venerdì 23 dicembre 2011

La fabbrica delle coscienze

Giuseppe Dossetti – Amore di Dio, coscienza della storia.

Si usa dire che la Costituzione italiana fosse il felice frutto dell’ incontro tra la cultura comunista e quella cattolica: in genere conosciamo bene la prima, molto meno la seconda. Almeno quella di cui si parla in riferimento alla Costituzione, visto che, a quanto pare, non ne esiste una sola.

Frequentare Giuseppe Dossetti aiuta senz’ altro a colmare la lacuna. Non solo partecipò ai lavori della Costituente, ma la sua opera fu particolarmente seminale, specie nella Democrazia Cristiana dei decenni a venire.

Non stiamo dunque cercando di resuscitare un polveroso ingegno politico del passato, bensì un’ intelligenza con influssi riconosciuti sull’ oggi, se è vero come è vero che discepoli entusiasti come Leopoldo Elia, Beniamino Andreatta e Romano Prodi hanno un peso anche sulla storia recente.

Il Cattolico adulto guarda a lui come a un capo stipite e alla sua (sofferta) riflessione come a un punto di riferimento.

… dobbiamo ora porci l’ obiettivo di formare le coscienze dei cristiani per edificare in loro l’ uomo interiore compiuto anche quanto all’ etica pubblica…

In questo messaggio c’ è già molto. C’ è per esempio l’ idea (sofferta) che il cristiano sia tale benché privo di coscienza e di etica pubblica. Ma c’ è soprattutto l’ idea (sofferta) di un’ avanguardia educatrice (noi, ovvero i “Cattolici adulti”).

La fiducia (sofferta) di poter formare e vigilare sulle coscienze altrui derivava al politico/monaco dalla ferma (ma sofferta) convinzione che:

… le conseguenze degli atti umani, in primo luogo quelli politici, non sono incalcolabili bensì perfettamente calcolabili…

Niente complessità o “battito d’ ali di farfalla” nella (sofferta) visione dossettiana: la realtà, e la realtà sociale in primis, è qualcosa di “pianificabile” attraverso le (sofferte) direttive emanate da un retto pensiero.

La sua voce (sofferta) si fece sentire anche negli anni novanta combattendo la “cultura dell’ uninominale” che pretende di sostituire la centralità comunitaria (ovvero del partito) con quella della persona. Ma soprattutto la “cultura della scelta”, e qui il bersaglio grosso fu l’ ideologo della Lega Gianfranco Miglio.

Per il pragmatismo di Miglio gli ordinamenti federali sono realtà dove centro e periferia trattano e negoziano senza sosta. La cosa suonava intollerabile: se le cose stessero così cosa differenzierebbe la politica dall’ economia? Cosa differenzierebbe il patto dalla sovranità?

Per Dossetti l’ enfasi sulla libera scelta (anche in politica) è un frutto avvelenato della decadenza occidentale.

L’ uomo nasce per aderire al bene non per scegliere tra bene e male, c’ è un elemento che va inculcato e che precede necessariamente la scelta volontaria e la libera conoscenza. Ci sono dunque doveri che s’ impongono prima ancora di decidere i comportamenti personali. La presenza di doveri che s’ impongono a priori (sottomissione delle periferie al centro, dei pianeti al sole) legittima la presenza di una classe adulta che provveda a imporli.

In Dossetti, sulla scorta del citatissimo Lévinas, la fede è innanzitutto morale, la ricerca di verità resta sullo sfondo.

Non solo, la fede rettamente intesa deve informare tutte le attività umane a cominciare da quella politica. Ma poiché la politica incide sulle vite altrui, se la morale è chiamata a questo compito, allora diventa necessariamente moralismo.

E così fu.

Persino una volta ritiratosi a vita monacale Dossetti si riteneva ancora “in campo”. A sentir lui mai come allora continuava a far politica:

1. Ostentando la sua castità intendeva combattere la polis moderna infettata dai divorzi, dal libero amore e da mille multiformi infecondità.

2. Uniformandosi a forme di povertà spartane intendeva ergersi a nemico della società opulenta consegnatasi alle cose materiali.

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3. L’ amore e la sottomissione al fratello erano invece il modo migliore per lanciare la crociata contro tutte le guerre.

Personalmente è proprio dalla frequentazione di Giuseppe Dossetti che ho imparato a diffidare di certe pretesche austerità dall’ aria sofferente, scorgendo dietro di esse le forme dell’ autoritarismo moralistico più insidioso.