero così straordinariamente più infelici di te?
Probabilmente la scala sociale (status) conta molto più della ricchezza disponibile, ma a che ci serve allora una società capitalista se l’arricchimento che ci garantisce grazie alle continue innovazioni non si trasforma poi in un reale progresso della nostra condizione?
Forse allora una società del genere è meglio  difesa puntando sulle diversità sociali che fa emergere più che per la ricchezza generata. In una società come quella capitalista, in fondo, ciascuno di noi puo’ trovare la sua nicchia e realizzarsi, almeno in parte. Mia nonna, tanto per dire, vinceva regolarmente la gara delle torte dell’oratorio, e questo la rendeva felice. Insieme agli affetti famigliari le bastava: aveva trovato una sua nicchia.
Se cio’ che conta è lo status piuttosto che il reddito, allora il capitalismo è un gioco a somma zero poiché il mio status cresce solo abbassando il tuo. Ma come tutte le cose “ovvie” forse anche questa triste considerazione puo’ essere falsificata. Quel che conta realmente per il mio appagamento, infatti, non è solo il mio status reale ma anche e soprattutto il mio status per come lo percepisco, finché ciascuno di noi puo’ costruirsi un suo sistema di valori alternativo è concepibile che il mio status – per come lo vedo io – sia superiore al tuo e al contempo il tuo – per come lo vedi tu – sia superiore al mio.
La gente si suddivide così in vari gruppi, e ciascuno di questi gruppi si sente particolarmente importante. I cattolici si sentono superiori ai buddisti, per esempio, altrimenti si convertirebbero al buddismo. E viceversa, i buddisti si sentono superiori ai cattolici, cosicché cattolici e buddisti possono convivere felici, contenti e convinti della loro superiorità. Ma non c’è bisogno di tirare in ballo i grandi sistemi per capire il concetto: se a Natale quando la famiglia estesa si ritrova io mi sento bene perché vinco alla tombola, questa mia soddisfazione non inficia la tua che, avendo la passione per la politica, trai le tue soddisfazioni discutendone da competente nel gruppetto che non gioca a tombola e che si apparta regolarmente vicino al caminetto. Al mondo ci sono un’infinità di preti, presidenti di associazioni, farmacisti, capi dei vigili urbani, piccoli editori, filodrammatiche locali, campioncine di pallavolo… che traggono grandi soddisfazioni dai primati che colgono nel loro gruppo e dal fatto di avere dei valori che collocano il loro gruppo in posizione privilegiata.
Se un prete cattolico dà un particolare valore alla religione cattolica probabilmente considererà la sua condizione di prete un privilegio, si riterrà “superiore alla media”, e cio’ lo renderà in qualche modo felice.
Inoltre, se noi non siamo particolarmente soddisfatti della posizione che ricopriamo nel nostro gruppo possiamo trasferirci in un altro in cerca di miglioramenti.
Ma restano dei problemi, il caso dei “trasferimenti” forse mi facilita nell’esposizione: se noi ci trasferiamo, chi stava sopra di noi nel gruppo che abbandoniamo ora avrà meno gente sotto e quindi anche meno soddisfazione, d’altra parte le persone che ci metteremo “sotto” nel gruppo in cui approdiamo peggioreranno la loro condizione. Viene il dubbio che il gioco a somma zero sia comunque inevitabile anche in una società diversificata per gruppi. A questo punto diventa chiaro che occorre un certo bias percettivo ma anche e soprattutto una pluralità di valori a livello individuale nel gruppo stesso che frequento, in questo senso anche un “gruppo” in cui sono solo, in cui non ho nessuno sotto di me, potrebbe darmi delle soddisfazioni in termini di originalità.
Tiriamo le somme. La società capitalista genera una spaventosa ricchezza anche se probabilmente gran parte di questa ricchezza non si trasforma in progresso, se così stanno le cose è inutile difenderla continuando a rimarcare questa sua caratteristica. Per fortuna si tratta di una società multidimensionale che esalta il soggettivismo, la diversità, il politeismo dei valori, è la società che offre maggiori possibilità di “conversione”, quella in cui è più facile fondare dei “gruppi”, trasferirsi tra “gruppi” oppure coltivare una propria originalità. Se fosse davvero così la società capitalista resterebbe comunque difendibile come portatrice di progresso.

http://daviddfriedman.blogspot.it/2006/10/economics-of-status.html
https://meteuphoric.wordpress.com/2012/07/29/fragmented-status-doesnt-help/#respond
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