I filosofi antichi hanno ancora molto da insegnarci in tema di felicità, le parole del Buddah ci parlano ancora:
… il saggio non desidera nulla e non parla a vuoto… qualsiasi cosa gli capiti, nella disgrazia e nella fortuna, va per la sua strada senza attaccarsi a nulla…
Ma soprattutto risuonano quelle di Epitteto:
… tu non dei cercare che le cose procedano a tuo modo… ma volere che siano così come stanno… e bene starà…
Sembrano dirci che aspirare ai beni esteriori equivale a rincorrere il vento. La felicità si trova dentro di noi, nell’ accettazione di quel che siamo.
E la scienza conferma.
Lanciarci in progetti ambiziosi spesso non conviene: siamo pessimi nelle nostre previsioni affettive. Un caso macroscopico: pensiamo, per esempio, che tra il vincere alla lotteria un milione di euro e rompersi l’ osso del collo restando paralizzati esista un abisso in termini di felicità, ma non è così.
Certo, tra diventare miliardari e restare su una sedia a rotelle corre una certa differenza ma nel giro di un anno fortunelli e paraplegici saranno pressoché tornati ai loro livelli standard: la mente umana è sensibile ai cambiamenti ma non ai livelli. Conta più il viaggio della destinazione, più i progressi inattesi che il conseguimento della meta.
La salute, l’ età, la ricchezza, la bellezza… tutte cose che pesano molto meno di quanto si creda. Senza contare che gran parte del nostro sforzo è messo in campo per impressionare gli altri.
Se a cio’ aggiungiamo che il livello medio di felicità è ereditario arriviamo alla sconcertante conclusione per cui a lungo termine non importa poi molto quel che ci succede. Questa futilità degli sforzi riscontrata nella psicologia sperimentale è più che mai in linea con l’ insegnamento degli antichi maestri.
Eppure un filosofo come Robert Solomon ritiene che la filosofia del distacco sia un affronto alla natura umana.
In effetti anche questo è vero. Possiamo concludere – contro Buddah – che forse ad alcune cose vale la pena di aspirare, e la felicità viene anche da fuori se si sa dove cercarla.
Il trucco sta nell’ accettare le infelicità a cui ci si adatta per ottenere in cambio felicità durevoli. Alcuni consigli:
1. Rumore. Il rumore peggiora la nostra vita, ad esso non ci si abitua, così come a tutti i fattori che non possiamo controllare. Se esistesse un bottone per far cessare i rumori saremmo più felici a prescindere dall’ uso. Per questo che ci piace “partecipare” (voto, interventi, opinione…) anche se il nostro contributo al cambiamento delle cose è pari a zero: otteniamo l’ illusione del controllo.
2. Pendolarismo. Volete spostarvi in periferia e avere una casa più grande? Non fatelo!: alla casa grande ci si abitua, al pendolarismo no.
3. Vergogna. Un intervento mirato di chirurgia estetica puo’ migliorare sensibilmente e durevolmente la vita di una persona.
4. Relazioni. Non ci si adatta mai al conflitto interpersonale. Solide relazioni con il prossimo sono l’ ingrediente base in ogni ricetta per la felicità.
5. Flusso. Una persona è felice quando si immerge totalmente in un compito difficile che mette in gioco le loro capacità. Sciare, cantare, guidare velocemente su una strada tortuosa… nel flusso c’ è una sfida che cattura l’ attenzione: ci sono problemi e risposte immediate che sappiamo fornire. La cosa ci gratifica.
6. Sensi. Un buon pasto, una buona musica ci allietano la giornata se si sa mantenere il controllo.
7. Senso. Dare un senso a cio’ che si fa conta. Accompagnare l’ azione con un ideale è buona cosa.
8. Armonia. Essere in ufficio la stessa persona che siamo tra le quattro mura di casa, aiuta.
Jonatahn Haidt – Felicità. Un’ ipotesi.