sabato 25 giugno 2011

Fa balà l'occ

Il video della Salecl commentato nella discussione del post precedente ci rendeva dubbiosi sulle virtù della libera scelta.

Io, che confessavo la mia refrattarietà, poi, quando viro verso il pianeta musica, divento un talebano della “scelta”.

Per delibarla al meglio faccio di tutto per renderla bizantina.

Un esempio.

Cosa ascoltare questo week-end?

La rete, le catene dei negozi, gli amici, la città… ci sono una marea di anfratti che nascondono musica valorosa, ma questo, anziché galvanizzare, intimidisce i tiepidi che ritirano le antenne pensando al tempo che scarseggia e a come ci vorrebbero cento occhi quando il padreterno, quel furfante, con loro si è limitato a due, e con quei due non vedono altro che immondizia.

Casey Weldon neat arte quatrocchi

Non sono di quella razza, mi metto al lavoro di prima mattina, so in anticipo che esiste musica innovativa e di qualità disponibile senza cacciare una lira.

Dalla risistemazione neuronale notturna, qualche nome spunta con regolarità al momento del caffélatte.

Mai sentito parlare di… come si chiama… ah, sì… Enrico Gabrielli?

E’ un ottimo musicista che ha collaborato anche con primarie punk-rock band della scena milanese.

Se vi piacciono le selve di clarinetti sovraincisi, è il vostro uomo. Ultimamente ha rifatto a suo modo Reich, Gabrieli e Andriessen.

Non vado oltre visto che le musiche sono gratuitamente scaricabili qui.

Sono anche presentate in modo vivido rendendo accessibili una serie di e-mail che all’ epoca il tormentato autore inviava a non so quale mentore.

Aggiungo solo che in passato avevo corteggiato la Sacrae Symphoniae in versione gabriellana per farne la mia soneria.

Il progetto sfumò: Giovanni Gabrieli fu il più grande maestro dell’ antifona veneziana cinquecentesca; il giovane rielaboratore sfrutta al meglio le qualità di una musica del genere facendola rimbalzare rocambolescamente per le casse.

Ma ahimé, un simile gioco di botte e risposte va perso nel minuscolo anfiteatro del mio cellulare, e constatare il depotenziamento dell’ originale progetto ad ogni squillo telefonico mi deprimeva troppo.

[Per la soneria estiva ripiego sul riff iniziale di Utopia (un summer hit da sballo)]

A Gabrielli si potrebbe affiancare un terribile coetaneo d’ oltreoceano: Muhly; ha tutta l’ aria di costituire un picco non effimero nel panorama contemporaneo.

Seeing is Beliving non passa certo inosservato: il pezzo omonimo, voglio dirlo, è una sequela di prelibatezze che dura 25 minuti 25, le orecchie ne escono esauste e appagate come… dopo una notte d’ amore (scusate la metafora dovuta alla fretta).

Ma soprattutto è interamente ascoltabile/scaricabile qui. (*)

mi chiedo ora se una mole del genere di musica non sia eccessiva per consentirci di entrare in intimità con lei nello spazio limitato di un week end?

Già, forse è proprio così: bisogna scremare le pepite con scelte a raffica che selezionino ulteriormente il materiale!

Wow, proprio quel che non vedevo l’ ora di fare: scegliere!

Dopo un ascolto, butto lì i fiori colti dal mazzo:

- Gabrielli/Reich: New York Counterpoint

- Gabrielli/Gabrieli: Sacrae Symphoniae

- Enrico Gabrielli: Matematica Naif

- Nico Muhly: Seeing Is Believing

- Nico Muhly: Motion

- Nico Muhly: Bow Thine Ear

Ma non basta. Per fare un disco occorre anche un ordine non casuale!

Ottimo pretesto per l’ ennesimo ascolto. Al fine, ecco la mia sfilata:

1. Nico Muhly: Motion

2. Gabrielli/Gabrieli: Sacrae Symphoniae

3. Nico Muhly: Bow Thine Ear

4. Gabrielli/Reich: New York Counterpoint

5. Nico Muhly: Seeing Is Believing

6. Enrico Gabrielli: Matematica Naif

Ormai è tardi e non vedo al momento come raffinare ulteriormente il setaccio; dobbiamo abbandonare il vasto mare della rete, purtroppo il tempo delle scelte è scaduto. Non resta che accingersi all’ ascolto.

sound enatching

Già che siete qui non vi lascio a bocca asciutta, ecco l’ incipit del disco appena assiemato:

 

(*) Ho notato che il tempo disponibile per scaricare l’ intero disco di Muhly è scaduto; bene, vi tolgo dall’ imbarazzo della scelta.

Chiamatemi per i play off!

Se devo comprare un maglione, io vado al bar, la Sara in negozio: mi chiama al cellulare solo quando si disputano i play off! Ovvero, quando la scelta è ristretta a due/tre esemplari.

Quindi, capisco bene chi non vuole avere niente a che fare con le scelte. 

 

In passato (prima di conoscere la Sara) ero anche un fautore del matrimonio indiano quello in cui i genitori scelgono peri figli. Facevo anche delle reprimende ad alto volume rivolte a mia mamma (sbigottita, lei quando si sbigottisce ride) per la sua deprecabile passività!

Però distinguerei.

*** scelta come rischio

Tutti noi - chi più chi meno, le donne più degli uomini – siamo avversi al rischio, quindi soffriamo le scelte.

Se però mi guardo dentro, mi accorgo che in certi campi (quelli che più mi appassionano) la scelta è una ragione di vita: l’ attendo con trepidazione assaporandone ogni istante.

Falkenstein conferma: in borsa di solito ci si fa pagare per sopportare dei rischi, ma poi, non si sa come mai, pur di investire su certi titoli particolarmente rischiosi, si paga. La speranza trasforma l’ avversione al rischio in una propensione.

Anche gli psicologi concordano: dietro una felicità c’ è quasi sempre una libera scelta con la quale ci realizziamo.

Distinguerei quindi gli ambiti prediletti da quelli indifferenti. Sia l’ opzione gregge che quella dado sono a disposizione per neutralizzare lo stress da scelta nel secondo ambito.

*** scelta come discriminazione

Quando scegliamo ci differenziamo. Per l’ invidioso è un problema.

In più lo facciamo consapevolmente, quindi attiriamo il giudizio altrui, il che amplifica il fastidio dell’ invidioso.

Se la natura umana risiede nell’ invidia (il che non è da escludere), limitare la libera scelta puo’ essere produttivo.

E’ la conclusione del mio post: perché i nuovi profeti del comunismo non puntano di più sull’ invidia!

Invece, dopo aver posto le premesse, ci si perde in speculazioni sull’ alienazione, la falsa coscienza ed altri esoterismi assortiti.

venerdì 24 giugno 2011

Why do low-income individuals often oppose redistribution?

Invidia.

Invidia e avversione per i pochi che stanno “dietro” e che potrebbero usufruirne.

Altra domanda: perché i benestanti, nonostante cio’, smaniano per redistribuire la ricchezza prodotta?

Ipotesi (mia): invidia.

Invidia e voglia di colpire chi sta davanti a loro.

La mamma che voleva il figlio dottore

La secca volatilità delle favole di Esopo muove a un riso svelto, pronto a passare oltre, sollecito nel trasferirsi dalla pagina alle incombenze quotidiane.

Nell’ era della comunicazione in streaming 24 ore su 24, un raro esempio in letteratura di brevità conclusa.

Abbiamo a che fare con uno schiavo (frigio), e, si sa, la rapidità è difensiva: si allea bene con la prudenza, favorisce lo stare in guardia.

Lo schiavo disdegna il comunismo, come disdegna ogni vasto progetto; ambisce invece al piatto di minestra, e se proprio si abbandona a qualche chimera, sogna il figlio dottore.

Per indirizzarlo meglio lo esorta a condotte micragnose. Ad un’ empietà ragioniera, da mantenersi defilata. Quando poi gli eventi dovessero volgere al peggio, si gira pagina con una rapida imprecazione.

Omero andava matto per i nomi propri, Esopo esalta l’ anonimato: molti ruoli, nessun personaggio; molte pedine, nessun sentimento. Tutto è tagliato con l’ accetta per infilarsi al meglio sulla minuscola ribalta e per un tempo molto inferiore al quarto d’ ora.

Daniel K Sparkes

Nelle sue storie sparagnine i grandi e gli umili vivono in arcaica contiguità dentro un anonimato che livella tutto in un’ unica grande plebe.

Quando le brevi vicende narrate, già di per sé essenziali, si asciugano ulteriormente, a volte superano una soglia magica e si trasformano in enigmi fulminei che ci guardano taciturni dalla pagina.

Ecco, in questi casi noi cessiamo di capire. O meglio, capiamo solo che il commentatore postumo (*) non ha capito niente.

Esopo – Favole – BUR (introduzione - che vale l’ acquisto - di Giorgio Manganelli)

(*) Al termine di ogni favola è aggiunta postuma una morale.

Comunisti naturali (follow up del precedente)

Diana, Vlad, vi assilla il punto 2? ma allora Cimatti vi darà delle soddisfazioni: per lui la natura umana è infinitamente flessibile. Dietro tanta biologia, in questi scritti cova in realtà la classica posizione culturalista.

Un uomo puo’ diventare donna e viceversa, un bambino e un adulto possono scambiarsi i ruoli. Tutto si puo’ fare, basta che la comunità lo voglia.

Una flessibilità del genere serve a concludere che persino il comunismo è possibile.

Tutto cio’ ci riporta all’ ultimo capitolo. L’ ho ultimato da poco ed è inutile faccia un altro post, riporto qui qualche considerazione.

Ripeto solo un concetto importante, non bisogna impressionarsi quando Cimatti parla di “biologia” (o natura). E’ un semplice rinvio al concetto di “necessità”.

Ai tempi di Marx andava di moda la Storia e si parlava di necessità storica. Oggi va di moda la scienza e si parla di necessità biologica.

Non farlo ti emarginerebbe ancora di più dalla comunità dei filosofi, e questo è un libro che già emargina parecchio il suo autore.

Veniamo al capitolo finale del libro.

***1

Si comincia dicendo che il comunismo è un’ utopia, anzi, è l’ utopia per eccellenza. Ma poiché la natura umana è infinitamente flessibile e sempre proiettata verso il possibile, cio’ fa del comunismo lo sbocco naturale dell’ agire umano.

Il comunismo è sempre oltre rispetto a cio’ che si realizza, è dunque sempre nella categoria del possibile. D’ altro canto non è mai impossibile visto che la natura umana puo’ sempre modificarsi coevolvendo con l’ ambiente che trasforma.

Capito? Ebbene, io non sono un pragmatista, ma qui rimpiango un po’ del sano pragmatismo di diana.

***2

Si lavora per consumare (1) o si consuma per lavorare (2)?

Cimatti, da buon marxista, prende (2): il lavoro è l’ essenza dell’ uomo (attenzione, lui non direbbe mai essenza).

Altra domanda: che bisogno soddisfa l’ “oggetto lavorato”?

Noi pensiamo subito al consumatore. Ma questo solo perché il capitale parla attraverso i nostri corpi! In realtà il lavoratore va messo davanti a tutto.

L’ oggetto lavorato soddisfa i bisogni… del lavoratore!

Tutto questo ci sembra il mondo gambe all’ aria. Sono idee strane e, semmai, molto remote; ma pensiamo solo all’ incipit della nostra Costituzione e all’ area culturale da cui proveniva chi l’ ha redatto! 

Poiché l’ alienazione si realizza quando s’ invertono i mezzi con i fini, e considerata la catena causale ipotizzata dal marxismo, si capisce meglio perché Cimatti reputi il capitalismo un sistema alienante: lì ci sono dei lavoratori che producono per soddisfare le esigenze dei consumatori, tutto il contrario di quanto afferma l’ ideologia!

***3

Come si giunge a stimare il valore oggettivo di un bene?

Cimatti rispolvera la vetusta teoria del valore-lavoro (v/l): un bene vale per il lavoro che incorpora.

Questa teoria ha un inconveniente: ammettiamo che io dopo lunghi studi, intraprenda lo scavo in giardino un buco profondissimo che successivamente, come progettato, mi affretterò a ricoprire.

Conseguenze: io affaticato ma creativamente soddisfatto; mia mamma incazzata come una iena.

Secondo la teoria v/l, il sudore speso sulle carte e quello versato al badile danno alla mia opera un enorme valore oggettivo che qualcuno dovrà pur ricompensare.

Insomma, la teoria v/l non sembra in grado di distinguere tra gioco e lavoro.

Lo dico rispettosamente, ma a me questo sembra un inconveniente non da poco. E a voi?

In realtà, siccome i marxisti vivono sulla terra, la distinzione la fanno e al lavoro/giocoso contrappongono il cosiddetto lavoro salariato, che considerano alla stregua del diavolo in terra.

[… nella storia del pensiero la teoria v/l fu spazzata via dal cosiddetto marginalismo… tornare a parlarne è un po’ come vedere girare nel traffico la vecchia cinquecento…]

***4

Conclusioni: 1. l’ uomo è sempre proiettato verso il possibile e verso la creatività, 2. il fine della vita umana sta nel lavoro; 3. il comunismo valorizza al meglio il lavoro creativo (gioco) poiché, grazie a v/l, non lo vincola alle esigenze altrui; 4. inoltre, per quanto improbabile, il comunismo non è impossibile data la natura infinitamente flessibile dell’ uomo. Quindi: 5. il comunismo realizza al meglio la natura dell’ uomo.

Con uno sforzo non da poco posso comprare 1. Non chiedetemi di più.

Il resto non me lo faccio rifilare neanche in stagione di saldi ideologici.

lo so, magari Cimatti ha ragione, attraverso il mio corpo parla il Capitale.

Ma al momento il suo esorcismo non ha dato i frutti sperati. O forse sono un caso disperato di malafede.

 

Libertarianism A-Z: test scolastici

Meritocrazia e test non fanno poi così rima come potrebbe sembrare, pe l meno se sono somministrati in modo sistematico.

Qualcuno pensa che rendano le scuole comparabili e le scelte delle famiglie più informate.

In realtà le scuole sono da sempre “comparate” dalle famiglie e i giudizi quasi sempre ben calibrati: si sa quali sono i professori e le scuole migliori. Se proprio si vuol far pesare la scelta delle famiglie, molto meglio i voucher.

E’ l’ eccessivo ossequio ai sindacati che si riflette poi in una poco flessibile libertà di assumere e licenziare che impedisce la competizione tra plessi scolastici.

Inoltre sull’ esito dei test bisogna andarci coi piedi di piombo:

1. Non catturano tutto, e forse nemmeno l’ essenziale.

2. Uniformano gli sforzi verso il basso e i metodi one-fit-all.

3. Favoriscono il teaching to the test.

giovedì 23 giugno 2011

Libertarianism A-Z: cash o voucher

L’ aiuto via cash massimizza le scelte del beneficiato ma consente anche cattive scelte.

la mentalità libertaria ritiene che il beneficio sopravanzi il costo, tanto più quando il voucher o il bene ricevuto puo’ essere rivenduto.

liberalism A-Z: povertà

Molti ritengono che il governo debba occuparsi dei poveri perché la loro triste condizione è dovuta più a sfortuna che a pigrizia.

In parte questo è vero e, infatti, in parte del problema si è da sempre occupata la carità privata.

Una diffusa religiosità era la fonte di una naturale generosità: qualcuno ha ammazzato questa risorsa preziosissima, questo qualcuno sono i programmi pubblici di lotta alla povertà.

La carità pubblica ha poi dei costi suoi propri: disincentiva il lavoro, per esempio.

In secondo luogo fomenta l’ invidia e la richiesta d’ aiuto da parte dei “meno poveri” in un crescendo che instaura la cosiddetta “cultura del piagnisteo”: chi più piange, più ottiene. Un sintomo di questa degenerazione è il significato vieppiù dilatato assunto dal termine “povertà”.

C’ è poi il risentimento di chi dà senza voler dare nei confronti di chi riceve. Un risentimento che corrode il collante della società.

Conclusione: se oggi la condizione dei poveri è più dignitosa non possiamo imputare meriti alle politiche specifiche quanto al fatto di vivere in un mondo enormemente più ricco rispetto a ieri.

Libertarianism A-Z: crimine

Per combattere la criminalità abbiamo bisogni sia di beni pubblici che di beni privati.

Tra i primi annovero senz’ altro una polizia nazionale.

Ma ci sono anche i secondi: lucchetti, allarmi, cani da guardia, armi… e anche i tribunali.

Sì, anche i tribunali possono essere in qualche modo privatizzati, proprio come si fa con l’ arbitrato in ambito civilistico.

E il pubblico ministero? Qui si aprono discussioni che non possiamo seguire. Qualcuno pensa di negoziare il diritto all’ accusa. Ancora più praticabile un’ estesa depenalizzazione dei reati.

Ad ogni modo, come minimo, un voucher dovrebbe avvantaggiare chi utilizzando servizi privati non si avvalga di quelli pubblici.

Da ultimo la criminalità organizzata. Su cosa campa? Liberalizzare certe attività è il miglior modo per colpirla.

La carestia delle parole

Felice Cimatti – Naturalmente comunisti – Bruno Mondadori

Il libro è difficile, ve lo dico subito. La densità filosofica dei primi capitoli potrebbe anche scoraggiare il bagnante estivo.

Quel che non si fatica a capire è con chi ce l’ ha:

… gli economisti, oltre ad essere in malafede… sono completamente infettati dal capitale, che letteralmente parla attraverso i loro corpi…

Devo ammettere che fa una certa impressione discorrere con chi ti ritiene “persona infetta” e in malafede.

Chissà se esiste una tecnica particolare per intervistare i pupazzi che hanno il “capitale” come ventriloquo. Anche le “infezioni” richiederanno distanze minime. Sicuramente c’ è una contromisura per tutto, anche se la malafede cronica potrebbe dare qualche grattacapo.

L’ aggressività di Cimatti ha comunque l’ effetto di trasformare in urgenza la lettura del suo libro, qualcuno potrebbe pensare ad un’ oliata tecnica di marketing.

Fortunatamente è altrettanto chiaro sulle tesi propugnate:

… la vita vissuto sotto il sistema economico che chiamiamo capitalismo è innaturale… la vita naturale… è quella che il filosofo Karl Marx chiamava comunismo…

Per il conduttore di fahrenheit, tanto per cominciare, il capitalismo non è solo alienante – questo lo dice anche il Papa, che non si sente un comunista naturale – ma è necessariamente alienante.

L’ uomo, ipnotizzato e reso passivo dallo spettacolo della “merce”, entra totalmente al suo servizio. Non servono moniti per far cessare l’ inganno, qualcuno deve semplicemente spegnere la lanterna magica e farla finita. Solo così intaccheremo la fede più retriva che esista: quella nel denaro.

In secondo luogo, nella società capitalista far soldi diventa che lo si voglia o no un pensiero fisso, cosicché il sistema sviluppa presto una sua impermeabilità a qualsiasi etica.

[… anche all’ etica borghese?…]

Sono affermazioni forti, ma per fortuna testabili: misuriamo se le cose stanno davvero così! Benjamin Friedman, che c’ ha provato, è giunto a conclusioni opposte: la ricchezza innalza lo standard etico e la consapevolezza del soggetto.

Ma Cimatti, almeno inizialmente, le dà per scontate. E’ più interessato a ricostruire le ragioni di un simile sfacelo.

E le ragioni sarebbero biologiche.

Anche per questo, parlando con Vlad, mi ero illuso che considerazioni fatte altrove tornassero buone in questa sede.

Senonché, siamo o non siamo in Europa? E allora rassegniamoci, le cose sono molto più complicate:

… la natura umana è qualcosa di troppo importante per lasciarla solo agli scienziati…

Coerentemente con questa affermazione, passando alla sostanza, la biologia si defila e cede il passo alla filosofia; è lei che dovrà fare sintesi e vedersela con i maledetti economisti!

Anzi, l’ approccio sociobiologico standard diventa presto un nemico da rintuzzare. Wilson e Pinker sono considerati, ma per essere di continuo riveduti e corretti in chiave filosofica.

Cosicché, la natura umana non puo’ essere circoscritta da alcuni istinti tipici, al contrario:

… la natura umana sta nella capacità dell’ uomo di pensare il possibile

Qui la curiosità aumenta, perché se c’ è un sistema che privilegia la speranza – anche sulla felicità – questo è il sistema capitalistico.

Al punto che in passato è finito ripetutamente sotto accusa per i processi di distruzione creativa che innesca, per i stressanti cambiamenti continui che fomenta. Ma in questa requisitoria, sembrerebbe sia chiamato sul banco degli imputati per la palude stagnante e senza prospettive in cui ci costringe a vivere.

Tuttavia, a ben pensarci, forse il comunismo gode in effetti di un privilegio: quello di essere praticamente impossibile da realizzare, e quindi sempre pensabile come possibile in ogni situazione concreta.

Non avete l’ impressione di un leggero capogiro?

Tra le tante che mi lasciano dubbioso, cerco ora rapidamente di venire ad un paio di questioni nevralgiche. La prima è ben colta da chi si pone a questo incrocio.

Sono gli uomini che danno vita a relazioni o è la relazione che dà vita agli uomini?

Sono le parti che fanno il contratto o è il contratto che fa le parti?

Cimatti, sotto l’ egida di Durkheim, rifiuta l’ individualismo metodologico e prende la seconda via.

Io, con Weber, la psicologia evoluzionista, quasi tutte le scienze sociali contemporane e il buon senso, sarei più propenso a prendere la prima. Tuttavia, di fronte a palesi inconvenienti, non mi farei problemi a saltare il fosso.

Ma dove sono i palesi inconvenienti? Li vedo semmai sulla sponda opposta, là dove mi si chiede di approdare.

Ricordo, tanti anni fa, un bel dibattito su questo punto; allora Cimatti avrebbe avuto come formidabile alleato il guru della nuova destra Alain De Benoist. Un caso? Non penso, di sicuro un inconveniente!

[Parentesi: anche l’ antropologia cristiana ondeggia pericolosamente su questo crinale quando comincia a discettare in modo ambiguo sulla distinzione tra individuo e persona. Poi, fortunatamente, ciascuno riconosce che nel giorno del Giudizio staremo a quattr’ occhi di fronte al buon Dio, e così la concezione individualista s’ impone per forza di cose…]

La relazione, il contratto… tutta roba che per essere realizzata ha bisogno di una lingua, ovvero di un bene che noi riceviamo dall’ ambiente. Su questo aspetto il capitalismo, secondo Cimatti, sarebbe cieco:

… la lingua come prodotto di un singolo individuo è un assurdo… ma altrettanto lo è la proprietà privata delle altre risorse (pubbliche)…

Detta così sembrerebbe che Tremonti voglia privatizzare gli aggettivi. Il che effettivamente sarebbe assurdo.

C’ è una bella differenza tra la parola “bicicletta” e la mia bicicletta.

La mia bicicletta è una e, se permetti, la uso io. Visto che se la uso io non la usi tu (e viceversa), urge una regola.

La parola possono usarla tutti, persino in un regime capitalista. Possiamo usarla anche tutti insieme contemporaneamente. Qui non serve una regola che governi le precedenze.

Se alla ruota della fortuna qualche “speculatore” compra una vocale, nessuno si preoccupa della possibile incetta. Ciascuno di noi ha con sé tutte le vocali che gli servono. Non serve un referendum per stabilire che le parole siano gratuite. Il capitalismo è un metodo per affrontare la scarsità, parlando della lingua siamo fuori dal dominio che si pone.

Un altro passaggio stimolante:

… io esisto semplicemente perché, prima di me e senza alcun mio merito, una precedente comunità mi ha fornito i mezzi materiali e linguistici per diventare umano…

Prima osservazione: di sicuro il Cioran che sta leggendo Diana trasformerebbe quel “senza alcun mio merito” in un “senza alcuna mia colpa”!

Ma a parte le considerazioni parossistiche, bisogna riconoscere che l’ ambiente in cui abbiamo vissuto condiziona la nostra personalità.

L’ ambiente ci condiziona per il fatto stesso di esistere, l’ isolamento, in questo senso, è pensabile solo a livello metafisico.

SOBIL

Ma questo comporta forse degli obblighi da parte di qualcuno?

Affinché nasca l’ obbligo, la questione del merito è centrale. A chi va attribuito il merito che io non ho?

Merito e colpa richiedono l’ esistenza di un’ intenzione. Ma il processo evolutivo è cieco, non esiste intenzione, solo fortuna, quindi per i frutti che produce non esistono meriti da premiare né colpe da punire.

Certo, il figlio è riconoscente verso i genitori. Il credente ringrazia Dio. Ma lì è presente un’ intenzione, una provvidenza; invece, dal puro e semplice condizionamento, come potrebbe mai nascere un obbligo giustificabile con la premiazione di un merito?

Comunque sento che presto parleremo di atomismo sociale, speriamo che lo si faccia con le dovute avvertenze.

***

Per ora mi fermo qui. Sebbene gli argomenti non sfavillano quanto le tesi (che grazie alla loro radicalità s’ impongono meglio all’ attenzione), la lettura è stata una buona occasione per ripassare Wilson, Pinker, Chomsky; per rispolverare Hobbes e Durkheim, per riesumare il cadavere di Marx, e anche per scoprire un autore a me sconosciuto: Gehlen.

Sono a metà del quarto capitolo e il libro, perorando un generico comunitarismo, avrebbe potuto intitolarsi anche “Naturalmente fascisti”, ma il quinto e ultimo capitolo (“Comunismo”) forse ha qualcosa da dire in merito. 

***

A conclusione lasciatemi fare una piccola postilla e poi non vi annoio più.

Altrove ci chiedevamo “perché gli intellettuali stanno a sinistra?”; forse perché cause improbabili richiedono argomenti contorti che, se visti sotto una certa luce, sono a loro modo sofisticati.

Chiudendo il libro sento che questa ipotesi viene in qualche modo corroborata.

Eppure nel caso di specie esistono argomenti semplici che scuotono in modo più efficace le mie certezze di apologeta del capitalismo pronto alla conversione.

Eccone uno: l’ uomo (più che egoista, razionale, aperto al possibile…) è fondamentalmente invidioso. Già oggi molti fenomeni riscontrabili nell’ economia di mercato sono spiegati al meglio valorizzando il ruolo dell’ invidia. Perché il neo-comunismo punta così poco sul sentimento verde?

mercoledì 22 giugno 2011

L’ inconveniente Gettier

Gettier con un articolo di tre pagine mise in crisi gli epistemologi.

Si riteneva che "conoscere" equivalesse a sapere che una certa cosa era vera quando questa cosa era vera e si era giustificati a credere alla sua veirutà.

Gettier mostra che anche se c' è 1) credenza 2) verità e 3) giustificazione, non si puo' parlare di conoscenza.

Alternative?

Forse l' alternativa migliore consiste nel considerare la conoscenza un processo anziché uno stato:

1) io credo a X (fino a prova contraria) perché alle mie facoltà X appare come vero

2) mi si presenta una prova contraria

3) rintuzzo la prova contraria e torno a credere a X (fino a nuova contraria) oppure accetto la prova e credo a non-X (fino a prova contraria)

In questo processo non esiste una netta distinzione tra credere e conoscere.

Se però ci accontentiamo potremmo dire che chi conosce s' impegna a seguire un processo (quello sopra descritto) a cui chi crede si disinteressa.


Libertarianism A-Z: protezione civile

E’ giusto che il governo intervenga nelle emergenze a seguito di disastri naturali. Il problema è che spesso non si limita a questo trasformandosi in un vero e proprio assicuratore.

Poiché taluni disastri sono frequenti e in buona parte prevedibili, cio’ è fonte di cattivi comportamenti.

Abusivismo, incuria del territorio, tutto diventa sensato: in caso le cose vadano male si riscuoterà l’ assicurazione della Protezione Civile.

Chiudo facendo rilevare che se esiste un ente che si dedica alle emergenze, le emergenze si moltiplicheranno al fine che si moltiplichino gli affari. Teoria? No, cronaca, specie in Italia.

La cosa migliore è limitarsi all’ emergenza dell’ immediato, quella vera, quella nella quale ci sono ben pochi affari da concludere.

Genesi dell’ ipocrisia

Beati i poveri di spirito, dice l’ evangelo, e mi sia consentito d’ interpretare questa beatitudine come una maledizione contro l’ ipocrisia.

Poiché a una simile invettiva nessuno oserebbe opporsi, cerco di estendere il dominio della maledizione nella speranza di fomentare un fertile disaccordo.

Da dove nasce l’ ipocrisia, a chi e a cosa puo’ essere imputata?

Per abbozzare una risposta mi faccio aiutare da un sommo conoscitore di epoche in cui l’ ipocrisia trovò la massima fioritura:

[Giovanni Macchia – La scuola dei sentimenti. Il teatro francese sotto Luigi XIV – Editori Riuniti]

Dopo l’ ascolto del maestro, l’ impressione è che nella genesi sia in qualche modo implicata un’ attenzione spasmodica al linguaggio, un’ attenzione che, non lo nego, nella sua fase iniziale puo’ avere anche intenti nobili.

Il lato lunare delle parole sopravanza sempre più quello solare, si scopre che l’ ombra è altrettanto feconda che la luce, se non di più.

La comunicazione guadagna lentamente il centro della scena.

C’ è una sorta di insana ossessione per i sentimenti risvegliati dalle sfumature espressive. Nel linguaggio si confida molto, al punto da vederlo come uno strumento di governo (politically correct?).

Lo si analizza e lo si viviseziona innamorandosi di dense concettosità che fanno tremare chi è chiamato ad aprire bocca: costui sa bene cosa dirà ma è totalmente all’ oscuro di cosa segnalerà.

La parola è cesellata in modo estenuato. Un’ opera alacre il cui prodotto finito sono delle vere e proprie maschere da mettere o togliere a seconda delle evenienze.

Con l’ avvento dei mafiosetti, le strizzate d’ occhio abbondano, le polisemie si moltiplicano e i sensi vengono continuamente arricchiti, rimpolpati, appesantiti e resi problematici.

Il disinteresse o lo scetticismo per i riferimenti esterni fa assurgere a capolavoro l’ ornamento e la cornice. Siamo presto circondati da esperti che dicono e spiegano troppe cose. Indagatori schematici chiamati a squadrare la giungla.

Baubotanik, or botanic architecture

Prende piede il gusto per il difficile (cosa segnala quel sorrisetto? a cosa allude la grinza sul naso?)

La carta millimetrata avvolge tutto, la spigolosità del reale viene smussata dall’ analisi, le cose sembrano scomparire, il loro gaio fracasso sfuma, si giace su una coordinata e non più nel “qui ed ora”, il territorio si dissolve intorno ai nostri piedi.

Resta solo la mappa contornata dai suoi esegeti che, rinchiusi in una cella astratta, s’ impastoiano nell’ infinito dibattito su segni e parole.

Tutta la metamorfosi del reale si svolge al chiuso: l’ asfittica aula del professore, l’ arida mente di uno spin doctor (Mazarino? Rondolino?). Manca il tempo per vivere e sperare, quando si è chiamati ad interpretare.

L’ ermeneuta, nel suo lento discorso, espone la ricetta per ottenere un “tono medio” in grado d’ insinuarsi in una classificazione precedentemente stilata e che sembrava definitiva.

Qualcun altro è destinatario della sottile consulenza, ma il vero divo è lui. Fa niente se pochi capiscono, lui parla per un’ elite e presto parlerà solo per il Re.

Il sentimento è visto come un punto debole da proteggere o da sfruttare; è una realtà gesuitica in cui vince chi governa al meglio il gioco del simula et dissimula.

Il sentimento e l’ istinto esistono solo in rapporto alla ragione che li scopre, che li scruta e li ingigantisce. Poi li usa con raffinata astuzia. Talmente raffinata da non saper evitare polveroni moralistici in cui denunciato e denunciante si confondono.

***

A questo punto parte la difesa d’ obbligo dell’ ermeneuta: non sono io barocco, è il mondo ad esserlo.

Dici?

Io e l’ evangelo pensiamo invece che potrebbe esserlo molto meno se solo indirizzassimo i nostri sforzi altrove (betting, not talking) anziché impegnarci in una schermaglia linguistica destinata all’ escalation entropica.

martedì 21 giugno 2011

Libertarianism A-Z: TV e radio

Molti sostengono che il governo debba possedere un canale televisivo e/o radiofonico che trasmetta programmi di qualità. Ne sappiamo qualcosa noi italiani cresciuti con Mamma Rai.

Ma chi decide quali sono i programmi di qualità?

Dopo non aver risposto alla domanda, constatiamo mestamente che tutti i media pendono a sinistra e i media governativi ancor di più. Come chiedere a un conservatore di pagare lo stipendio a un anchor man liberal la diffusione delle cui idee ritiene altamente nocive? Se la prima domanda era difficile, questa è impossibile.

Chiudo dicendo che anche il privato sa produrre qualità, gli esempi non mancano, a partire da History Channel.

Libertarianism A-Z: effetto serra

La lotta contro il riscaldamento globale infervora la politica del nostro tempo, forse perché fiuta l’ affare, molto “rosso” ieri in circolazione ieri e oggi non più presentabile si è ridato una spruzzata di “verde”.

Il fatto è che dietro ai sociologismi c’ è poi la questione di sostanza. Gran parte del merito è in mano alla scienza: quanto si sta scaldando il pianeta? In che misura ne sono responsabili le attività umane?

Quand’ anche però i precedenti interrogativi fossero appianati, i problemi più grossi della faccenda resterebbero intocchi.

Come calcolare le conseguenze del riscaldamento? Dopotutto, molti posti del nostro pianeta non sono accoglienti perché troppo freddi. Altri, sebbene molto caldi, sono stati resi ospitali.

Buona parte dell’ effetto serra, poi, è responsabilità dei governi. Con che coraggio si impedisce alle aziende che forniscono energia di tariffare in base ai periodi innalzando i prezzi durante i picchi? Con che coraggio esistono ancora parcheggi gratuiti e strade senza pedaggio? Prima di inaugurare nuove politiche, vediamo di far cessare quelle cattive.

C’ è poi la questione delle politiche concorrenti: in termini umani Kyoto vale più di una campagna contro la malaria? A occhio e croce direi proprio di no.

Come dicevo, tra gli ambientalisti ci sono molti riciclati di cui è lecito dubitare. Prendiamo le riserve contro soluzioni improntate al geoengineering, si ha la netta sensazione che siano avversate per il semplice fatto che non costringono la popolazione a rivedere iil suo stile di vita.

Libertarianismo A-Z: finanziamento campagne elettorali

S’ invoca un limite di spesa nel finanziamento delle campagne elettorali al fine di porre un argine a candidati super potenti.

Ma i soldi non sono voti e convertire i primi nei secondi è tutt’ altro che agevole.

Misurando la cattiva reputazione dei “ricchi” nelle democrazie moderne si ottiene un indice di come i soldi influenzino le opinioni. Per non parlare delle onnipresenti politiche redistribuite.

Ma è davvero così disdicevole investire nella politica? A volte l’ unico effetto che si ottiene è quello di far pesare di più un’ opinione informata rispetto al disinteresse generalizzato. Effetto tutt’ altro che malvagio.

E poi, anche se dei limiti ci fossero, come farli rispettare? L’ impresa non è agevole. In questi casi la trasparenza sopravanza la proibizione.

Libertarianism A-Z: discriminazione

Senza il governo sembra che la discriminazione non possa essere combattuta.

In effetti sul mercato esiste un gap in relazione a sesso e razza.

Ma la discriminazione sembra contare ben poco, altri sono i fattori in gioco, per esempio, le donne sembrano preferire lavori a basso valore aggiunto (insegnamento, cura…). Si tratta di fattori culturali e ogni popolo ha la sua cultura.

Cosa resta delle politiche discriminatorie? La punizione inflitta ai migliori.

I “migliori” dei gruppi penalizzati sono esclusi ingiustamente. I “migliori” dei gruppi avvantaggiati sono sottoposti a pregiudizio immeritato visto che ce l’ avrebbero fatta anche senza spintarelle.

Il mercato rende molto costoso discriminare senza gli inconvenienti delle politiche anti-discriminatorie.

Una società dove impera la “quota” è una società costruita in laboratorio sulla carta millimetrata, un obiettivo a dir poco complicato, conclusione che deve essere condivisa anche da chi si è infilato su quella strada in buona fede.

Libertarianism A-Z: sindacati

I sindacati non sono un male in sé, lo diventano nel momento in cui cominciano ad avere protezioni governative.

I sindacati vorrebbero alzare i salari. Stando alle evidenze non sembrano esserci riusciti: il livello dei salari nei vari paesi non è legato all’ importanza del sindacato.

In realtà la diffusione dei sindacati ha soprattutto un effetto: cambia i metodi produttivi. Automazione e outsourcing diventano convenienti.

Per i sindacati non resta che puntare sulla redistribuzione delle risorse, per farlo si politicizzano abbandonando la fabbrica dove erano nati.

ma la redistribuzione voluta dai sindacati è a dir poco curiosa: avvantaggia solo i lavoratori iscritti al sindacato.

In Italia ne sappiamo qualcosa di “mercato duale”.

Libertarianism A-Z: ricerca e innovazione

Molti sostengono che la politica debba finanziare la ricerca di base poiché il mercato non è in grado di farlo e da essa dipende anche la ricerca applicata.

Sarà vero?

Galileo, Newton, Cartesio, Darwin, Pasteur, Adam Smith, Milton Friedman… hanno operato senza sovvenzioni. Cio’ dimostra che il privato può produrre ottima ricerca di base.

Non tutti sanno poi che spesso è la ricerca di base che fiorisce da quella applicata.

Resta poi la questione di base: chi decide?

Chi decide se si va sulla luna o si costruisce una pista per elettroni?

Il burocrate, non proprio la persona più adatta, direi.

Per i san Tommaso c’ è poi l’ evidenza: a grandi sovvenzioni statali non corrispondono grandi scoperte. Corrisponde piuttosto uno spiazzamento della ricerca privata che, se continua a esistere, spesso diventa parassitaria.

Libertarianism A-Z: tasse

Le tasse servono a molte cose, ma hanno anche un costo: distorcono le decisioni economiche.

Chi per sua scelta vorrebbe lavorare dieci ore al giorno si rassegna a lavorarne otto una volta resosi conto che il suo salario è decurtato dalle tasse.

L’ unica tassa che non “distorce” è quella per capitazione: mille euro a testa e via. Non è molto diffusa.

Le distorsioni si moltiplicano all’ infinito quando le politiche diventano sempre più “mirate”.

Un altro costo delle tasse è la compliance: farle pagare costa, a volta addirittura più di quel che si raccoglie.

L’ ultimo costo è il più rilevante: l’ inefficienza. Le risorse spese dal burocrate sarebbero state spese con più oculatezza da chi le ha prodotte.