Benedetto Croce Luigi Einaudi: Liberalismo e liberismo
Di cosa parliamo quando parliamo di liberismo?
PREMESSA: cominciamo subito col dire che la parola è intraducibile, non esiste nemmeno in altre lingue, è una nostra prerogativa e risale alla diatriba documentata in questo libro.
Ma non utilizzerei nemmeno il termine di diatriba visto l’ atteggiamento deferente di Einaudi, sempre chino nell’ atto di baciar l’ anello a don Benedetto. Il quale gli porge incurante la mano protendendo il mignolo dall’ unghia lunghissima e senza mai interrompere il dotto excursus storico che lo rapisce.
CROCE: il concetto di libertà appartiene alla sfera morale dell’ essere, qualcosa che non tollera la contaminazione con le specificazioni (liberiste). La libertà è in fondo un’ inclinazione dello Spirito (una Religione) che si attua nella storia in una sequela di forme sempre cangianti, è da frigidi fermarla in una definizione.
Detto questo il filosofo tornò più volte scocciato sull’ argomento al fine, disse, di ripulire dal gergo filosofico e ribadire le argomentazioni per renderle accessibili a chiunque. Un simile rovello fa sospettare che il Maestro intuisse da solo la presenza di sabbia negli ingranaggi della macchina che andava costruendo.
EINAUDI: come puo’ esistere la libertà senza il liberismo? Come puo’ esistere la libertà d’ espressione se mi è impedito possedere un locale nel quale invitare un pubblico a cui rivolgermi? La libertà senza liberismo è una libertà senza volto.
Il concetto di Einaudi è una variazione sullo spartito di Hayek: chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini, se i miei fini sono stabiliti da altri (Stato) posso davvero dirmi libero?
Responsabilità e Merito, poi, sono i fili che allacciano Utile (liberismo) e Morale (libertà).
Croce, per contro, si appella alla coscienza morale: mi pongo ogni giorno davanti alla realtà (sociale) e sgombro da pregiudizi giudico se è confacente all’ uomo libero. Tutto lo Spirito dell’ umanità si raduna in me giudice, e il verdetto ha qualcosa di unanime, di indipendente dalla mia persona.
Un criterio sublime, ma poco pratico. Soprattutto poco disposto a tener conto di sensibilità diverse che lo farebbero saltare in aria.
Oggi la via più modesta intrapresa dall’ economista piemontese è accettata dalla generalità degli studiosi, la Storia ha favorito l’ intelligibilità rispetto alle vette della coscienza tanto care allo Storico dell’ Europa.
Ricordo che da Croce venne anche la famosa sentenza per cui “la scienza non pensa”, essa ci elargisce solo pseudo-concetti, cosicché molti fanno risalire la scarsa cultura scientifica degli italiani all’ influenza nefasta quanto ipertrofica che ebbe l’ idealismo del filosofo napoletano.
Se ricordo che i migliori scienziati italiani sono usciti dalla scuola gentilian-crociana, mi viene da pensare che i nemici della scienza siano ben altri.
Meno azzardato far risalire a lui la genealogia del “liberale alle vongole” a cui pensava Longanesi, ovvero il “liberale” che ha talmente in disprezzo la pratica da opporsi di fatto a tutte le politiche liberali.