L' arte ricicla un linguaggio abortito sulla via dell' evoluzione, un linguaggio in embrione, un linguaggio vago. La vaghezza linguistica serve a facilitare la ricerca e il legame comunitario. Per avere una ricerca infinita occorrono realtà spirituali, per avere un legame profondo occorrono delle coscienze. Poichè l' arte tocca le coscienze, l' oggetto artistico (descrizione) passa in secondo piano a favore del fenomeno artistico (esperienza). La bellezza è un' esperienza intima: ci dice chi siamo e ci lega al suo autore.
Questo post ha un duplice obbiettivo:
6) Realismo o anti-realismo? Trovo più convincente la seconda opzione. Premessa: entrambe le posizioni si sposano con l' oggettivismo. E' anche vero che oggettivismo e realismo è l' accoppiata vincente: se un' opera mi appare bella, allora la sua bellezza è qualcosa di reale che posso descrivere. Molti pongono l' estetica in parallelo con l' etica facendo notare il realismo di quest' ultima: se un' azione mi pare buona, allora la sua bontà è qualcosa di reale che possono descrivere. In realtà, però, il buon senso sembra spingerci verso un' asimmetria tra etica ed estetica. L' etica si occupa dei valori umani mentre l' estetica delle emozioni umane. Ma anche la psicologia si occupa delle emozioni umane descrivendole puntualmente (realismo), eppure non potrebbero esistere due discipline che si occupano dello stesso oggetto. L' arte deve quindi differenziarsi da approcci concorrenti, esigenza che l' etica non ha. Lo fa allora rinunciando alla "descrizione" in favore dell' "espressione". L' arte non descrive emozioni ma le esprime. L' espressione ci parla di cio' che sfugge alla psicologia e a qualsiasi approccio descrittivo. L' espressione fa appello a un' esperienza interiore di emozioni da condividere: il sentimento della bellezza emerge quindi dentro di noi (anti-realismo) in una condivisione sincera. Essendo un' esperienza cessa di essere un attributo reale dell' opera d' arte. Senza una "destinazione" umana, il bello non esisterebbe.
5) La ragione ha una sua parte nel giudizio valutativo: dove c’ è oggettività, c’ è ragione.
7) L’ abilità dell’ artista è “caratteristica” e si chiama stile. Lo stile 1) consente di produrre un linguaggio vago poiché indica in modo trasversale e 2) consente di produrre un linguaggio personale. Il virtuosismo è abilità senza stile. La bellezza richiede una "personalizzazione", ha dunque una relazione con il singolo. La comunicazione ha bisogno di individui per realizzarsi. L’ arte relaziona le coscienze (autore/fruitore), quindi agisce su singole realtà spirituali (vedi sotto).
10) L' arte è rappresentazione o espressione? Poiché l' arte ha un significato viene facile considerarla una rappresentazione, tuttavia il suo significato, diversamente dalle altre rappresentazioni, è difficilmente traducibile e cio' instilla molti dubbi. Per contro, Croce considerava l' opera come espressione intuitiva dell' autore; in effetti l' elemento umano sembra imprescindibile per avere un' opera d' arte, tuttavia 1) l' intentionally fallacy non sarebbe tanto manifesta se davvero le cose stessero in questi termini e 2) dire che il significato dell' opera è racchiuso nell' intuizione dell' autore nulla ci dice del significato stesso. Bisogna mediare tra queste due posizioni: l' opera ha dei suoi significati e la natura espressiva dell' opera stessa è fondamentale per definirli in modo non arbitrario, tuttavia è fondamentale che il fruitore interiorizzi i contenuti espressi nell' opera legandoli ad esperienze personali, solo in questo modo "comprende" l' arte con cui entra in contatto.
11) C' è chi dice che nel caso dell' arte il verbo "esprimere" dovrebbe essere usato in modo intransitivo. Ma una simile prudenza è eccessiva, basta precisare che la specificazione di cio' che viene espresso avviene nell' interiorità di ciascun fruitore. Se l' autore esprime un dolore, puo' essere compreso solo connettendo la sua opera a cio' di indicibile di cui abbiamo fatto esperienza in circostanze dolorose, ma una simile connessione non si realizzerebbe mai se l' espressione fosse solo intransitiva.
11) Il problema del significato dell' opera non è posto dalla domanda "qual è il significato di questa musica?" ma piuttosto dalla domanda "ha senso collegare questa musica a questa mia esperienza umana?".
12) Il formalismo à la Hanslick sembra insufficiente a dar conto della bellezza musicale: proibisce con vigore l' uso di metafore ma poi le adotta lui stesso anche se appena meno specifiche. Perché, per esempio, vietare la metafora cardiaca ma consentire la metafora della pulsione quando la musica che si esamina non è né un cuore né una presenza pulsante. Forse che la metafora "gestalt" cessa di essere metaforica? Altri formalisti in passato sono caduti nella medesima contraddizione, evidentemente c' è qualcosa che non và nel formalismo: alle metafore che legano arte e vita non si puo' e non si deve rinunciare poiché la musica assume senso proprio avvicinando l' esperienza dell' ascolto alle esperienze vitali.
13) Per comprendere l' arte occorre comprendere le logiche del linguaggio metaforico. Il linguaggio metaforico non ha lo scopo di descrivere ma quello di connettere le cose coinvolgendo l' umanità di chi parla e di chi ascolta.
9) Bisogna intendersi meglio sull' oggetto di cui ci occupiamo (suono, immagine...). Esiste una distinzione importante tra oggetti e fenomeni. L' oggetto ha una sua fisicità e le sue proprietà possono essere ben rese attraverso descrizioni fisiche. Il fenomeno è inestricabilmente legato alla coscienza umana e non puo' essere penetrato in assenza di essa. Per esempio, il suono è da molti ritenuto un fenomeno poiché il sordo non puo' comprenderlo appieno, non puo' capire di cosa si parla quando si parla di suono, per quanto comprenda perfettamente il resoconto oggettivo che lo descrive in termini di vibrazioni frequenziali di un oggetto. Ebbene, questa interpretazione del suono mi sembra la più appropriata.
9) Contro la visione materialista, il suono/evento è dunque sganciato dalla fonte che lo produce. Cio' si ripercuote sull' epistemologia dell' opera d' arte. In questo senso viene accantonata l' impostazione "produttivista": per la comprensione dell' arte non è strettamente necessario comprendere appieno le modalità di realizzazione della stessa. In altri termini: l' esecutore (musicista, pittore, cineasta, scrittore...) non possiede particolari privilegi per comprendere l' opera (sinfonia, romanzo, tela...) che esegue. Insomma: in teoria potrebbe esistere un computer che compone musica di alto livello attraverso un software (e oggi roba del genere comincia a spuntare) ma non potrà mai esistere un computer che ascolta e comprende la musica, questo deve dirci qualcosa su cosa debba intendersi per "comprendere" l' arte.
14) Capire la musica significa assegnarle un significato non arbitrario che la connetta con qualcosa di rilevante appartenente alla nostra esperienza emotiva più profonda. Questa stessa connessione è essa stessa un' esperienza. La bellezza non è una proprietà dell' oggetto ma emerge da un' esperienza che il contatto con quell' oggetto ci facilità.
17) La contaminazione produce ambiguità e favorisce l' emergere della bellezza. Le arti di genere sono arti secondarie che antepongono i codici alla vaghezza. In merito nota la distinzione tra arte di genere e arte d'autore; la seconda è definita in negativo, come qualcosa che si nobilita sfuggendo all' etichetta e rifugiandosi nel mero stile.
18) L' originalità, essendo così legata allo stile e quindi ad una persona e ad una coscienza, è strettamente legata anche al bello.
20) Possiamo tentare una sintesi. Cos' è il bello? Il bello è un' esperienza in cui 1) ricerchiamo senso trovandolo ma senza mai esaurirlo 2) ci poniamo in comunione con la coscienza dell' autore nel corso della ricerca.
21) Perché la scienza - che è ricerca - non puo' dirsi arte?: Perché utilizza un linguaggio preciso, analitico quindi la sua ricerca in qualche modo "finisce", il suo senso viene assegnato e tutto termina, per questo non puo' applicarsi alle realtà spirituali. Una teoria scientifica è "finita". Poi magari è sbagliata e va corretta, ma è formulata per esaurire il proprio senso e venir verificata. Non ha senso recuperare vecchie teorie, il sapere scientifico è cumulativo. Inoltre, la ricerca scientifica non contempla lo stile evitando di caratterizzare l' individuo e la sua coscienza identitaria, ma cio' preclude quella comunione di coscienze tipica dell' arte. Il brividino estetico che puo' dare una teoria deriva dal fatto che anch' essa veicola una comprensione meravigliosa in cui il piccolo (formula) sintetizza mirabilmente il grande (universo), esattamente come fa il gesto artistico.
22) Perché il discorso del politico o del retore - che pure è vago - non è mai arte? 1) perché non implica ricerca autentica (la sua funzione consiste nel far credere che gli altri credano) e 2) in assenza di stile non implica comunione di coscienze.
23) Perchè uno spettacolo naturale - pur rinviando a significati vaghi - non è arte? Perché la natura non ha uno stile e quindi non realizza una comunione di coscienze (autore/fruitore). Naturalmente uno spirito religioso puo' pensare, per esempio, a Dio come autore e all' armonia come stile, ecco perché è tanto facile realizzare delle esperienze estetiche ammirando dei panorami naturali.
24) Perché in passato l' originalità - oggi imprescindibile - non era una virtù artistica? Il concetto di artista è recente (ottocento?). Prima si prendeva a modello il bello naturale, ovvero senza autore, senza coscienza. La religiosità più diffusa consentiva di vedere Dio come autore e la comunione si realizzava con nostro Signore, il vero autore dietro l' opera era considerato un artigiano illusionista.
25) Secondo i sostenitori della cosiddetta "art pour l' art", i criteri di valutazione dell' opera sono autonomi. Se quanto abbiamo deto fin qui è vero, esiste invece un collegamento tra opera e interiorità della coscienza, il che rende probabile un legame tra valori estetici e valori morali: l' opera agisce in modo potente sulla vita interiore del fruitore. Il moralismo più stantio è innanzitutto un errore estetico!
26) Tentiamo una sintesi. Come si diceva all' inizio la vaghezza linguistica ha anche una doppia funzione positiva 1) sviluppare conoscenza comune (gli esempi non mancano) e 2) far cooperare più soggetti alla ricerca di verità. La musica è un linguaggio vago che 1) ci unisce e 2) ci dice chi siamo realmente. Comunità e Verità. Per avere ricerca infinita è necessario che ci si applichi sulle realtà spirituali, per avere comunione è necessario avere delle coscienze. Ma come possono essere legati verità e unità? Attraverso la comunione per simpatia tra autore e ascoltatore.
Un esempio banale per farsi un' idea: se due soggetti guardano un oggetto blu diranno di vedere entrambi un oggetto blu, ma come possono essere sicuri di intendere per "blu" la stessa cosa? In altri termini, come possono essere sicuri di provare la stessa sensazione di fronte ad un oggetto blu? Non esiste questa garanzia, puo' darsi che di fronte a quell' oggetto il primo soggetto provi le stesse sensazioni che il secondo soggetto prova rispetto ad un oggetto giallo. L' equivoco di fondo è sempre possibile poiché le convenzioni linguistiche sono impotenti nell' affrontarlo, non esistono parole precise per esprimere l' esperienza del guardare un oggetto blu, e se questo vale per i colori, gusti e suoni, vale ancora di più per le emozioni e i valori. La nostra conoscenza più importante è di tipo "solipsistico" e l' arte - con la ricerca e l' unità che realizza - vince il solipsismo. L' intuizione è al centro di tutto e la musica lavora proprio sull' intuizione interiore di chi è chiamato a comprenderla.
La musica (e l' arte in generale) cerca in ultima analisi di colmare il nostro solipsismo, di diminuire le probabilità di equivoco con l' altro. L' arte crea una simpatia tra noi e l' autore riducendo gli equivoci a cui è sempre esposto il resoconto dell' esperienza interiore. Comunità e verità, quindi.
27) Molti critici delle arti contemporanee fanno notare come questo mondo manchi di capolavori. C' è qualcosa di vero in questo rilievo ma occorre aggiungere che, forse, oggi i capolavori non vengono nemmeno cercati, si ritiene pressoché impossibile crearne. Faccio un' analogia forse azzardata: anche la scienza manca di "grandi scoperte" ma è forse per questo meno apprezzabile rispetto alla scienza dei tempi di Newton o Einstein? No, più verosimilmente oggi viviamo in un mondo estremamente complesso, la scienza stessa è talmente complessa da essere quasi incomprensibile anche agli addetti ai lavori, ognuno si specializza nella sua nicchia e non è in grado di dominare l' intero panorama delle conoscenze, nemmeno di quelle inerenti alla sua materia. In queste condizioni difficilmente emergerà una figura in grado di regalarci scoperte sconvolgenti, l' impresa scientifica oggi non puo' che essere cooperativa. Forse accade lo stesso per l' arte, il panorama è inevitabilmente saturato da una pratica e una riflessione enorme esplosa negli ultimi due secoli. Ogni artista si specializza in modo cervellotico. Il Mozart c' era tutto: dramma, gioco, grottesco, satirico. Oggi possiamo ancora trovare di tutto e ad alto livello, ma dobbiamo spostarci da un autore all' altro, viaggiare tra i generi. Ecco: lo spettatore deve essere disposto a muoversi lui stesso per costruirsi da sé il suo "capolavoro". Il capolavoro, forse, non puo' che essere cooperativo e, forse, anche involontario. O meglio, è il fruitore che deve metterlo insieme raccogliendo un po' qua e un po' là formandolo come fosse una sua personale playlist.
ADD1. Ancora sul giudizio estetico. Per quanto si riconosca l' esistenza di valori estetici oggettivi, è praticamente impossibile ordinare per valore le opere, le comparazioni sono spesso assurde: valgono più 10 songs di Gerschwin o una sinfonia di Prokofiev? Vale di più l' Amleto o il Re Lear? Bisogna allora trovare altri metri: forse è più significativo valutare la produttività artistica di alcuni periodi storici. Ma con quale criterio? La qualità media dello opere non sembra un criterio adeguato, meglio concentrarsi sui picchi. Ma anche i picchi isolati possono trarre in inganno. Propongo due criteri: 1) considerare la qualità estesa (es. primi 100 picchi) e 2) considerare la varietà (i picchi nei vari generi).
ADD2. C' è sempre il problema della qualità e dei generi bassi. Ma se la bellezza è un' esperienza prima ancora che un requisito, possiamo tracciare un parallelo con la fede. Ora, possiamo avere la fede del raffinato teologo come possiamo avere la fede dell' ignorante pastorella (magari di Lourdes). Chi dei due sperimenta una fede più degna? Difficile dirlo, di sicuro la sperimentano sfruttando tramiti differenti: il primo sfrutta i ponderosi libri di teologia per accendere la sua fiammella, la seconda sfrutta l' accorata preghiera della devozione popolare. Esiste una sorta di qualità sia nel primo mezzo che nel secondo, una qualità che porta ad una fede degna sia nel primo caso che nel secondo. Così pure nella musica la bellezza puo' essere sperimentata sia apprezzando una grandiosa sinfonia che immergendosi in una canzone popolare costruita con tutti i crismi dell' autenticità.
Avevo iniziato a scrivere questo post ma poi mi sono stufato e l' ho piantato a metà. Forse la materia si è allargata un po' troppo e francamente ora non ho voglia di fare quello sforzo intellettuale necessario per riannnodare i fili. Pazienza, forse domani... per ora posto ugualmente i lavori in corso.
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Sono convinto che un’ autentica esperienza musicale sia qualcosa di raccomandabile: oltre ad arrecare piacere, contribuisce all’ edificazione spirituale della persona e al rafforzamento delle sue convinzioni più profonde.
Anche per questo sarebbe auspicabile che un giovane sia messo nelle condizioni più propizie per dedicarsi a
Mi spiego meglio.
Introdurre alla musica significa essenzialmente accompagnare per mano il neofita nel mondo dei suoni, senonché esistono concezioni molto diverse di cosa sia un suono.
Una semplice domanda spesso utilizzata da chi approfondisce queste faccende è già in grado di discriminare tra impostazioni radicalmente diverse: si puo’ introdurre una persona sorda nel mondo dei suoni?
Il buon senso ci dice di no ma secondo alcuni parrebbe invece di sì.
La risposta, evidentemente, dipende dalla concezione che si ha del suono e da questa concezione dipendono poi molte altre cose.
Chi risponde affermativamente ritiene che per capire cosa sia un suono basta descrivere come viene prodotto.
A questo punto si cominciano a menzionare oggetti vibranti, onde, frequenze, meccanismi di trasmissione nell’ etere, orecchi con relativa dotazione di timpani, membrane e quant' altro.
Per chi predilige questa impostazione il suono è semplicemente la proprietà che hanno alcuni oggetti di produrlo allorché opportunamente trattati.
Le azioni necessarie per produrre un suono possono essere puntigliosamente descritte e anche una persona sorda (ma intelligente) puo’ comprenderle abbastanza bene. Tutto puo’ essere anche visualizzato ed esemplificato, e questo senz’ altro aiuta. Insomma, col sordo si puo' fare di tutto tranne che ascoltare, cosicché divnta difficile dire se una persona del genere possa mai essere realmente "introdotto nel mondo dei suoni". In effetti a questa trafila sembrerebbe mancare qualcosa di fondamentale.
Eppure, considerare il suono come una semplice proprietà degli "oggetti risonanti” sembra entusiasmare molti. Perché?
Fateci caso. Cosa domina in questa visione?
Oggetti, aria, membrane… La materialità sembra farla da padrona nel resoconto "produttivista", e forse proprio questo piace tanto all’ uomo moderno che si sente come rassicurato e à la page dalla precisione e dalla concretezza "scientifica", per quanto arida possa essere.
L' evoluzionista, per esempio, guarda volentieri ai suoni in questa ottica: l’ uomo primitivo era abile nel risalire dai suoni alle fonti, per lui l' identificazione delle fonti era fondamentale, una questione di vita e di morte: le foglie del bosco schiacciate in una certa maniera producevano un suono che indicava l’ avvicinarsi dell’ orso da fuggire. Questa enfasi sui meccanismi di produzione sonora rende il suono in se stesso un epifenomeno trascurabile, quel che conta è la "fonte" e la sua identificazione.
Peccato che una descrizione del suono in questi termini, oltre che arida, sia anche lacunosa e insoddisfacente nel momento in cui pretende, contro il senso comune, che anche il bambino sordo possa comprendere appieno la musica.
Ma allora qual è l’ alternativa?
Per capirlo bisogna pensare meglio dove l' impostazione "produttivista" forza la mano.
In poche parole, essa identifica indebitamente il suono con le fonti sonore, il prodotto finito con il processo di produzione. Una volta descritti i processi per produrlo, si pensa di aver dato conto del suono, di aver fornito gli elemeti necessari per comprenderlo. Per questo motivo ho voluto chiamare questa visione "approccio produttivista".
Ma il suono, forse, è qualcosa di diverso, qualcosa di concepibile come a se stante, sebbene, nessuno lo nega, per esistere sia necessario che venga prodotto in qualche modo.
Questa confusione genera il paradosso del bambino sordo perfettamente consapevole della musica che non ascolta.
Fateci caso, in teoria anche un sordo sarebbe in grado di suonare uno strumento, persino di comporre una musica valida. Ma se è solo per questo anche un computer potrebbe in teoria suonare e comporre (cominciano in effetti a comparire prototipi in grado di superare il test di Turing relativo). D'altro canto, un computer non puo' ascoltare musica, proprio come il sordo. E' per questo motivo che chi non aderisce all' ideologia produttivista ritiene estremamente problematico introdurre alla musica sia il computer (per quanto intelligente) che il sordo (per quanto intelligente).
Ma proviamo allora ad evitare le forzature commesse dall' impostazione produttivista, proviamo ad essere più rigorosi, vediamo dove il rigore ci conduce e forse scopriremo anche perché si è tanto riluttanti a seguirlo.
L' alternativa migliore consiste nel considerare il suono un fenomeno (puro evento), ovvero qualcosa che noi possiamo anche descrivere parlando delle cause che lo hanno generato ma per comprenderlo appieno doppiamo necessariamente sperimentarlo.
Quando siete a tavola, provate a spiegare cosa si prova degustando il "dolce" ad una persona molto arguta che però non puo' sentire i sapori.
Il bambino sordo non puo’ comprendere i suoni perché puo’ comprenderne solo la descrizione. Ma se è vero che i suoni sono innanzitutto dei fenomeni, la loro comprensione implica sperimentazione diretta, attività preclusa al bambino sordo.
Ho quindi distinto il suono/oggetto dal suono/fenomeno, poiché solo quest’ ultima formula è rigorosa.
Non si puo’ dar conto di un fenomeno senza ricomprendere nel resoconto il soggetto che lo percepisce.
Non si puo’ dire cosa sia un suono senza far rientrare nel resoconto l’ orecchio che lo percepisce.
Nell' impostazione alternativa, quindi, l' orecchio in ascolto è più importante sia della mano che batte, pizzica o pigia, sia della bocca che soffia.
In realtà parlare di “orecchio” non basta. Se lo scenario fosse popolato solo di orecchi, mani e bocche avremmo in scena una serie di oggetti che interagiscono tra loro, e saremmo punto e a capo.
Per uscire dal circolo vizioso occorre che all’ altro capo della relazione ci sia una mente in grado di fare esperienze.
Si tratta di esperienze necessariamente solipsiste, ovvero non comunicabili, anche se possiamo supporre che l' esperienza di coloro a cui ragionevolmente attribuiamo una mente simile alla nostra, somigli in qualche modo alla nostra.
Ma forse parlare di mente è ancora poco, molti potrebbero avere una concezione fisicalista della mente, potrebbero pensare che i processi mentali siano descrivibili, io direi allora che occorre una coscienza. E per chi ritiene che anche la coscienza dell' uomo sia riducibile a descrizioni fedeli, è allora necessario parlare di spirito: per introdurre alla musica l' elemento centrale è lo spirito dell' ascoltatore.
Al cosiddetto "approccio produttivista" si contrappone quindi il cosiddetto "approccio spiritualista".
Riepilogo: noi capiamo cosa sia un suono, non attraverso una descrizione rigorosa dello stesso, ma mettendo al centro chi è in grado di capirlo. Solo mettendo al centro CHI capisce la COSA riusciamo a capirla noi stessi.
In altri termini, il suono è quel fenomeno prodotto da certe reazioni ben descritte dalla scienza acustica che puo’ essere compreso fino in fondo solo da una persona che ne fa un' esperienza diretta e solipsista, ovvero non comunicabile.
E allora diventa chiaro che perché il mondo dei suoni ha un senso necessariamente amputato per i bambini sordi che non potranno mai farne un' esperienza solipsista, pur potendo accedere a tutte le descrizioni più accurate in merito.
Ora diventa chiaro anche perché la via dettata dal senso comune, la via più rigorosa, chiara e priva di paradossi sia minoritaria: perché implica concetti quali quello di “introspezione”, "coscienza", “spirito” che sono come fumo negli occhi per molti uomini del nostro tempo in grado di tollerare a malapena il concetto di "orecchio".
D’ altro canto, spero, comincia a diventare meno improbabile la mia affermazione iniziale: “… un’ autentica esperienza musicale… contribuisce all’ edificazione spirituale dell’ uomo…”.
Se i suoni, e quindi la musica, sono così intimamente connessi con la mente umana, e quindi con lo spirito dell’ ascoltatore, diventa più plausibile che agendo opportunamente sui suoni si possa agire in modo edificante e consolante anche sullo spirito di chi ascolta.
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Dopo aver chiarito come intendere il "suono" possiamo ora dedicarci alla musica e al suo significato.
Così come il suono è cio' che sente chi ascolta un suono, il significato della musica è cio' che comprende chi capisce una musica. Ma cosa significa capire la musica?
La musica ordina i suoni come il linguaggio naturale ordina le parole e i concetti ma l' analogia non puo' protrarsi molto oltre.
Una persona dimostra di comprendere una parola del linguaggio naturale utilizzandola correttamente ma per la musica vale qualcosa del genere?
Il "produttivista" risponde affermativamente ma lo "spiritualista" è molto più prudente: suonare correttamente un brano musicale - cosa alla portata di sordi e computer, tanto per dire - non è garanzia di comprensione dello stesso così come, d' altro canto, una musica puo' essere compresa da chi l' ascolta senza essere in grado di riprodurla. Anzi, questo è il caso più comune.
Chi parla in modo goffo, meccanico e autistico puo' tuttavia comprendere benissimo il significato di cio' che dice mentre chi esegue volontariamente l' Adagio di Barber in modo goffo, meccanico e autistico, pur potendo fare altrimenti, non ha capito niente della musica che interpreta.
C' è chi pensa allora che comprendere la musica sia piuttosto assimilabile alla comprensione della mimica facciale dei nostri interlocutori. Non c' è dubbio infatti che è soprattutto attraverso questo espediente che noi diamo una coloritura espressiva alle frasi che pronunciamo.
In questo caso il parallelo regge senz' altro meglio. In effetti, per comprendere la mimica facciale del nostro interlocutore non è importante saperla riprodurre autonomamente. Perché mai un abile ritrattisti dovrebbe essere particolarmente abile nel dominare la sua mimica facciale?
Tuttavia anche questo parallelo rischia di essere incompleto, tanto è vero che non si vede perché un "produttivista" non possa farlo suo. Cosa impedisce, infatti, che attraverso una descrizione accurata della mimica facciale si possa poi redigere un dizionario analitico delle emozioni? Molta psicologia si dedica proprio a questo compito, e con successo! Ma se la sua descrizione analitica esaurisce la comprensione dell' emozione, allora siamo in pieno approccio "produttivista".
Noi comprendiamo la mimica facciale del nostro interlocutore solo se riusciamo a metterci nei suoi panni, solo se in noi esiste un' esperienza in qualche modo simile a quella che lui intende comunicarci. Per comprendere la sua mimica facciale dobbiamo necessariamente fare appello alla nostra vita interiore, in particolare isolando in modo non arbitrario quelle esperienze vissute in cui abbiamo potuto vivere a fondo delle emozioni quanto più simili a quelle che ora lui tenta di esprimere. Solo in questo caso c' è autentica comprensione della mimica facciale.
E per la musica è un po' lo stesso, in essa l' artista rappresenta alcune emozioni ed esiste un solo modo per comprenderle: fare appello alla nostra vita interiore isolando in modo non arbitrario l' esperienza personale che ci ha regalato emozioni in qualche modo assimilabili. E' solo con un riferimento all' esperienza personale, quindi, che si comprende la musica; attenzione però, non dico che l' esperienza concreta debba apparire in modo chiaro alla nostra immaginazione di ascoltatori, la musica non deve necessariamente rinviare a fatti concreti della nostra vita, il centro di tutto è l' emozione e solo quella, ma noi, per quanto detto prima, sappiamo che non possiamo conoscere cosa sia quell' emozione se non l' abbiamo esperita direttamente e in modo solipsistico.
Ora dovrebbe essere ancora più chiaro quanto sostenevo all' inizio: “… un’ autentica esperienza musicale… contribuisce all’ edificazione spirituale dell’ uomo…”: se la musica rinvia alle emozioni personalmente vissute, è chiaro che una grande musica evocherà in modo appropriato i frutti interiori più preziosi della vita vissuta riproponendoli in modo vivido alla nostra meditazione. La bellezza stessa non è tanto un attributo dell' opera quanto qualcosa che emerge da questa esperienza interiore che l' opera suscita. Ma queste sono anche le condizioni ideali per edificare il proprio Spirito e rafforzare le proprie convinzioni morali più autentiche.
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Il "produttivista" si oppone risoluto a conclusioni simili e cerca vie alternative. Quella "formalista", per esempio, gli sembra di gran lunga preferibile. Vediamo di che si tratta.
Per il formalista anche solo l' espressione "comprendere la musica" è quantomeno problematica. La musica ha davvero un senso da comprendere?
Probabilmente no, pensa il formalista. Non siamo affatto autorizzati a trattarla come la metafora di qualcosa, e soprattutto non dobbiamo coinvolgere la vita interiore di chi ha a che fare con i suoni: quando l' interiorità ha il sopravvento tutto si fa oscuro e incomprensibile.
La musica non puo' essere una metafora di qualcos' altro poiché si riferisce solo a se stessa.
Ma cosa significa un' affermazione del genere? Cosa significa affermare che la musica si riferisce solo a se stessa? Cosa significa affermare in modo perentorio l' autonomia della musica?
Eduard Hanslick, il padre nobile del formalismo, sosteneva che la musica è mera forma resa attraverso i suoni. L' architettura musicale e le varie dinamiche strumentali sono le uniche cose che siamo autorizzati a comprendere quando ascoltiamo della musica.
Coerente con questa impostazione EH ci parla delle musiche utilizzando proprio la metafora architettonica e dinamica. Ma qui cade in contraddizione poiché egli stesso fa un uso insistito di metafore, ovvero di uno strumento appena condannato. Anche per descrivere una mera forma musicale, infatti, si fa uso di metafore! Dire che la musica sale, scende o accelera, è solo una metafora, in realtà i suoni non fanno niente di tutto cio'.
Nemmeno il formalista, quindi, riesce a fare a meno delle metafore quando comprende la musica. Ma se il formalismo è un utopia, se la metafora è necessariamente sdoganata, tanto vale evitare quelle più sterili, ricorriamo piuttosto a quelle più pregnanti e più in grado di descrivere con pertinenza cio' che vive l' ascoltatore cosciente, anche a costo di rischiare di più in termini di arbitrio.
I formalisti moderni si sono accorti delle contraddizioni dei padri nobili e hanno dovuto giocoforza radicalizzare il loro approccio per poter tenerlo in piedi.
Per loro, oggi, fare musica equivale a giocare. Del resto in inglese "suonare" e "giocare2 sono la stessa cosa.
Per i formalisti ludici la musica non ci comunica nulla di significativo, la musica è completamente svuotata da ogni metafora, è solo una mera "sintassi sonora" dotata di regole con cui gioca chi ascolta e chi suona.
Ti annoi? Puoi riempire un cruciverba. Ti annoi ancora? Puoi compilare un sudoko. Il tedio ti assale? Puoi risolvere un rebus... Oppure, in alternativa, puoi pur sempre ascoltare/suonare della musica. In fondo si tratta di attività succedanee le une alle altre, tutte a disposizione del nostro piacere.
Allo "spiritualista" questa visione sembra davvero miserella.
Come dicevamo, lo "spiritualista" ritiene che la musica possa essere anche compresa. Che la comprensione sia una facoltà autonoma e indipendente. Contro il "produttivista2 ritiene che sia una facoltà scollegata dall' abilità nel riprodurre correttamente i suoni. Contro il formalista ludico ritiene che sia una facoltà scollegata dalla capacità di trarre un mero piacere dai suoni a cui si è esposti.
La visione del formalista ludico però è particolarmente insidiosa poiché il gioco è la specialità dei bambini e l' introduzione alla musica riguarda per lo più proprio loro.
La visione del formalista ludico attrae il formatore poiché grazie al mero gioco riesce ad interagire più facilmente con il discente.
In un certo senso giocare con la musica costituisce una tappa obbligata per chiunque voglia iniziare il bambino al mondo dei suoni. Il fatto preoccupante è che per la maggioranza dei formatori non esistono tappe ulteriori.
Per i formatori "ludico/produttivisti" l' evoluzione del discente è molto semplice: costui passa dall' essere un giocatore approssimativo all' essere un giocatore particolarmente abile. Fine.
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Appunto: parlando di formazione riprendi le 5 fasi del gioco abbinando a ciascuna un aspetto su cui insistere per una corretta formazione all' ascolto musicale...
giochi di ripetizione
giochi di ruolo
giochi di regole
giochi di scoperta (di regole)
giochi di metafora (sulle regole scoperte)
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John Sloboda – La mente musicale