L’ opulenta orchestrazione “cubista” sfocia in una fantasmagoria caleidoscopica dai colori fin troppo carichi. Anche le spruzzatine di elettronica dosate ingenuamente finiscono per imbrattare anziché decorare.
Eppure… avercene di gente che osa.
Adorabile voglia di strafare.
Belle le voci: quei cori senza coristi, imperniati su voci soliste eteroclite, a cominciare da quella dell’ efebo Stevens in persona; ne esce una ricca sonorità, un po’ soul nero, un po’ narcosi bianca; ognuno andrà anche per conto suo ma una volta ritoccati con sapienza i livelli in studio ne escono pennellate spesse e spensierate quanto involontarie polifonie microtonali. L’ ideale per passeggiare nei campi di fragole. Belle anche le tarantelle partenopee incrociate con la ballata scozzese; una menzione al breve solo pastorale del sinth, riesce a essere caldo quanto suo nonno: l’ oboe. Qua e là si celebrano matrimoni davvero buffi.
Il pop sinfonico dimostra a ancora una volta la sua schiacciante superiorità intellettuale sul rock sinfonico. Se mai ce ne fosse bisogno.
Genealogia: XTC, Berlioz, Incredible String Band.
Sevens Sufjan – The Age of Adz