venerdì 20 gennaio 2012

Cambio vita: filosofia della patata

Compilare il blog quotidianamente è entusiasmante ma anche parecchio faticoso, uno che lavora mica se lo puo’ permettere a lungo e forse è giunta per me l’ ora di prendersi una pausa.

Da domani cambio “vita”, con post stringati mi dedicherò solo alla materia fiscale visto che in qualche modo sarà un impiego del tempo con ricadute positive anche sul mio lavoro. tanto più che si avvicina la parte d’ anno più impegnativa.

Cercherò di evitare i link rendendoli disponibili nell’ eventuale discussione che seguirà.

Svolgerò micro-considerazioni di interesse generale sulle imposte, nulla di specifico.

Mi piacerebbe avere un blog fiscale e comincio a fare qualche sperimentazione.

Piccole “riflessioni fiscali”, quasi un “haiku del commercialista”. Inevitabile restare sul vago, chi è interessato puo’ sempre discuterne visto che alle discussioni non mi sottraggo.

Anche il ritmo di postaggio mi sa che non sarà giornaliero, si fisserà empiricamente e attendo anch’ io di conoscerlo.

Inutile comunque diffondersi in programmi, si sa che queste cose poi prendono una loro direzione (di solito circolare in modo da ritrovarsi al punto di partenza).

La materia è piuttosto arida, lo so, ma se approcciata dall’ alto puo’ offrire qualche spunto interessante. Tuttavia mi rendo conto che la monotematicità degli interventi non è fatta per elettrizzare l’ interlocutore.

La gente difficilmente parla di chimica o di fisica: per quanto rispetti e ammiri il sapere prodotto in queste scienze, in genere, senza confessarlo apertamente, lo ritiene noiosissimo. E chi puo’ dargli torto? Prendete l’ evoluzionismo darwiniano, a chi credete che interessi se non ne parlate trasformandolo in una specie di teologia (magari negativa)?

Di fisco, imposte ed economia, invece, parlano tutti, quasi sempre a sproposito. Perché?

Avanzo due ragioni:

1. Il fisco, come l’ economia, ci tocca da vicino di continuo; è dunque una materia interessante. Con la mia piccola preparazione economica sbrano il giornale ogni giorno, praticamente mi interessano tutti gli articoli e su tutto avrei da opinare. A un giovane consiglio caldamente lo studio dell’ economia? Niente rende più felici e più “protagonisti”. Con tutte le cazzate che circolano in materia anche un orbo è re nel paese dei ciechi.

2. Nelle materie fiscali e economiche – ma direi nelle scienze umane in genere - la distanza tra il sapere predittivo dell’ uomo della strada e quello dell’ esperto non è mai abissale, anzi (vedi Tetlock). Non è una tara di quelle discipline, è che sono fatte così. Mi spiego meglio: si studia per anni e anni solo per saperne un pochino di più della media. Ma veramente poco, in fondo. In tempi di crisi ve ne sarete anche accorti dalle critiche piovute sulla categoria. Forse quel “pochino di più” vale la pena di saperlo, forse no. Boh. Sta di fatto che la cosa consente a tutti di azionare la bocca e il mantice del fiato. Nel mondo economico singolari fenomeni prendono forma, la materia è talmente complessa che spesso un sovrappiù di errori ha il pregio di correggere la traettoria centrando il bersaglio. Cosicché a girare onusto di medaglie è il più ignorante della compagnia.

Bè, direi che con questi due punti il primo post sul fisco è già bell’ e fatto, ma non prendetelo come standard visto che in futuro cercherò di essere molto più sintetico.

Un’ ultima cosa: (per ora) non rinuncio alle tag cineclub, musiclub e bookclub, lascerò traccia di ogni film visto, di ogni disco ascoltato e di ogni libro letto: ma per ciascuno saranno due-parole-due. Promesso.

Ultimissima, lo giuro: poiché non intendo farmi del male da solo, nonostante quanto detto, mi riservo il diritto di ricambiare vita anche domani.

patatona

Avete notato, ho postato la foto di una strana patata.

Perché? E’ simpatica, non è facile essere una patata e essere anche simpatici, provateci voi. Trovo la cosa alquanto singolare. Non lo so quindi perché ho messo quella foto (che poi è la scultura di un artista ancora più singolare), mi piaceva al momento e l’ ho postata, non voglio affaticarmi a rintracciare nessi, non ne ho nemmeno il tempo. Avevo voglia di farlo e l’ ho fatto, è la mia nuova filosofia iconografica, almeno fino a domani.

giovedì 19 gennaio 2012

Prostrazioni

Un paese prostrato, steso a pelle d’ orso.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Di mazzate ne ha prese tante, ma la più imponente chi l’ ha sferrata?

Per capirlo è utile guardare a chi si è rialzato, o almeno ci prova.

Nel 2011 la Germania ha segnato due record dell'ultimo ventennio: oltre a crescere al 3% in un anno di crisi per l'Europa, è riuscita a spronare l'occupazione di 530 mila unità, a 41 milioni, il massimo dalla riunificazione, mentre la disoccupazione è calata al minimo da vent'anni, a quota 6,8%. Come mai? Chi ricorda che all'inizio del 2000 la Germania era «la malata d'Europa», mentre ora è tornata la locomotiva della Ue? La risposta classica è che il modello tedesco ha avuto successo, perché ha iniziato nel 2003 le riforme, liberalizzando e flessibilizzando il mercato del lavoro e aumentando la produttività.

Poi è seguito il taglio dei costi del sistema sociale, l'aumento delle pensioni a 67 anni, la creazione di un segmento di bassi salari. In un decennio, i costi del lavoro per unità di prodotto tedeschi sono aumentati solo del 3,9%, quelli italiani del 32,4%. Ma la vera ragione consiste piuttosto in un cambiamento totale di mentalità, anche nei rapporti azienda-dipendenti. Negli Anni 80 i sindacati tedeschi erano noti per la loro conflittualità.
Dopo la riunificazione è avvenuta una specie di rivoluzione «del consenso»… a partire dal 2002-2003, i sindacati, per salvare i posti e frenare la delocalizzazione di aziende, hanno fatto marcia indietro rispetto a conquiste dei decenni precedenti. Accettando una flessibilizzazione del lavoro senza precedenti…

Mentre gli accordi salariali regionali - dai quali erano esclusi i contratti aziendali dei grandi gruppi come Volkswagen e Daimler - partendo per esempio dalla fabbrica Siemens a Bocholt, hanno aperto a contrattazioni locali, fra industria e sindacati aziendali, in deroga a quelle collettive. Con accordi a livello locale di aumento dell'orario lavorativo, della produttività e con tagli dei costi che ha reso le aziende, anche quelle medie (la spina dorsale dell'economia), competitive a livello globale… Ma anche i gruppi come Volkswagen hanno tagliato i costi del lavoro di circa il 20%… leggi tutto.

mercoledì 18 gennaio 2012

Scettri di carta pesta

Mario Monicelli – Un borghese piccolo piccolo

Trama:

Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi) è un modesto impiegato alla soglia della pensione in un ufficio pubblico della capitale. La sua vita si divide tra lavoro e famiglia. Con la moglie (Shelley Winters) condivide grandi aspettative per il figlio Mario (Vincenzo Crocitti), neo-diplomato ragioniere, un ragazzo non molto brillante che asseconda volentieri gli sforzi che il padre compie per impiegarlo nello stesso ufficio.

Giovanni si espone nel tentativo di aiutare il figlio, fino al punto di umiliarsi nei confronti dei suoi superiori, iscrivendosi a una loggia massonica che gli consentirà di acquisire amicizie e favoritismi ai quali prima non avrebbe mai potuto accedere.

Proprio quando i tentativi di Giovanni Vivaldi sembrano volgere al successo, il figlio Mario rimane ucciso, colpito da una pallottola vagante esplosa nel corso di una sparatoria successiva a una rapina nella quale padre e figlio si trovano accidentalmente coinvolti.

L'evento tragico e le sofferenze che ne conseguono stravolgono la vita, le convinzioni e la morale dei coniugi Vivaldi. La moglie di Giovanni, colpita da malore, perde la voce e rimane gravemente invalida; Giovanni, accecato dal dolore e dall'odio, si getterà a capofitto in un'impresa solitaria e disperata, che lo porterà dapprima a individuare l'assassino del figlio, quindi a sottrarlo alla cattura della Polizia. Sequestrato l'uomo in una capanna isolata, Giovanni lo sottopone a una violenza cupa e inaudita che lo condurrà lentamente alla morte.

Per Giovanni arriva poi il momento della desiderata pensione e, dopo nemmeno un giorno, la triste morte della moglie oramai gravemente segnata dall'invalidità. Giovanni si prepara con serenità e rassegnazione a vivere la propria vecchiaia, ma uno scontro verbale involontario con un giovane sfaccendato gli farà rivivere quel ruolo di giustiziere che lo ha già portato e forse lo porterà a uccidere ancora.

Al suo meglio la maschera di Alberto Sordi evoca tenerezza e ribrezzo: un dissonante accordo che risuona chiaro in questo film come mai altrove.

Centrifugati da istinti divergenti come l’ autocommiserazione da un lato e la voglia di dissociarci dall’ altro, solleticati nel nostro istinto moralista, lo guardiamo agire impensieriti dalla familiarità con dinamiche che vorremmo tanto estranee al nostro mondo.

Prendiamone una: siamo a tavola (sancta sanctorum della famiglia borghese).

In mattinata Giovanni Vivaldi (Alberto) si è recato in ufficio con una missione: raccomandare al suo capo ufficio il figlio ragioniere per il concorso al Ministero.

Davanti alla pastasciutta il resoconto delle sue gesta è enfatico e ottimista. Si gonfia una bolla che la moglie fa esplodere con una “parolilla” di amaro scetticismo. Il Vivaldi collassa in una crisi di nervi che ne denuncia la fragilità di fondo: fuori dalla porta di casa passa la vita a camminare su un filo.

Ma in che mondo siamo?

Siamo nel mondo in cui il maschio è breadwinner, conduce la sua vita nella giungla d’ asfalto, un ambiente dove l’ evoluzione ha sagomato una super razza: l’ homo hypocritus.

Anche in casa il Maschio breadwinner-razza-Homo Hypocritus, prolunga i riti formali con cui tenere insieme i pezzi della sua fragile porcellana: coltiva la complicità del figlio maschio agitando uno scettro di cartapesta, vanta particolari competenze, ostenta sprezzo verso la donna di casa (che si presta alla commedia) relegandola pubblicamente a esclusive di secondo ordine.

Ma una volta al desco, col bamboccione a perdere il suo giorno altrove, si passa alla sostanza e l’ ottimismo (ipocrita) della volontà è messo a dura prova da una “parolilla” pronunciata da chi detiene uno scettro molto meno visibile ma d’ oro zecchino.

La seconda parte del film è la sconvolgente metamorfosi della dabbenaggine in istinto criminale, quasi che il cumulo di tanta ipocrisia sia destinata prima o poi a far esplodere forme di insana sincerità, vera rappresentazione della banalità del male.

Tom Torrey quel giorno che linus impazzì e gli fece fuori tutti

Per qualcuno è anche la spettacolare denuncia del verminaio che sta sotto la pietra di certe vite asfittiche: la vita a cui ci condanna la società borghese.

Il film si presta bene a questa interpretazione (che nel merito s’ incaglia quando considerano gli antidoti e chi si oppone alla somministrazione).

Preferisco allora, per quanto forzata, l’ interpretazione contenuta in nuce nell’ ammonimento che Don Garavaglia ci fece al termine del corso fidanzati 2009: ricordatevi che ora vi sposerete e quindi sarete finalmente in tre. Poi, forse, arriveranno anche i figli.

Ecco, nella famiglia di Alberto mancava qualcuno, cosicché è bastato poco per ritrovarsi soli e con la mente sconvolta.

martedì 17 gennaio 2012

Saperi dimezzati

Cose che tutti sanno: in Italia il tempo dedicato alla famiglia e ai figli è ripartito tra uomo e donna in modo piuttosto impari, almeno rispetto al nord Europa.

Cose che non tutti sanno: gli uomini italiani dedicano alla famiglia e ai figli un tempo non inferiore ai loro pari del nord Europa.

domestico

Fin qui i fatti, le conclusioni le lascio a voi.

lunedì 16 gennaio 2012

Al bar

Scendete ora giù al bar e chiedete a bruciapelo al vostro compagno di bevute quanto fa “171 x 24”: quello vi guarda senza rispondere, strizza gli occhi, corruga la fronte, chiede brancolando carta e penna e si apparta finché s’ è fatta l’ ora dell’ aperitivo quando potete pure dirgli di lasciar perdere.

In effetti non è un’ operazione semplice.

Eppure, se alla stessa persona fate domande molto più complicate – magari che tirino in ballo centinaia di variabili, magari implicanti valutazioni generali sull’ economia o sulla politica estera – quello non vi farà neanche finire e attaccando con grande verve vi esporrà la sua convinta opinione sui fatti.

Ma come mai sappiamo risolvere tanto velocemente solo i problemi più incasinati?

L’ ordine di una semplice tabellina ci confonde ma nel caos delle discariche giornalistiche ci muoviamo a meraviglia cogliendo al volo tutti i nessi!

spazzatura

Per la difesa della “libertà” la domanda non è peregrina dato che la “libertà” trionfa solo se c’ è ammissione d’ ignoranza: non esiste soluzione univoca, liberi tutti! Se invece ci districhiamo davvero così bene su questioni tanto complesse, la libertà diventa un optional: esiste una soluzione, applichiamola a tutti!

Purtroppo, a quanto pare, i nostri limiti così evidenti quando trattiamo problemi semplici, spariscono all’ improvviso quando le complicazioni si stratificano.

Il fatto è che una domanda facile (171 x 24) non la si puo’ cambiare, se ne sta lì implacabile davanti a noi come una sfinge sfacciata. Al contrario, una domanda difficile (“quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie animali in via di estinzione?”) è proteiforme e sfaccettata. Cio’ consente di rispondere alla “faccia” più benevola illudendosi di aver risposto a tutte.

Qualche esempio testato in laboratorio:

Quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie in via di estinzione?

Nella nostra testa lentamente si trasforma in:

Come mi sento pensando all’ ultimo panda che tira le cuoia?

Oppure:

Quanto sei felice in questo ultimo periodo?

Diventa:

Come ti senti ora?

Oppure:

Di che popolarità gode adesso il Presidente?

Diventa:

Di che popolarità ha goduto il Presidente negli ultimi sei mesi?

Oppure:

Dovrebbero essere punite le banche che hanno consigliato male i pensionati?

Diventa:

Quanto rabbia senti montare guardando il documentario della Gabanelli su Parmalat?

Oppure:

Questa donna si presenterà alle elezioni, che opportunità avrà di vincere?

Diventa:

Questa donna ha la faccia da vincente?

Conclude lo psicologo:

… le scorciatoie cognitive facilitano reazioni rapide a domande che se prese sul serio richiederebbero una notevole mole di duro lavoro… trucchi del genere evitano di farci toccare con mano le nostre incertezze in modo da accantonare qualsivoglia ammissione d’ ignoranza…

Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi:

E’ giusto avere un salario minimo per tutti?

Diventa:

Sarei contento se il padrone desse un aumento a chi guadagna meno?

Oppure:

Quale politica per la crescita?

Diventa:

Con quale politica potrei colpire una categoria antipatica?

Oppure:

L’ art. 18 andrebbe abrogato?

Diventa:

E’ sgradevole essere licenziati?

Oppure:

Come andrebbe graduata la progressività del sistema fiscale?

Diventa:

Ammiro o disprezzo i ricchi?

Morale: al bar la libertà è indifendibile.

Peccato che i bar non stiano solo qua sotto: ce ne sono anche in banca, al ministero, in parrocchia… e non mancano nemmeno all’ università.

sabato 14 gennaio 2012

Amarsi ancora

Il linguaggio dei testi ciellini, sulla scorta del modello fornito da Don Giussani, è spesso animato da una tensione esistenziale immanente che a volte rischia di rendere il messaggio piuttosto criptico. Sarà che dovendo battere sempre sui medesimi tasti si cerca aiuto nella densità concettuale e nell’ intimismo spinto, forse per aggirare la pedanteria dottrinaria. In questo senso il Massimo Camisasca di Amarsi ancora è un’ eccezione poiché predilige uno stile scorrevole, piano, qua e là perfino naif.

Si vede che l’ obbiettivo primario è posto nel farsi comprendere e non nel prevenire obiezioni.

Il libro, in soldoni, è un’ apologia della famiglia a cui aderisco senza nemmeno ricorrere alla fede: la famiglia è il luogo privilegiato dove sperimentare l’ altruismo, un luogo prezioso da preservare con cura.

Dove mai potremmo ritrovare, infatti, qualcosa del genere?

Chiarisco meglio questo punto prendendo a termine di paragone una comunità concorrente: lo Stato-Nazione. Perché la Famiglia è superiore alla Nazione? I motivi sono essenzialmente due:

1. Il primo è evidente: in famiglia l’ altruismo è “naturale”. All’ interno dello Stato-Nazione è sempre posticcio (richiede pratiche coercitive per realizzarne una parvenza).

2. Il secondo è meno evidente: noi non riteniamo mai lecito adottare comportamenti criminosi per avvantaggiare i nostri figli. Nell’ ambito dello Stato-Nazione invece sì: ingaggiando una guerra, per esempio, sappiamo con certezza che uccideremo degli innocenti (comportamento di solito ritenuto criminoso) tuttavia accettiamo ugualmente la nozione di “guerra giusta”.

Il libro è una rivista leggera di topoi legati alla famiglia.

Dipendenza. La vita familiare la esalta. E’ cosa buona visto che, come diceva Chesterton: “coloro che hanno fiducia solo in se stessi stanno al manicomio”.

Prolificità. C’ è l’ esaltazione della famiglia numerosa: il mondo è dei prolifici, lo dice anche il freddo demografo. Musica per le orecchie di un natalista che sulla scia di Julian Simon vede i bambini come “the ultimate resource”. Musica con una nota stonata: chi esalta la forza della famiglia numerosa non puo’ nel paragrafo successivo denunciarne la debolezza chiedendo a gran voce che soccorra la stampella dei sussidi statali.

Genitori: il Padre “prende per mano” e introduce i figli al “rischio”. Affrontare il rischio richiede un calcolo razionale. La Madre introduce al “principio di precauzione” stendendo una rete. Entrambi i ruoli sono importanti: le rischiose piroette sono affrontate con più fiducia grazie alla rete, la rete non ha senso senza le piroette. Bella l’ armonia tra questa visione e le conclusioni della psicologia evolutiva più avanzata.

La preghiera. In famiglia è un dovere. La preghiera richiede silenzio e nell’ epoca della connessione continua “fare silenzio” diventa già di per sé un’ impresa meritoria. Altre raccomandazioni: alternare preghiere standard con preghiere personalizzate. In queste ultime inserire sempre qualche notizia di cronaca attinta dal giornale per dare vivacità e presenza sostanziale.

Dopo un litigio pregare sempre: è un modo per stare insieme in armonia senza la necessità di parlarsi direttamente, un modo per “sbollire”.

Fallimenti. Sono uno stimolo prezioso per:

1. guardare in faccia i nostri limiti e

2. non giudicare chi ci sta vicino.

Siamo limitati e siamo anche chiamati a non giudicare il nostro prossimo. C’ è forse qualcosa d’ altro che deve sapere un buon cristiano?

Fecondità. E’ difficile negarne il valore, anche per quanto detto prima.

Tuttavia non capisco bene gli insegnamenti impartiti in materia di contraccezione: quella naturale viene ammessa. Ma mentre il termine “naturale” mi appare appropriato quando lo uso come ho fatto all’ inizio, qui mi appare invece oscuro.

Aborto. E’ un misfatto: Camisasca chiama a testimonianza il peso che ogni donna che abortisce porta con sé per tutta la vita. Preferisco l’ argomento dello slippery slope.

Educazione. L’ atto educativo forma sia il bambino che il genitore: si sta – insieme - a tu per tu con la realtà. L’ adulto tende a dimenticare che esiste una realtà a lui esterna e da cui “dipende”, gli occhi del bimbo (l’ “uh!” della Marghe quando appare un gatto) glielo ricorda.

Ci siamo noi, la realtà ma anche il senso. Non si puo’ educare senza ricorrere a un discorso sensato. L’ educazione è sempre educazione al senso. Difficile motivare senza proporre un’ identità.

Scuola. A scuola le persone precedono nozioni e regole. A scuola, poi, si rafforza l’ amicizia, un sentimento che forma l’ individuo almeno quanto i rapporti familiari (e forse anche di più).

Società. La famiglia è tenuta ad entrare in una rete familiare, pena la sua morte per implosione. Gli oratori contribuiscono alla nascita del clan.

Insegnamento della fede. Non occorre aver compiuto studi speciali, basta l’ amore e l’ esempio: i bambini (più che ascoltare) ci guardano.

Mi fermo qui sebbene il libro continui affrontando argomenti interessanti come il fidanzamento, i beni nel matrimonio, la tecnologia educativa, l’ amore che muore, i nonni, l’ adozione, l’ affido ecc.

Fin qui la famiglia ideale di Camisasca. Ma la famiglia reale dei numeri?

A questo punto di solito attaccano le geremiadi e si comincia a parlare di declino, di egoismo, di gratificazione dell’ io.

Ma chi i numeri li sa maneggiare - per esempio Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo Weber nel loro Cose da non credere – ci invita all’ ottimismo.

La famiglia è viva e vegeta (lo sanno soprattutto i pubblicitari), non solo, è più che mai di moda l’ innovazione introdotta dalla Famiglia Cristiana: l’ amore.

In questo senso non bisogna idealizzare troppo il passato, quando era “estesa” lo era per le condizioni economiche imposte dalla mezzadria, la famiglia dei braccianti in realtà era “nucleare” proprio come quella dei nostri condomini/alveare. Spesso non si andava oltre il contratto; oggi l’ affetto tra i coniugi è più sincero. Ci si separa di più anche perché non si sopporta che venga a mancare. Non solo: quando ci si separa c’ è sempre una reale sofferenza, altro che “festa di divorzio”. Certo, si convive molto di più, magari si fa il primo figlio fuori dal Matrimonio, ma in testa, alla fine, c’ è sempre quello, anche quando non ci si arriva.

L’ ideale rimane quello di una coppia che si ama per sempre. Il Matrimonio non ha certo perso il suo fascino, a esso ambiscono perfino gli omosessuali.

Oltretutto ancora oggi il matrimonio è una buona assicurazione contro la povertà.

Il legami familiari sono intensi come non mai, specie da noi: il fenomeno dei bamboccioni ne è un sintomo. E’ sempre esistito nei secoli e oggi si è esasperato solo perché le famiglie sono più ricche e possono garantire al bamboccione una vita agiata per più tempo.

Ma perché allora si fanno così pochi figli?

Sul punto le risposte sembrano ormai chiare, le traggo dal libro di Della Zuanna e Weber – Cose da non credere:

… nelle zone ricche del mondo a legami familiari forti (la sponda Nord del Mediterraneo e l’Asia centrale), la bassa fecondità è anche oggi il grimaldello utilizzato dai genitori per garantire ai figli – o all’unico – figlio – una condizione sociale migliore… In questi paesi non è vero che le coppie non vogliono avere più figli: all’opposto, molte coppie vivono con sofferenza la rinuncia ad avere un figlio in più. Il fatto è che i bambini con più fratelli sono penalizzati dal punto di vista economico, godendo di opportunità assai inferiori rispetto ai figli unici e a chi ha un solo fratello…

Ancora:

contrariamente all'opinione diffusa, la famiglia italiana non si sta sfaldando; gli italiani fanno pochi figli non per basso reddito o carenza di servizi ma perché per i figli «le coppie italiane vogliono il "massimo" e quindi non accettano servizi di basso livello o situazioni abitative inadeguate»… leggi tutto.

C’ è chi pensa che egoismo e edonismo ostacolino la procreazione (es. il Papa). Ma forse le cose non stanno proprio così visto che nella nostra società, contrariamente al passato, i più ricchi fanno più figli dei poveri. Anche il cittadino medio, a pagamento, sceglie di far figli. D’ altronde, in passato, il baby boom e il boom dell’ economia italiana sono andati di pari passo. Tradotto: il nemico della prolificità non è l’ avidità di ricchezze.

In altri termini: il bisogno di molti figli è sentito ancora oggi e quando accumuli ricchezza la investi volentieri per “comprare” figli.

D’ altro canto è pur vero che i nostri nonni, mediamente molto più poveri di noi, avevano una prole più numerosa.

Cosa risolve il puzzle? Semplice, l’ invidia sociale. Basta tenerne conto per riordinare le tessere.

La vita dei nostri nonni era quella, punto. Non cambiava poi molto se avevi due o quattro figli: un piatto di polenta a mezzodì, la minestra la sera, i mandarini a Natale, la scuola del paese, niente vacanze, massimo una gita a Porlezza; per il resto era lavoro in campagna e gioco nei boschi per i più piccoli.

A quel punto tra due e quattro sceglievi quattro e ti facevi pure la pensione.

La società contemporanea offre invece stili di vita alquanto differenti, un ventaglio di scelte molto ampio. Con la libertà arriva l’ invidia e volendo “dare il massimo” alla nostra famiglia possiamo concederci al più un figlio o due.

Il bimbo diventa un po’ il nostro supereroe.

Alexandre Nicolas supeeroi fetali

In Europa, si sa, il tarlo dell’ invidia sociale e del conformismo è particolarmente laborioso. Tutti vogliono dare “il massimo” in termini di vacanze, di scuola, di cure mediche, di tempo libero, di accessori, di abbigliamento… Se non “dai il massimo” ti senti “lasciato indietro” e ti sale l’ ansia da status, il risentimento, il livore, la confusione mentale;  cominci a immaginare complotti, a cacciare le streghe, a stanare gli untori, a perseguire la speculazione, a demonizzare la ricchezza, a marciare ad Assisi, a fare scioperi generali…

Controprova: negli USA, paese in cui la parola “europeo” è un insulto corrosivo equivalente a “rosicone”, fanno tutti molti più figli in condizioni che sono anche più precarie delle nostre.

Soluzioni: 1. Autoritarismo (imponiamo un unico stile di vita favorendo l’ egalitarismo a suon di sussidi). 2. Curare l’ invidia sociale.

La prima via è una scorciatoia allettante, e infatti l’ Europa sembra aver imboccato proprio quella sovvenzionando le famiglie affinché possano “dare il massimo” a più figli.

E le nazioni europee che non possono permetterselo (per esempio noi), semplicemente restano col figlio unico.

Un’ idea della seconda via, quella in salita, la danno i ciellini stessi realizzando comunità con stili di vita alternativi che neutralizzino l’ ansia da status e da conformismo. Lì dentro puoi avere cinque figli perché se poi ti manca lo zainetto griffato o la settimana bianca non ti senti un marziano. Pazienza, porterai a scuola il borsone liso del papà e farai le “vacanzine” di gruppo a Passo Rolle. Il tutto accompagnato dalla questione dell’ identità: averla è decisivo per stemperare la frenetica voglia di gregge.

 

 

 

 

venerdì 13 gennaio 2012

Espianto

Ligeti ha sempre voluto superuomini per interpretare la sua musica. E quando li trovava, andava su tutte le furie: non lo erano mai abbastanza.

Dietro l’ infantile capriccio si celava un risentimento: il suo teatrale odio verso lo strumentista, in particolare verso l’ uomo che si porta sempre dietro e fa capolino non appena preme un tasto, distende il diaframma o manipola una chiave. Un sentimento ostile col quale prolunga la sua opera.

Ha sempre aspirato ad espellere l’ “umano”, a superarlo: a volte verso l’ alto (con il teocentrico Lux Aeterna), a volte verso il basso (con lo stronzocentrico Grand Macabre).

Un tipo così appena ha potuto si è liberato dei musicisti in favore di ingegneri e programmatori. Sono loro le sue guide nel magico mondo della musica automatica, approdo ideale per una poetica del “disumano”. Vera Florida per le mummie in pensione.

Pur di espiantare gli organisti dall’ organo rinuncia a ben 19 tasti limitandosi ai 42 degli strumenti a manovella. Che meraviglia! Soprattutto perché nel pacchetto è allegato un organista con 42 dita che non sente mai l’ esigenza di andare al gabinetto sul più bello o di dover dire la sua sull’ esecuzione del pezzo chiamando questa asfissiante rottura “preziosa collaborazione”. Al diavolo le “preziose collaborazioni”.

No! Mai più inani tavole rotonde sull’ importanza del gesto esecutivo! Solo contemplazione e flessibili schede che mute si lasciano docilmente perforare.

organ-trafficking_custom

Qui di seguito è invece un malcapitato piansta a essere espiantato: sloggia altezzoso dai velluti del seggiolino, tira su i suoi quattro stracci e prende la porta offesissimo, proprio lui che domava con tanta sicumera anche il terzo di Rachmaninov. Lo seguono due code nere più indignate che inamidate.

Dalla porta di servizio entra mesto mesto in salopette il perito Itis a sistemare i cavi nella cordiera.

 

Genealogia: Conlon Nancarrow

Gyorgy Ligeti – Mechanical music

p.s. congedo rock:

giovedì 12 gennaio 2012

La parola e il bias

Durante le vacanze ho visto un altro paio di film, innanzitutto il magistrale Segreti e Bugie di Mike Leigh.

La trama è semplice:

Sobborghi di Londra. Hortense (Marianne Jean-Baptiste), trentenne borghese di colore, alla morte della madre adottiva decide di scoprire chi sia la sua vera madre. Scoprirà con molta sorpresa che si tratta di Cynthia (Brenda Blethyn), sfiorita operaia bianca che vive con sua figlia ventenne Roxanne (Claire Rushbrook). La misera vita di Cynthia è allietata solo dalle visite che le fa il fratello Maurice (Timothy Spall), fotografo sposato ma senza figli. Dopo l'incontro, tra le 2 donne piano piano nasce una profonda amicizia che rappresenterà per Cynthia un nuovo motivo di felicità (ebbe la bambina ad appena 15 anni) e per Hortense un'occasione per capire una realtà diversa dalla sua. Ma i segreti non possono durare a lungo e ad un pranzo in famiglia la verità verrà fuori, non senza drammi. Sarà l'occasione per confrontarsi e demolire un muro di "segreti e bugie" e per riacquistare la serenità...

Hai voglia a considerare la parola un semplice nominalismo che plana tra noi in forma di fiato.

Altro che fiato, le parole ci costituiscono, sono le nostre ossa.

SkeletonTypogram_AaronKuehn_A4

Ci sono parole che, al solo pronunciarle, resuscitano vite: chi è più a suo agio con le tensioni del linguaggio religioso se ne renda conto grazie alla visione di Ordet (nota verde), chi predilige quello psicologico della modernità non si perda invece Segreti e Bugie.

Maurice cerca la sua parola consapevolmente, ma il vero spettacolo è fornito da chi agisce come sospinto da forze esterne, come Cynthia… o Johannes.

Maurice (con Anna) deve dire: “non possiamo avere figli”.

Cynthia deve dire: “lei [Hortence] è mia figlia”.

Riusciranno a dirlo e a svoltare accorgendosi che nessun fulmine cadrà dal cielo per incenerirli. Il finale è una specie di “… e vissero tutti felici e contenti…” ma dove la felicità consiste nel prendere il tè sulla sdraio coi propri cari nel cortiletto delle case popolari scaldati da un tiepidissimo sole inglese.

Ci si convince proprio che se il multiverso esistesse realmente, probabilmente le nostre “vite parallele” sarebbero separate tra loro dalla sottile ma tenace intercapedine di una parola. Basta pronunciarla per saltare dall’ altra parte.

L’ altro film era “Un maledetto imbroglio”. Pietro Germi lo ha tratto dal romanzo “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana”. E’ del 59, in bianco e nero, ma dal ritmo sembra un film della Pixar dell’ anno prossimo.

Come molti altri gialli sfrutta un ricorrente bias cognitivo: chi perde al gioco della vita deve aver fatto qualcosa per meritarselo.

In effetti, dopo una rassegna di personaggi squallidi, scopriamo che il colpevole, colui al quale Ingravallo dovrà necessariamente rovinare la vita, è anche il soggetto più dignitoso ed empatico.

mercoledì 11 gennaio 2012

Un po’ di serietà!

Robert Baird – Categorie per la storia delle religioni
Lo studioso è alla ricerca di una definizione per il termine “religione”.
religion
Lo animano due motivi.
1. I suoi insigni colleghi ignorano volentieri i problemi definitori inclini come sono ad assumere, più o meno consapevolmente, che il termine si spieghi da sé. In un certo senso è come se protendessero il dito dicendo: “per religione intendo quello”. George Foot Moore, Mircea Eliade, K.L. Bellon, Rudolf Otto, A.E. Haydon, W.C. Smith… tutti su quella linea. Ma Baird non ci sta.
2. Respinge anche l’ affidamento all’ etimo e il rinvio che ne fa, tra gli altri, C.J. Bleeker, studioso per cui la religione è sempre stata ed è tutt’ ora il modo in cui l’ uomo organizza la sua relazione con il trascendente.
Interessanti i motivi della presa di posizione di cui al punto 2: una definizione del genere eliminerebbe dal campo religioso non solo la tradizione Pali come pure il Confucianesimo, ma anche il Comunismo, il Nazionalismo e il Laicismo…
Avete capito bene: comunismo, nazionalismo, laicismo eccetera devono rientrare a pieno titolo tra le religioni e, quindi, occorre una definizione che le inglobi.
La soluzione migliore è rinvenuta nel lavoro del teologo Paul Tillich il quale propone di interpretare la religione come “ultimate concern”.
Religione è tutto cio’ che costituisce “preoccupazione ultima”.
Dicendo “ultima” si evita di introdurre elementi metafisici. “Ultimo” è cio’ che esiste di più importante al mondo per la persona o per il gruppo di persone in questione.
Corollario: solo il nichilista puo’ dirsi ateo. Per lui non esiste niente che possa considerarsi “ultimo”, una cosa vale l’ altra.
Ma direi di più, nell’ apologetica di Tillich la religione non puo’ essere rifiutata con “serietà ultima” perché la “serietà” è già di per sé una forma di religione.
Con una definizione siffatta lo storico delle religioni è finalmente legittimato a occuparsi anche di fenomeni quali il comunismo, il laicismo, o il terrorismo; non solo, anche il fanatismo che circonda i cantanti pop, tanto per dire, rientra nelle sue competenze! L’ intuizione è felice poiché gli strumenti a disposizione sembrano idonei a gettare luce anche su quei fenomeni!
Il passaggio dalla capanna dello sciamano alla cameretta della groupie appare, in effetti, compiersi senza traumi di sorta.

martedì 10 gennaio 2012

Piacevoli scompensi

Billy Wilder – L’ appartamento

C’ è chi pensa che la musica perfetta sia quella “con tutte le note al posto giusto”.

Ma se le note avessero un loro “posto assegnato”, le musiche sarebbero alquanto prevedibili.

Senonché, il compositore di vaglia, nell’ assemblare il capolavoro, anticipa e ritarda ad arte le “soluzioni naturali” in modo da creare piacevoli e arguti spiazzamenti che si affretta a “compensare”, piccole e continue sorprese all’ interno di una struttura consolidata che lusinga e rassicura l’ ascoltatore.

Non so se questa visione tenga, di sicuro non sembra del tutto estranea quando il focus è sull’ arte di genere: il genere impone dei vincoli e l’ artista è chiamato quindi ad aggirare in qualche modo la pedanteria del prevedibile.

Per operare in corpore vili passiamo dalla musica al cinema prendendo a prestito una scena da “L’ appartamento”, film che mi è capitato di vedere nel corso delle vacanze.

Siamo al cospetto di una potente macchina hollywoodiana nel “ramo” commedie brillanti, un ingranaggio lubrificatissimo e inesorabile.

La storia segue un canovaccio scontato e il finale è intuibile già dopo un quarto d’ ora di visione. Non sono esattamente le premesse al “capolavoro”, eppure…

Chi non conoscesse la trama puo’ farsene un’ idea su Wikipedia:

Il contabile C.C. Baxter, dettoCiccibello, impiegato in una grossa compagnia di assicurazioni americana, riesce ad accattivarsi le simpatie dei dirigenti della sua azienda prestando loro, per scappatelle extraconiugali, il piccolo appartamento ove vive (durante i brevi incontri amorosi dei temporanei "subaffittuari" Baxter va a spasso per la città). Tutto procede felicemente finché Baxter non si innamora di Fran Kubelik, graziosa lift-girl, una delle signorine in uniforme che manovrano i grandi ascensori del palazzo aziendale. Presto però egli scopre che questa è l'amante del capo del personale, Jeff D. Sheldrake,[2], il quale, dietro consiglio di un collega, si rivolge proprio a lui per ottenere anch'egli l'uso dell'appartamento alla bisogna amorosa. La riluttanza di Baxter viene vinta grazie ad una promozione piuttosto cospicua (da anonimo contabile, il cui posto di lavoro è un'altrettanto anonima scrivania fra le tante allineate in più file nel salone dei contabili della società, ad assistente del capo del personale, con un ufficio tutto per lui). Ma qualcosa va storto e durante un incontro fra Jeff e Fran nell'appartamento di Baxter, quest'ultima apprende che l'amante non ha alcuna intenzione di lasciare la famiglia per sposarla, come le aveva promesso. Amareggiata ed umiliata, la povera Fran decide di suicidarsi proprio in quell'appartamento: buon per lei che Baxter giunga in tempo a salvarla.[3] Quando però l'impiegato comunica a Sheldrake l'accaduto, la telefonata viene intercettata da miss Olsen, segretaria ed ex-amante del dirigente, che - per vendetta e gelosia - informa di tutto la moglie di Sheldrake la quale, a sua volta, caccia di casa il marito. L'uomo riprende a questo punto la relazione con Fran e chiede a Baxter la chiave dell'appartamento per trascorrervi la notte del 31 dicembre con la ragazza. Baxter però, presa coscienza… di doversi finalmente comportare da "uomo", rifiuta e si licenzia. Fran apprende la notizia durante la cena di Capodanno e, resasi conto di quel che prova, pianta in asso Sheldrake e - in una memorabile scena nelle vie di New York - raggiunge correndo l'appartamento di Baxter dove i due si dichiarano il loro amore.

A noi qui interessa l’ inevitabile snodo evidenziato in grassetto.

Sappiamo già da tempo che il “genere” richiede a Ciccibello, prima della fine, una levata d’ orgoglio: rialzerà la testa rinunciando ai suoi privilegi pur di non andare troppo oltre sulla via della meschinità, che pure, essendo un “uomo qualunque” (altra richiesta del genere), aveva imboccato e percorso fino a un certo punto con disinvoltura.

Finalmente la scena attesa ha luogo verso la fine della pellicola: di fronte alla richiesta piena di sottointesi da parte del boss Sheldrake, Ciccibello sembra dapprima ribellarsi (ci siamo!) per poi cedere di schianto consegnando le chiavi dell’ appartamento (rinvio). Dopo una flebile resistenza le butta rassegnato sulla scrivania e noi spettatori pensiamo che la riscossa tanto attesa sia rimandata. Poi si reca nel suo ufficio attiguo immergendosi in piccole attività (anticipo) che non riusciamo a decifrare e comunque non calcoliamo come rilevanti: chiude cassetti, libri contabili, apre lo spogliatoio… Sopraggiunge trafelato Sheldrake il quale protesta: quella che ha in mano non è la chiave dell’ appartamento! Ma certo che non lo è, visto che trattasi della chiave bagni-dirigenti (ritardo). Una sostituzione non gratuita poiché in una delle scene precedenti l’ accesso al bagno-dirigenti del ventisettesimo piano veniva descritto come una sorta di status symbol. Col dimesso annuncio della sostituzione allo stupefatto Sheldrake, Ciccibello adempie al suo compito di uomo, tutti noi ci compiacciamo come quando da piccoli, nelle sale del cinema parrocchiale, il cattivo veniva steso da un diretto del buono. Ora, in chiaro ritardo, sappiamo decifrare anche la misteriosa attività di Ciccibello: sta confezionando il tipico scatolone dei licenziati americani visto che conosce a memoria la sorte di chi non si piega a certe regole.

Tutto quel che doveva avvenire avviene. Tutto quel che ci aspettavamo arriva. Solo che arriva un attimo prima o un attimo dopo rispetto a quando era atteso. Il regista ci coccola mantenendo fede ai vincoli del genere ma ci prende anche in giro facendo accadere sotto i nostri occhi cose che noi siamo ancora lì ad aspettare. Uno spiazzamento continuo e non traumatico che trasforma un film da storia scontata a piccolo capolavoro. Sì perché di “soluzioni” del genere devi affastellarne parecchie per trasformare una storia banalotta in una commedia brillante. Talmente brillante da rilucere ancora a mezzo secolo di distanza.

ti amo

Scena finale:

Lui: io l’ amo miss Kubelik

Lei: … tre… quattro… fa' le carte e poi ridimmelo.

lunedì 9 gennaio 2012

Tristeza não tem fim

Inutili guantoni

La mentalità libertaria è mal vista in gran parte degli ambienti cattolici, difficile nasconderselo; sempre più spesso preti e perfino vescovi, a volte addirittura dal pulpito, non esitano a lanciare strali e condanne esplicite. Avranno le loro ragioni, ma certo anche molti falsi miti contribuiscono a intralciare la comprensione reciproca. I più ostinati sono i soliti sei.

Mito 1: i libertari sono libertini.

Il libertario, in quanto tale, è solo scettico verso la tassazione dei "vizi".

Mito 2: i libertari odiano i poveri.

In realtà si prende sul serio il principio per cui “la legge è uguale per tutti”.

Mito 3: i libertari trascurano la solidarietà.

In realtà solo quella fatta con le risorse altrui. Per il resto la generosità è il pilone centrale della società libertaria.

Mito 4: i libertari sostengono la libertà solo perché fa loro comodo.

Le soluzioni libertarie sono entrate nelle accademie da un bel po’ di tempo e sono quindi soggette al vaglio del dibattito scientifico.

Mito 5: i libertari perseguono i cristiani.

Si predica invece una neutralità dei governi, per quanto possibile, rispetto alle religioni, in modo da non falsarne la concorrenza.

Mito 5: i libertari non sono pro-life.

Il dogma centrale dei libertari sancisce l’ inviolabilità della persona: una buona base per la difesa del nascituro.

Tirando le somme, un libertario potrebbe essere anche un libertino, abortista, avaro, opportunista, odiatore di poveri e di cristiani… potrebbe essere anche calvo e con i brufoli, ma sarebbe tutto cio’ indipendentemente dal suo credo ideologico.

Non diamo retta al gatto e alla volpe, trascuriamo il consiglio dei sobillatori e rifiutiamoci di indossare i guantoni.

Guang Yang

p.s. Ryan McMaken approfondisce.

martedì 3 gennaio 2012

Perchè in Italia non si fanno bambini

La risposta più plausibile:

Nelle zone ricche del mondo a legami familiari forti (la sponda Nord del Mediterraneo e l’Asia centrale), la bassa fecondità è anche oggi il grimaldello utilizzato dai genitori per garantire ai figli – o all’unico – figlio – una condizione sociale migliore… In questi paesi non è vero che le coppie non vogliono avere più figli: all’opposto, molte coppie vivono con sofferenza la rinuncia ad avere un figlio in più. Il fatto è che i bambini con più fratelli sono penalizzati dal punto di vista economico, godendo di opportunità assai inferiori rispetto ai figli unici e a chi ha un solo fratello…

Ancora:

contrariamente all'opinione diffusa, la famiglia italiana non si sta sfaldando; gli italiani fanno pochi figli non per basso reddito o carenza di servizi ma perché per i figli «le coppie italiane vogliono il "massimo" e quindi non accettano servizi di basso livello o situazioni abitative inadeguate»… leggi tutto.

Dunque i nostri nonni (che erano molto più poveri di noi) facevano molti più figli non perché avessero una più spiccata voglia di famiglia ma perché meno interessati al benessere materiale?

Sono autorizzato a parlare di egoismo e avidità crescenti?

Il libro di Della Zuanna è interessante anche quando tratta dei bamboccioni. Come giudicarli?

Come volete, of course, basta che lo facciate sapendo che:

I bamboccioni italiani vivono con i genitori non, come si pensa, per sfuggire alla povertà ma per vivere appieno in condizioni di agiatezza

Cose da non credere.

sabato 31 dicembre 2011

Le meraviglie del neoliberismo

Esce un film su Margaret Thatcher, la più grande statista del dopo guerra (secondo me), protagonista indiscussa della svolta neoliberista (secondo tutti).

margaret

Una rivoluzione talmente contagiosa che parlare di destra e sinistra ormai non ha più molto senso:

…Although the dispute over neoliberalism is often characterized in left/right terms, that characterization is misleading…

L’ unico idealismo che sdegna le utopie:

… Yet, the neoliberal revolution has been widespread and highly successful. And the motives of neoliberal reforms are much purer than one would imagine after reading left-wing criticisms of free-market reforms…

Molti al solo sentire la parola smettono di pensare e esternano il loro astio senza nemmeno avere una definizione di neoliberismo:

… the neolibberal revolution combines the free markets of classical liberalism with the income transfers of modern liberalism…

Altri negano che esista, ma forse non si rendono conto che, sebbene…

… there was no significant reduction in government spending: In most countries, the government's share of GDP has been fairly stable in recent decades…

… non si puo’ negare che un po’ in tutti i paesi…

… Markets in almost every country are much freer than in 1980; the government owns a smaller share of industry; and the top MTRs on personal and corporate income are sharply lower…

I campioni del neoliberismo sono forse i paesi nordici, Danimarca in testa: ferrovie, aereoporti, torri di controllo, autostrade, posta, scuole… il privato è ovunque, anche in settori che gli USA si sognano. Basti un solo termine di paragone: mentre da noi una campagna da terzo modo demonizza le scuole libere, lì si incentivano scuole e ospedali a esplicito fine di lucro!

Ma, contro certi resoconti che disdegnano i fatti, l’ esito positivo delle politiche neoliberiste è palpabile anche in Sudamerica, repubbliche ex sovietiche, per non parlare del continente asiatico: più apertura dei mercati, più ricchezza. Ovunque

Una certa narrazione, poi, descrive il neoliberismo come il far west, una nuova barbarie dove regnano aggressività e sopraffazione: chi ha le unghie più lunghe e taglienti vince:

fingernailguns-550x412-500x374

… niente di più falso, specie se pensiamo che…

… few years ago, I researched9 the relationship between cultural attitudes and neoliberal reforms among the developed countries. It turns out that, between 1980 and 2005, those countries with more idealistic or civic-minded cultures (as indicated by surveys on attitudes toward the common good and by indices of corruption10) tended to reform their economies much more rapidly than countries with less civic-minded attitudes.11 Interestingly, Denmark has by far the most civic-minded culture in the group of 32 developed countries, and, as noted above, ended up with the least statist economic system in the Heritage's 2008 rankings (excluding the two size-of-government categories). Greece has the least civic-minded attitudes and ended up with the most statist economy in 2008… leggi tutto.

venerdì 30 dicembre 2011

E l’ illuminista si scoprì evangelizzatore

Il lume della ragione, a volte, sembra più una decorazione che uno strumento utile a snidare la verità.

bath

April Mercier e Daniel Sperber sostengono che la ragione serva a convincere gli altri più che a cercare la verità:

Reasoning is generally seen as a means to improve knowledge and make better decisions. … Our hypothesis is that the function of reasoning is argumentative. It is to devise and evaluate arguments intended to persuade. … A wide range of evidence in the psychology of reasoning and decision making can be reinterpreted and better explained in the light of this hypothesis. …

Several commentators, while agreeing that argumentation may be an important function of reasoning, suggest that it may serve other functions, as well. … Our claim is that argumentation is the main function of reasoning. …

Dessalles and Frankish suggest that argumentation could have evolved as a means to display one’s intellectual skills. Indeed, argumentation can be put to such a use. However, … reasoning is more like a crow’s than a peacock’s tail: It may be a bit drab, but it serves its main function well. Its occasional use, for instance, in academic milieus, to display one’s intellectual skills is unlikely to contribute to fitness to the point of having become a biological function, let alone the main function of reasoning. …

Pietraszewski … draws attention to a … class of cases … [where] who is arguing should be just as important as what they are saying when considering the ‘goodness’ of an argument” … The main relevance of a communicative act may be … in the very fact that it took place at all; it may have to do with … signaling agreement and disagreement. This can be done in particular by using arguments not so much to convince but to polarize. …

Frankish points out that reasoning can be used to strengthen our resolve by buttressing our decisions with supporting arguments… (leggi; versione integrale)

C' è una cosa che non convince: perché le due parti (parlatore/ascoltatore) scelgono come ring (o come punto d' incontro) il terreno della ragione?

giovedì 29 dicembre 2011

Beato chi ha torto (perchè un bel giorno avrà ragione)

Jason Reitman - thank you for smoking

… impalo tua madre e do’ il cadavere in pasto ai cani con la sifilide…

Niente paura, è solo una “battuta aziendale” destinata a suscitare una breve ilarità tra colleghi già impegnati ad escogitarne un’ altra che sia all’ altezza. Nella noiosa vita nelle multinazionali si tira sera anche così.

Cosa vi credete che dicano i chirurghi davanti alla macchinetta del caffé? Ironizzano sulle vostre trippe senza neanche sapere che son vostre.

Il “popolo degli indignati”, quello che non fa mai passare di moda la gogna pubblica, s’ indignerà ancora una volta di fronte all’ ovvio. Devo dire che colpirlo sotto la cintura è sempre un piacere. Siccome questo film lo fa a ripetizione, risulta piacevolissimo.

Nick Naylor è pagato per parlare e si guadagna da vivere rappresentando un’ organizzazione – la Big Tobacco - che uccide 1.200 esseri umani al giorno… praticamente c’ è Attila, Gengis Kan… e poi lui.

Non è un lavoro facile…

… richiede una moralità flessibile che manca alla maggior parte di persone…

Non solo, è un lavoro talmente assorbente da lasciare a malapena il tempo per dormire (giusto qualche volta la domenica notte).

Però ti consente di passare buona parte della giornata nel lusso: per esempio andando a cena in ristoranti che servono solo cibo bianco.

Oppure viaggiando su ascensori ultimo modello:

Peter (orgoglioso): cosa senti?

Nick: niente.

Peter (entusiasta): esatto!

Poi c’ è la TV, tanta TV e l’ odio palpabile di milioni di persone:

D’ altronde il motto del lobbista perfetto è sempre stato:

… se vuoi un lavoro facile, vai nella Croce Rossa…

Nick rimpiange i tempi del cinema d’ antan, quallo in cui fumavano tutti: James Stewart, Paul Newman… Bette Davis poi… una ciminiera. Vorrebbe rinverdirli progettando film ambientati nel 3012 con “scopata cosmica” tra Bradd Pitt e Catherina Zeta Jones e pippatona finale guarnita da saturnini anelli di fumo (“ma Brad li saprà fare?”).

Fortunatamente per Nick la vita non è poi così sacra come qualcuno dice, e il comitato MDM (mercanti di morte) lo sa bene. Il “comitato MdM” è un po’ quel che è la macchinetta del caffè per i chirurghi, solo che qui siamo nel “ramo” alcool-armi-fumo.

Poi c’ è Joey, il figlio di Nick. Lui ammira suo padre, sebbene sappia bene che quando apre bocca rischia ogni volta di rovinargli l’ infanzia.

Ma alla fin fine anche Joey concorda, tanto è vero che ripete ispirato:

… puoi chamarlo capitalismo… libero mercato… ma anche… amore…

Ora però la mamma di Joey sta con Brad, il quale è molto preoccupato del fumo passivo che Joey subisce durante i week end che trascorre col padre, ma anche in questo caso Nick ha la risposta da dare alle angosce dell’ irreprensibile patrigno:

… non preoccuparti Brad, ci penso io, in fondo il papà sono io… tu sei solo quello che si scopa la mamma…

La domanda cruciale del film sembra proprio essere questa: perché i “cattivi” ci sembrano più simpatici e più credibili dei buoni?

Congettura: i cattivi sono più consapevoli, nel tentativo di imbellettare il loro lato debole dimostrano di conoscerlo a menadito. I buoni sono vittime delle loro “troppe ragioni”, cio’ li rende ottusi, col paraocchi tipico dei crociati. Sembrano persino ridicoli, hanno nomi ridicoli come Ortolan e abiti ridicoli: incrociandoli viene voglia di prenderli in giro spaventandoli con un grido a squarciagola: “voglio quel fermacravatta!”

E, come se non bastasse, anche loro, se messi alle strette, non difettano certo di cinismo:

… queste cazzo di no profit… quando cerchi un ragazzo col cancro da mandare in TV… deve essere un caso disperato… deve stare su una sedia a rotelle… deve girare col suo pesciolino nella vaschetta…

Qualcuno di questi tristi e pericolosi individui termina la sua carriera infilando mutandoni al Giudizio Universale di Michelangelo, forse a Ortolan va ancora peggio: avvalendosi delle nuove tecnologie digitali “restaura con gusto” gloriose vecchie pellicole sostituendo le sigarette in mano ai divi con dei lecca lecca (“loro sarebbero stati d’ accordo!”).

finis

finis2

La difesa dell’ indifendibile approntata da Nick ha varie sfumature. Spesso attinge dal materiale dell’ Academy of Tobacco Studies, il centro studi delle multinazionali del fumo, un posto diretto da uno scienziato pazzo (naturalmente tedesco) che negherebbe anche la forza di gravità. Il posto ideale per i boss delle “associate” in cerca di scampo dalle mogli.

Ma è di fronte al malato di cancro che siede di fronte a te nel talk show che si deve dare il meglio:

… la morte ci toglie clienti, per questo la combattiamo con tutte le nostre forze…

In altri casi bastano i classici e sempre persuasivi:

… ma chi l’ ha detto?…

O, in alternativa:

… il problema è al vaglio degli scienziati… al momento non sono emerse chiare prove del legame…

In casi estremi c’ è sempre il decoroso:

… nessuna legge lo proibisce!… non ancora!…

Per Nick l’ America è proprio un paese fantastico, soprattutto…

… per il suo sistema di appelli infiniti…

Ci sono poi “difese” particolari. Per esempio quella fatta in privato e rivolta alla ragazza “con le tette spaziali” da portare a letto. Nell’ intento di stimolare l’ onnipresente istinto da crocerossina si puo’ ricorrere alla “Norimberga degli yuppies”: tutti hanno un mutuo da pagare.

Corollario:

… il 99% delle azioni umane si fanno per pagare un mutuo, forse il mondo sarebbe migliore se tutti vivessero in affitto…

A volte sembra che Nick si “converta”, ma non al “bene”, bensì al “male”.

Ovverossia: sembra quasi tirar fuori dal cilindro difese autentiche. A furia di parlare si ferma e si accorge di essersi convinto senza volerlo, ha detto proprio la cosa giusta!

Come quando parla al figlio faccia a faccia:

Oppure nell’ arringa svolta in Parlamento, quando ormai è un uomo solo e licenziato:

Una gran lingua, non c’ è che dire. Ma, inattesi, qua e là, anche un gran cervello e un gran cuore. Evidentemente Nick si sente chiamare da un destino a lui superiore verso una missione ben precisa: difendere i più indifesi (ovvero le multinazionali). Lo farà fino in fondo e, licenziato dai codardi “tabaccai” che imboccano la strada del patteggiamento, si dedicherà anima e corpo… all’ elettrosmog.

mercoledì 28 dicembre 2011

La madre di tutte le virtù

Ermanno Olmi:

… c’ eravamo illusi di essere ricchi e non c’ eravamo accorti che la povertà è la madre di tutte le virtù… reimpariamo a essere giusti e a liberarci del superfluo… leggi tutto.

Ecco servito che crede che il pauperismo sia morto e sepolto. In realtà non c’ è niente di più à la page.

Una sola precisazione su cosa differenzia il Cattolico pauperista dal Cattolico libertario?

Il primo dà valore alla povertà, il secondo anche alla scelta: la povertà non è stimabile in sé, lo diventa se accompagnata da una scelta consapevole.

Siccome solo il ricco puo’ scegliere di diventare povero, il problema principale consiste nell’ arricchirsi: da ricchi potremo sia scegliere la povertà che alleviare quella altrui.

timm

venerdì 23 dicembre 2011

La fabbrica delle coscienze

Giuseppe Dossetti – Amore di Dio, coscienza della storia.

Si usa dire che la Costituzione italiana fosse il felice frutto dell’ incontro tra la cultura comunista e quella cattolica: in genere conosciamo bene la prima, molto meno la seconda. Almeno quella di cui si parla in riferimento alla Costituzione, visto che, a quanto pare, non ne esiste una sola.

Frequentare Giuseppe Dossetti aiuta senz’ altro a colmare la lacuna. Non solo partecipò ai lavori della Costituente, ma la sua opera fu particolarmente seminale, specie nella Democrazia Cristiana dei decenni a venire.

Non stiamo dunque cercando di resuscitare un polveroso ingegno politico del passato, bensì un’ intelligenza con influssi riconosciuti sull’ oggi, se è vero come è vero che discepoli entusiasti come Leopoldo Elia, Beniamino Andreatta e Romano Prodi hanno un peso anche sulla storia recente.

Il Cattolico adulto guarda a lui come a un capo stipite e alla sua (sofferta) riflessione come a un punto di riferimento.

… dobbiamo ora porci l’ obiettivo di formare le coscienze dei cristiani per edificare in loro l’ uomo interiore compiuto anche quanto all’ etica pubblica…

In questo messaggio c’ è già molto. C’ è per esempio l’ idea (sofferta) che il cristiano sia tale benché privo di coscienza e di etica pubblica. Ma c’ è soprattutto l’ idea (sofferta) di un’ avanguardia educatrice (noi, ovvero i “Cattolici adulti”).

La fiducia (sofferta) di poter formare e vigilare sulle coscienze altrui derivava al politico/monaco dalla ferma (ma sofferta) convinzione che:

… le conseguenze degli atti umani, in primo luogo quelli politici, non sono incalcolabili bensì perfettamente calcolabili…

Niente complessità o “battito d’ ali di farfalla” nella (sofferta) visione dossettiana: la realtà, e la realtà sociale in primis, è qualcosa di “pianificabile” attraverso le (sofferte) direttive emanate da un retto pensiero.

La sua voce (sofferta) si fece sentire anche negli anni novanta combattendo la “cultura dell’ uninominale” che pretende di sostituire la centralità comunitaria (ovvero del partito) con quella della persona. Ma soprattutto la “cultura della scelta”, e qui il bersaglio grosso fu l’ ideologo della Lega Gianfranco Miglio.

Per il pragmatismo di Miglio gli ordinamenti federali sono realtà dove centro e periferia trattano e negoziano senza sosta. La cosa suonava intollerabile: se le cose stessero così cosa differenzierebbe la politica dall’ economia? Cosa differenzierebbe il patto dalla sovranità?

Per Dossetti l’ enfasi sulla libera scelta (anche in politica) è un frutto avvelenato della decadenza occidentale.

L’ uomo nasce per aderire al bene non per scegliere tra bene e male, c’ è un elemento che va inculcato e che precede necessariamente la scelta volontaria e la libera conoscenza. Ci sono dunque doveri che s’ impongono prima ancora di decidere i comportamenti personali. La presenza di doveri che s’ impongono a priori (sottomissione delle periferie al centro, dei pianeti al sole) legittima la presenza di una classe adulta che provveda a imporli.

In Dossetti, sulla scorta del citatissimo Lévinas, la fede è innanzitutto morale, la ricerca di verità resta sullo sfondo.

Non solo, la fede rettamente intesa deve informare tutte le attività umane a cominciare da quella politica. Ma poiché la politica incide sulle vite altrui, se la morale è chiamata a questo compito, allora diventa necessariamente moralismo.

E così fu.

Persino una volta ritiratosi a vita monacale Dossetti si riteneva ancora “in campo”. A sentir lui mai come allora continuava a far politica:

1. Ostentando la sua castità intendeva combattere la polis moderna infettata dai divorzi, dal libero amore e da mille multiformi infecondità.

2. Uniformandosi a forme di povertà spartane intendeva ergersi a nemico della società opulenta consegnatasi alle cose materiali.

StephanieGonot2

3. L’ amore e la sottomissione al fratello erano invece il modo migliore per lanciare la crociata contro tutte le guerre.

Personalmente è proprio dalla frequentazione di Giuseppe Dossetti che ho imparato a diffidare di certe pretesche austerità dall’ aria sofferente, scorgendo dietro di esse le forme dell’ autoritarismo moralistico più insidioso.

5 minuti

Il ritorno della vongola

Benedetto Croce Luigi Einaudi: Liberalismo e liberismo
Di cosa parliamo quando parliamo di liberismo?
PREMESSA: cominciamo subito col dire che la parola è intraducibile, non esiste nemmeno in altre lingue, è una nostra prerogativa e risale alla diatriba documentata in questo libro.
Ma non utilizzerei nemmeno il termine di diatriba visto l’ atteggiamento deferente di Einaudi, sempre chino nell’ atto di baciar l’ anello a don Benedetto. Il quale gli porge incurante la mano protendendo il mignolo dall’ unghia lunghissima e senza mai interrompere il dotto excursus storico che lo rapisce.
CROCE: il concetto di libertà appartiene alla sfera morale dell’ essere, qualcosa che non tollera la contaminazione con le specificazioni (liberiste). La libertà è in fondo un’ inclinazione dello Spirito (una Religione) che si attua nella storia in una sequela di forme sempre cangianti, è da frigidi fermarla in una definizione.
Detto questo il filosofo tornò più volte scocciato sull’ argomento al fine, disse, di ripulire dal gergo filosofico e ribadire le argomentazioni per renderle accessibili a chiunque. Un simile rovello fa sospettare che il Maestro intuisse da solo la presenza di sabbia negli ingranaggi della macchina che andava costruendo.
EINAUDI: come puo’ esistere la libertà senza il liberismo? Come puo’ esistere la libertà d’ espressione se mi è impedito possedere un locale nel quale invitare un pubblico a cui rivolgermi? La libertà senza liberismo è una libertà senza volto.
Girl_in_chair_8x10_gallery
Il concetto di Einaudi è una variazione sullo spartito di Hayek: chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini, se i miei fini sono stabiliti da altri (Stato) posso davvero dirmi libero?
Responsabilità e Merito, poi, sono i fili che allacciano Utile (liberismo) e Morale (libertà).
Croce, per contro, si appella alla coscienza morale: mi pongo ogni giorno davanti alla realtà (sociale) e sgombro da pregiudizi giudico se è confacente all’ uomo libero. Tutto lo Spirito dell’ umanità si raduna in me giudice, e il verdetto ha qualcosa di unanime, di indipendente dalla mia persona.
Un criterio sublime, ma poco pratico. Soprattutto poco disposto a tener conto di sensibilità diverse che lo farebbero saltare in aria.
Oggi la via più modesta intrapresa dall’ economista piemontese è accettata dalla generalità degli studiosi, la Storia ha favorito l’ intelligibilità rispetto alle vette della coscienza tanto care allo Storico dell’ Europa.
Ricordo che da Croce venne anche la famosa sentenza per cui “la scienza non pensa”, essa ci elargisce solo pseudo-concetti, cosicché molti fanno risalire la scarsa cultura scientifica degli italiani all’ influenza nefasta quanto ipertrofica che ebbe l’ idealismo del filosofo napoletano.
Se ricordo che i migliori scienziati italiani sono usciti dalla scuola gentilian-crociana, mi viene da pensare che i nemici della scienza siano ben altri.
Meno azzardato far risalire a lui la genealogia del “liberale alle vongole” a cui pensava Longanesi, ovvero il “liberale” che ha talmente in disprezzo la pratica da opporsi di fatto a tutte le politiche liberali.

giovedì 22 dicembre 2011

Fortunelli e paraplegici

I filosofi antichi hanno ancora molto da insegnarci in tema di felicità, le parole del Buddah ci parlano ancora:

… il saggio non desidera nulla e non parla a vuoto… qualsiasi cosa gli capiti, nella disgrazia e nella fortuna, va per la sua strada senza attaccarsi a nulla…

Ma soprattutto risuonano quelle di Epitteto:

… tu non dei cercare che le cose procedano a tuo modo… ma volere che siano così come stanno… e bene starà…

Sembrano dirci che aspirare ai beni esteriori equivale a rincorrere il vento. La felicità si trova dentro di noi, nell’ accettazione di quel che siamo.

E la scienza conferma.

Lanciarci in progetti ambiziosi spesso non conviene: siamo pessimi nelle nostre previsioni affettive. Un caso macroscopico: pensiamo, per esempio, che tra il vincere alla lotteria un milione di euro e rompersi l’ osso del collo restando paralizzati esista un abisso in termini di felicità, ma non è così.

Certo, tra diventare miliardari e restare su una sedia a rotelle corre una certa differenza ma nel giro di un anno fortunelli e paraplegici saranno pressoché tornati ai loro livelli standard: la mente umana è sensibile ai cambiamenti ma non ai livelli. Conta più il viaggio della destinazione, più i progressi inattesi che il conseguimento della meta.

La salute, l’ età, la ricchezza, la bellezza… tutte cose che pesano molto meno di quanto si creda. Senza contare che gran parte del nostro sforzo è messo in campo per impressionare gli altri.

Se a cio’ aggiungiamo che il livello medio di felicità è ereditario arriviamo alla sconcertante conclusione per cui a lungo termine non importa poi molto quel che ci succede. Questa futilità degli sforzi riscontrata nella psicologia sperimentale è più che mai in linea con l’ insegnamento degli antichi maestri.

Eppure un filosofo come Robert Solomon ritiene che la filosofia del distacco sia un affronto alla natura umana.

In effetti anche questo è vero. Possiamo concludere – contro Buddah – che forse ad alcune cose vale la pena di aspirare, e la felicità viene anche da fuori se si sa dove cercarla.

Il trucco sta nell’ accettare le infelicità a cui ci si adatta per ottenere in cambio felicità durevoli. Alcuni consigli:

1. Rumore. Il rumore peggiora la nostra vita, ad esso non ci si abitua, così come a tutti i fattori che non possiamo controllare. Se esistesse un bottone per far cessare i rumori saremmo più felici a prescindere dall’ uso. Per questo che ci piace “partecipare” (voto, interventi, opinione…) anche se il nostro contributo al cambiamento delle cose è pari a zero: otteniamo l’ illusione del controllo.

2. Pendolarismo. Volete spostarvi in periferia e avere una casa più grande? Non fatelo!: alla casa grande ci si abitua, al pendolarismo no.

3. Vergogna. Un intervento mirato di chirurgia estetica puo’ migliorare sensibilmente e durevolmente la vita di una persona.

4. Relazioni. Non ci si adatta mai al conflitto interpersonale. Solide relazioni con il prossimo sono l’ ingrediente base in ogni ricetta per la felicità.

5. Flusso. Una persona è felice quando si immerge totalmente in un compito difficile che mette in gioco le loro capacità. Sciare, cantare, guidare velocemente su una strada tortuosa… nel flusso c’ è una sfida che cattura l’ attenzione: ci sono problemi e risposte immediate che sappiamo fornire. La cosa ci gratifica.

6. Sensi. Un buon pasto, una buona musica ci allietano la giornata se si sa mantenere il controllo.

i017

7. Senso. Dare un senso a cio’ che si fa conta. Accompagnare l’ azione con un ideale è buona cosa.

8. Armonia. Essere in ufficio la stessa persona che siamo tra le quattro mura di casa, aiuta.

Jonatahn Haidt – Felicità. Un’ ipotesi.

 

Libertarianism A-Z: banca centrale

In via di principio le funzioni stabilizzatrici di contrasto alla deflazione tipiche della Banca Centrale sono assai utili al sistema economico; non solo, si puo’ anche affermare a ragion vedutaa che alcune politiche monetarie siano meglio di altre. Ma c’ è anche da far rilevare che gli USA, fino al 1914, non avevano una Banca centrale, e molti paesi l’ hanno instaurata solo tardi nel corso del XX secolo. Non sembra che la mancanza abbia comportato gravi inconvenienti. Questo perché “stabilizzare” un sistema complesso è impresa ardua e spesso gli inconvenienti sovrastano i benefici. Meglio allora le politiche anti-cicliche del free banking.

mercoledì 21 dicembre 2011

Libertarianism A-Z: aborto

E’ difficile capire quando “comincia un uomo”, quando l’ anima entra in un corpo, diventano rilevanti l’ intuizione personale e le credenze religiose. Tuttavia la biologia ci aiuta a dire che che la fecondazione dell’ ovulo non è certo un momento scelto arbitrariamente, anzi.

C' è anche da dire che spesso la società moderna tollera l’ assassinio: pena di morte, legittima difesa, estrema necessità. Ma l’ assassinio di un innocente è altra cosa.

Tuttavia, anche chi considera l’ aborto un crimine, conviene sul fatto che la repressione sic et simpliciter di un crimine di questa naturaè molto difficile, meglio allora puntare su un' azione razionale di riduzione del danno.

Siamo in cerca di soluzioni e per cercare meglio sarebbe il caso di mettere in concorrenza diversi approcci. Si decentrino allora le decisioni lasciando la materia agli enti locali.