Mario Monicelli – Un borghese piccolo piccolo
Trama:
Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi) è un modesto impiegato alla soglia della pensione in un ufficio pubblico della capitale. La sua vita si divide tra lavoro e famiglia. Con la moglie (Shelley Winters) condivide grandi aspettative per il figlio Mario (Vincenzo Crocitti), neo-diplomato ragioniere, un ragazzo non molto brillante che asseconda volentieri gli sforzi che il padre compie per impiegarlo nello stesso ufficio.
Giovanni si espone nel tentativo di aiutare il figlio, fino al punto di umiliarsi nei confronti dei suoi superiori, iscrivendosi a una loggia massonica che gli consentirà di acquisire amicizie e favoritismi ai quali prima non avrebbe mai potuto accedere.
Proprio quando i tentativi di Giovanni Vivaldi sembrano volgere al successo, il figlio Mario rimane ucciso, colpito da una pallottola vagante esplosa nel corso di una sparatoria successiva a una rapina nella quale padre e figlio si trovano accidentalmente coinvolti.
L'evento tragico e le sofferenze che ne conseguono stravolgono la vita, le convinzioni e la morale dei coniugi Vivaldi. La moglie di Giovanni, colpita da malore, perde la voce e rimane gravemente invalida; Giovanni, accecato dal dolore e dall'odio, si getterà a capofitto in un'impresa solitaria e disperata, che lo porterà dapprima a individuare l'assassino del figlio, quindi a sottrarlo alla cattura della Polizia. Sequestrato l'uomo in una capanna isolata, Giovanni lo sottopone a una violenza cupa e inaudita che lo condurrà lentamente alla morte.
Per Giovanni arriva poi il momento della desiderata pensione e, dopo nemmeno un giorno, la triste morte della moglie oramai gravemente segnata dall'invalidità. Giovanni si prepara con serenità e rassegnazione a vivere la propria vecchiaia, ma uno scontro verbale involontario con un giovane sfaccendato gli farà rivivere quel ruolo di giustiziere che lo ha già portato e forse lo porterà a uccidere ancora.
Al suo meglio la maschera di Alberto Sordi evoca tenerezza e ribrezzo: un dissonante accordo che risuona chiaro in questo film come mai altrove.
Centrifugati da istinti divergenti come l’ autocommiserazione da un lato e la voglia di dissociarci dall’ altro, solleticati nel nostro istinto moralista, lo guardiamo agire impensieriti dalla familiarità con dinamiche che vorremmo tanto estranee al nostro mondo.
Prendiamone una: siamo a tavola (sancta sanctorum della famiglia borghese).
In mattinata Giovanni Vivaldi (Alberto) si è recato in ufficio con una missione: raccomandare al suo capo ufficio il figlio ragioniere per il concorso al Ministero.
Davanti alla pastasciutta il resoconto delle sue gesta è enfatico e ottimista. Si gonfia una bolla che la moglie fa esplodere con una “parolilla” di amaro scetticismo. Il Vivaldi collassa in una crisi di nervi che ne denuncia la fragilità di fondo: fuori dalla porta di casa passa la vita a camminare su un filo.
Ma in che mondo siamo?
Siamo nel mondo in cui il maschio è breadwinner, conduce la sua vita nella giungla d’ asfalto, un ambiente dove l’ evoluzione ha sagomato una super razza: l’ homo hypocritus.
Anche in casa il Maschio breadwinner-razza-Homo Hypocritus, prolunga i riti formali con cui tenere insieme i pezzi della sua fragile porcellana: coltiva la complicità del figlio maschio agitando uno scettro di cartapesta, vanta particolari competenze, ostenta sprezzo verso la donna di casa (che si presta alla commedia) relegandola pubblicamente a esclusive di secondo ordine.
Ma una volta al desco, col bamboccione a perdere il suo giorno altrove, si passa alla sostanza e l’ ottimismo (ipocrita) della volontà è messo a dura prova da una “parolilla” pronunciata da chi detiene uno scettro molto meno visibile ma d’ oro zecchino.
La seconda parte del film è la sconvolgente metamorfosi della dabbenaggine in istinto criminale, quasi che il cumulo di tanta ipocrisia sia destinata prima o poi a far esplodere forme di insana sincerità, vera rappresentazione della banalità del male.
Per qualcuno è anche la spettacolare denuncia del verminaio che sta sotto la pietra di certe vite asfittiche: la vita a cui ci condanna la società borghese.
Il film si presta bene a questa interpretazione (che nel merito s’ incaglia quando considerano gli antidoti e chi si oppone alla somministrazione).
Preferisco allora, per quanto forzata, l’ interpretazione contenuta in nuce nell’ ammonimento che Don Garavaglia ci fece al termine del corso fidanzati 2009: ricordatevi che ora vi sposerete e quindi sarete finalmente in tre. Poi, forse, arriveranno anche i figli.
Ecco, nella famiglia di Alberto mancava qualcuno, cosicché è bastato poco per ritrovarsi soli e con la mente sconvolta.