lunedì 7 novembre 2011

“Mettere le mani in tasca agli italiani”

Quando un grezzo politico italico, di quelli che circolano in questa epoca storica, se ne esce con questa grezza espressione, c’ è sempre un grezzo intellettuale italico, di quelli che circolano da sempre, che si frega le mani fiutando l’ ottima occasione per “indignarsi” e reclamare la scena avocando a sé la telecamera per un bel primo piano stretto che consenta di diffondere al meglio l’ invito a un lavacro purificatorio.

Paul Cadden

Dopodiché, con parole altisonanti si dà la stura a un fervorino con il quale magari non si osa intonare il celeberrimo slogan “le tasse sono bellissime”, tuttavia si indulge volentieri alla retorica dell’ “evasore ladro”, altrove nota come “It is your money, stupid”.

Roberta De Monticelli – filosofa in quota rosa, e quindi “microfonata” dai media anche quando va in bagno – non si fa certo pregare allorché le si presenta su un vassoio d’ argento l’ occasione di passare in un lampo da Kant, Locke, Guicciardini (che noia!) ai più eccitanti Lele Mora e Silvio Berlusconi. Ciò le consente si “sentirsi viva” e di immergersi nell’ ombelico del mondo! In realtà, nel parlare del suo libro, non sembra aspettare che questo momento. E nemmeno si puo’ dire che la facciano attendere molto visto che la “svolta” dell’ intervista di solito prende corpo appena superata la soglia dei primi quindici secondi:

Sarà la verve concitata, sarà lo scatenamento dell’ affamato davanti a tavole imbandite, saranno le luci della ribalta, saranno – che ipotesi cafona! - le idee un po’ confuse; sta di fatto che non si capisce più niente su “chi prende dalle tasche di chi” in materia di tasse.

Alle “indignate” interiezioni dell’ Amazzone, forse la migliore replica viene da Jerry Gaus – filosofo fuori da ogni “quota”, e quindi nemmeno tradotto, figuriamoci se intervistato – che dal monumentale The Order of Public Reason ci fa sapere a proposito di tasse e di “chi prende nelle tasche di chi”:

If the state is in the business of determining the shape of property, it may seem that everything it does – including taxing as it sees fit – is part of this job of specifying property rights. If so, it might appear that nobody could be in a position to argue that the state is taking away his property since until the state specifies it, there really is no effective right to property. There is, in this way of thinking, no Archimedean point outside of the state’s determinations of your property rights (or any other rights?) from which to criticize the state’s legislation, in particular its revenue legislation, as taking away what is yours, for its decisions determine what is yours.

This conclusion does not follow from recognizing that effective property rights are conventional and depend on the state. All laws are to be justified. This justification occurs against a background of one’s already justified rights, what I have called the order of justification. Now property rights, if not the most basic rights in the liberal order of justification, are certainly prior to many state laws and policies such as, say, funding museums. Hobbes, Locke, Rousseau, and Kant all recognized that distinguishing “mine” and “thine” is one of the first requisites of an effective social order. In seeking to fund museums, representatives of the state cannot simply say that citizens have no entitlement to their incomes because they, the representatives, determine property rights, and so they may tax for these purposes without justification. “Without us, there would be no property, so you have no property claims against us!” Once property rights have been justified, they form the background for further justifications; they can be justifiably overridden in order to tax, but this must be justified.

Chi avrà ragione?

Per ora accontentiamoci di avere le idee un po’ più chiare.

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