mercoledì 27 maggio 2020

QUA LA MANO

QUA LA MANO
Nel patteggiamento ci si accorda per uno sconto di pena a fronte di una sentenza immediata. La critica comune è che in tal modo ce la si cava con poco. In effetti, uno pensa, l'imputato accetta solo quando gli conviene, l'istituto è ritagliato sulle sue esigenze. Dopodiché, parte la canonica indignazione giustizialista.
Mi sembra che le cose non stiano esattamente in questi termini, lo vedo nelle commissioni tributarie dove non accordarsi con l'Ufficio e intraprendere un contenzioso è diventato ormai un azzardo mortale. E, del resto, l'Ufficio non manca mai di ricordartelo con mille allusioni. In parole povere, l'imputato stava molto meglio prima, altro che "istituto ritagliato sulle sue esigenze".
La dinamica che ci sta sotto è piuttosto controintuitiva, provo a descriverla con un esempio. Considerate la situazione di un ipotetico PM che ha sulla scrivania cento casi all'anno con un budget di 100.000 euro da spendere. Cio' significa solo mille euro da spendere per indagare e perseguire ogni caso. Ebbene, se il PM riuscisse a spingere novanta imputati al patteggiamento, potrebbe poi concentrare tutte le sue risorse sui dieci che rifiutano, spendere diecimila euro per ogni caso e ottenere un tasso di condanne del 90 percento. Cio' significa che rifiuterà qualsiasi patteggiamento in cui la prospettiva di condanna sia per lui peggiore a quota 90%. Tutti gli imputati, del resto, starebbero molto meglio se nessuno di loro accettasse l'offerta di patteggiamento - che è poi la condizione precedente all'introduzione dell'istituto - ma poiché prima o poi la slavina partirà, l'istituto finirà per danneggiare le prospettive di quasi tutti gli imputati. Come tutte le leggi, anche il patteggiamento sembra fatto su misura per la burocrazia, che del resto questo leggi le scrive e le consegna nelle mani del politico utile idiota.
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