giovedì 7 luglio 2011

In che modo il “multiverso” ci parla di Dio

Non avete pagato il pizzo e i sicari della mafia intendono darvi una lezione; una volta scoperti tentate la fuga infilandovi in un vicolo cieco ma vi hanno visto e vi inseguono, siete ormai con le spalle al muro, sono in cinque e da pochi passi scaricano le loro mitragliette su di voi.

Dopo la raffica infinita vi accorgete di essere illesi, tutte le pallottole vi hanno solo sfiorato.

A questo punto potete 1) o tentare di spiegarvi in qualche maniera quanto accaduto o 2) liquidare la faccenda come una casualità: vi hanno semplicemente mancato.

Quale vi sembra l’ atteggiamento più sensato?

Quella appena descritta è una buona analogia dell’ Uomo nell’ Universo, lo sostiene il filosofo John Leslie: l’ estrema improbabilità di questo universo e della nostra esistenza puo’ essere spiegata o accettata come casuale.

Dall’ analogia traspare in modo evidente quale sia l’ atteggiamento più ragionevole. Come potremmo infatti mai pensare ad una casualità?

D’ altronde il concetto di “multiverso” testimonia che anche gli scienziati duri e puri tentano di darsi una spiegazione. Gli universi paralleli, infatti, non sono osservabili per definizione, la scienza dovrebbe disinteressarsene, eppure la loro esistenza è postulata al fine di togliere casualità alla origine dell’ universo in cui viviamo.

A questo punto Leslie si chiede: ma la spiegazione teista non è forse più semplice di quella cervellotica degli infiniti universi paralleli?