venerdì 1 luglio 2011

Casi amari

Woody Allen – Match Point

Woody Allen non ha mai fatto mistero di collocare il cinema europeo parecchie spanne sopra quello americano. A partire dalla tradizione (cito a memoria):

“nel confrontare i nostri Maestri con quelli europei mi cresce dentro un senso di vergogna… è qualcosa di disarmante… eravamo così ingenui… e non abbiamo mai recuperato…”.

Quella mania di tagliar giù con l’ accetta semplificando tutto. Ma soprattutto quella mania delle storie di schiavizzare ogni scena per renderla funzionale al racconto.

Se in un film americano Tizio incontra Caio, l’ ascoltatore è meglio che se l’ annoti in fretta sul taccuino mentale, perché la cosa avrà ripercussioni. E se non sarà così, il film sarà da qualificarsi come sfilacciato e dispersivo.

In un film europeo, non è per niente detto che le cose stiano in questi termini, anzi. Quand’ anche l’ incontro sia a posteriori giudicabile come radicalmente gratuito, avrete assistito a un sofisticato effetto realtà destinato a nobilitare la pellicola.

Con una battuta: nei film europei, di tanto in tanto, ci si puo’ infilare un sonnellino.

Diciamolo più chiaramente: sarà che ha perso un mucchio di guerre, sarà che ne ha combattute molte senza raccapezzarsi (partendo di qua e finendo di là), sarà che ne ha viste di tutti i colori, ma l’ europeo medio, per usare un eufemismo, tende a credere che la realtà sia a dir poco labirintica.

Un modo efficace per esprimerlo consiste nel conferire un posto d’ onore alla fortuna.

Woody rende un tiepido omaggio ai suoi maestri facendo del caso un protagonista assoluto di questo bel film.

Un caso domato, per la verità, che agisce nella storia anziché sulla storia.

In altri termini: Woody non tira i dadi per decidere la sequenza successiva, il suo è un film girato all’ americana: pulito, coeso e coerente (almeno se ci dimentichiamo che esistono anche i tabulati telefonici).

Chris, il classico bravo ragazzo, dopo averla illusa, uccide sia l’ amante che lo ossessionava rifiutandosi di abortire, sia una vecchia (per sviare le indagini); torna dalla ricca e ignara moglie che con tutta la famiglia è al settimo cielo da nove mesi perché lei finalmente è restata incinta. E’ giunta l’ ora di sgravarsi! La fortuna s’ incaricherà di trasformare il piano raffazzonato e l’ azione maldestra di un incensurato, nell’ omicidio perfetto.  A farne le spese sono sia le vittime (trucidate) che il colpevole (in fondo avrebbe voluto lavarsi l’ anima pagando il fio).

Chris ha cavalcato per tutto il film una tigre idrofoba che, proprio al momento di disarcionarlo e azzannarlo, si trasforma come per incanto in un ciuchino mansueto.

Ed ecco presentarsi il labirinto: al ritorno dall’ ospedale lui si sofferma sulla creaturina: deve fingere di gioire per una cosa di cui non puo’ gioire ma che in fondo lo fa gioire. In altri termini, le sozzure lo costringono a fare cio’ che avrebbe fatto spontaneamente.

E intanto noi ci ascoltiamo della grande opera. Ma l’ omaggio non è alle fiammeggianti cabalette, bensì allo sfrigolio dei vecchi dischi. I portentosi sentimenti mediterranei inscenati al Metropolitan, covano anche a latitudini spaziotemporali diverse ma si ripropongono sotto una coltre di polvere, proprio come la musica riprodotta da quei dischi usurati. Il sangue sparso dalla passione con gestualità impulsiva, ora è sparso da una vigliaccheria catatonica.

Si evita con cura di retribuire equamente le anime coinvolte e far quadrare i conti: il delizioso amaro in bocca con cui Woody ci lascia è tutto europeo.

Un retrogusto da conservare intatto proteggendolo da ogni insidia dello humor, che qui come non mai è tenuto a distanza siderale.  

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