Luigi Sturzo – appello ai liberi e forti
A Diana che è sempre alla (scettica) ricerca di pretini libertari, potrei proporre il nome di Antonio Rosmini. Ma, mi rendo conto, dobbiamo volare nell’ Ottocento; forse è impresa ardua per ali corte come le nostre.
Allora rilancio con il nome di don Luigi Sturzo.
Come vedi, per trovarne non c’ è bisogno di finire a Salt Lake City da Don Sirico, anche il Bel Paese ne sforna a raffica. Nascono come funghi dopo il temporale. Dai monti al mare, da Stresa a Caltagirone, neii paesini della provincia italica si producono spiriti di prim’ ordine.
E non sto parlando di figure marginali nemmeno all’ atto pratico.
Sturzo fu colui che nel XX secolo forgiò le regole per un dibattito corretto tra fede e politica. Fu colui che s’ incaricò di traghettare i cattolici italiani nella “modernità” chiedendo loro di occuparsi del “vivere civile” dopo l’ emarginazione del “non expedit” di Pio IX e spronandoli a non chiudersi nel circolo dell’ autoreferenzialità offrendo invece al mondo un’ alternativa valida all’ influenza marxista e socialista.
Ironia della sorte si oppose ai “cattolici liberali” e alla loro pretesa di separare senza residui la sfera politica e quella religiosa:
… sarebbe illogico cadere nell’ errore del cattolicesimo liberale, che reputa la religione un semplice affare di coscienza, e cerca quindi nello Stato laico un principio etico informatore della morale pubblica… anzi, è questo che noi combattiamo quando cerchiamo nella religione lo spirito vivificatore di tutta la vita individuale e collettiva; ma non possiamo con questo trasformarci nei paladini della Chiesa e parlare a nome della stessa…
L’ ossimoro incarnato nel “partito cattolico” era comunque colto con estrema lucidità: il cattolicesimo è religione, universalità; il partito è politica, divisione.
Che i cattolici si riuniscano allora in quanto spinti da una sensibilità affine e non in quanto congregazione religiosa, né come turba di fedeli.
Nel nome di Sturzo i cattolici si sono uniti in un partito, nel nome di Sturzo hanno intrapreso la loro diaspora nei vari partiti. La grandezza del suo messaggio autorizzava entrambe le soluzioni.
Si staccò da ogni forma di clericalismo e neoguelfismo per costituire il campione del credente che propugna la libertà come metodo.
Libertà religiosa, innanzitutto.
Libertà d’ insegnamento. Fondamentale per chi vede nelle idee e nella cultura il germe di tutti i cambiamenti sociali.
Libertà dalle burocrazie (l’ esilio in Inghilterra e i viaggi negli usa gli regalarono certezze adamantine in merito).
Libertà dal centralismo. Nulla fa maturare un popolo quanto l’ auto-governo.
Libertà dai partiti. Sentirlo denunciare la “partitocrazia” ce lo fa sembrare un uomo avanti di mezzo secolo.
Per molti cattolici la “centralità della famiglia” è un modo come un altro per chiedere sovvenzioni. Per Sturzo sembra quasi un concetto che faccia le veci dell’ “individualismo”: lasciate che la famiglia esprima tutte le sue potenzialità, non intralciatela, non imbrigliatela, non esautoratela.
La questione meridionale gli permise di denunciare la “cultura del piagnisteo” fatta di arroganti braccia tese e sonorizzata da un querulo quanto incessante “domandare”.
Rideva, poi, sulla tesi che riduceva queste emergenze a una questione di “lavori pubblici”. Sentiva piuttosto la mancanza di una classe borghese fattiva e autonoma, di un club intellettuale al passo con i tempi. Preoccupante e sintomatica, poi, la prevalenza in quelle terre degli studi a indirizzo giuridico, segno inequivocabile di decadenza per un popolo; almeno quanto la latitanza dello studio dell’ economia politica. Arrivò persino a indicare come fonte di guai la penuria di ebrei nella storia del nostro Mezzogiorno: la loro laboriosità amorale è proprio cio’ di cui si sente la mancanza.
L’ analisi del Mezzogiorno si salda con la denuncia del “parlamentarismo”, ovvero la degenerazione dei costumi elettorali che gravitano su masse mai emancipate dall’ influenza paternalistica del campanile. Un sentimentalismo mercanteggiante particolarmente pernicioso in politica.
Non poté mai sopportare l’ aria greve dello statalismo, la nuova religione laica che sostituisce il popolo a Dio.
Lo Stato soffre di elefantiasi, te lo ritrovi ovunque, persino nel cinema! Persino… nell’ Accademia di Santa Cecilia! Assurdo, tutto questo preme sulla carotide di don Luigi e lo soffoca.
Le colpe del fascismo sono grandi, ma quelle dell’ anti-fascismo non sono da meno: con loro lo statalismo, non solo non è stato rinnegato, ma ha fatto passi da gigante.
Secondo il prof. Rossi, don Luigi è un liberista manchesteriano di cento anni prima. E questo solo perché non smetteva mai di denunciare il noto vizietto:
… l’ economia italiana è solo apparentemente di mercato… l’ imprenditore gira le perdite appena puo’ avvalendosi dei metodi più fantasiosi… lo Stato, da par suo, sembra sobbarcarsi l’ onere più che volentieri visto che cio’ gli consentirà di espletare in modo meno goffo quella che sente come la sua missione dirigista…
Il guaio è psicologico: abbiamo perduto il “senso del rischio”. Perdita grave:
… al verificarsi di eventi spiacevoli, i licenziati inscenano subito manifestazioni, scioperi, occupazioni che costringono quasi sempre a un ritiro dei provvedimenti… e non certo per una benevolenza padronale… anzi, il padrone entra velocemente in questo ordine di idee e usa l’ arma dei sindacati operai, nonché le deputazioni politiche a cui ha accesso, per costringere ministeri e governo a intervenire…
Pensierini da “nemico del popolo” sulla Fiat:
… la Fiat non puo’ fallire?… fatta l’ ipotesi si crea di botto una psicologia per cui lo Stato è tenuto a intervenire e garantire tutte le intraprese che andranno male… presto non ne resterà una in piedi… Se la Fiat, nonostante tutti gli aiuti e protezioni, andasse male… e io fossi qualcosa nel Governo italiano… sequestrerei tutti i beni degli azionisti della Fiat per fare fronte al disastro… manderei in galera gli amministratori responsabili affidandomi a abili liquidatori… la nuova Fiat verrebbe su sana e senza debiti… Gli operai licenziati sarebbero messi alla pari degli altri disoccupati, per i quali lo Stato provvede nei limiti delle sue possibilità… curando che nessuno muoia di fame ma chiarendo che nessuno puo’ rivendicare particolari diritti… e che Dio disperda questa profezia…
Al disastro Nuovo Pignone di Firenze il santissimo sindaco La Pira reagì e invocò soluzioni ben diverse incorrendo negli strali infuocati del poco mistico don Luigi. Lo scambio epistolare tra i due edifica gli spiriti e fa comprendere come “ragione religiosa” e “ragione politica” abbiano un bem labile collegamento.
Con questo non si puo’ nemmeno dire che don Luigi fosse un “liberista manchesteriano” di cento anni prima, era solo un pretino a cui piaceva alternare “sogni” e “piedi in terra” e che in politica, negli affari e nelle pratiche comuni della vita di tutti i giorni si atteneva a quello che, specie dopo i suoi esili anglosassoni, considerava il principio più adatto a governare quei casi: un sano relativismo.