giovedì 23 giugno 2011

La carestia delle parole

Felice Cimatti – Naturalmente comunisti – Bruno Mondadori

Il libro è difficile, ve lo dico subito. La densità filosofica dei primi capitoli potrebbe anche scoraggiare il bagnante estivo.

Quel che non si fatica a capire è con chi ce l’ ha:

… gli economisti, oltre ad essere in malafede… sono completamente infettati dal capitale, che letteralmente parla attraverso i loro corpi…

Devo ammettere che fa una certa impressione discorrere con chi ti ritiene “persona infetta” e in malafede.

Chissà se esiste una tecnica particolare per intervistare i pupazzi che hanno il “capitale” come ventriloquo. Anche le “infezioni” richiederanno distanze minime. Sicuramente c’ è una contromisura per tutto, anche se la malafede cronica potrebbe dare qualche grattacapo.

L’ aggressività di Cimatti ha comunque l’ effetto di trasformare in urgenza la lettura del suo libro, qualcuno potrebbe pensare ad un’ oliata tecnica di marketing.

Fortunatamente è altrettanto chiaro sulle tesi propugnate:

… la vita vissuto sotto il sistema economico che chiamiamo capitalismo è innaturale… la vita naturale… è quella che il filosofo Karl Marx chiamava comunismo…

Per il conduttore di fahrenheit, tanto per cominciare, il capitalismo non è solo alienante – questo lo dice anche il Papa, che non si sente un comunista naturale – ma è necessariamente alienante.

L’ uomo, ipnotizzato e reso passivo dallo spettacolo della “merce”, entra totalmente al suo servizio. Non servono moniti per far cessare l’ inganno, qualcuno deve semplicemente spegnere la lanterna magica e farla finita. Solo così intaccheremo la fede più retriva che esista: quella nel denaro.

In secondo luogo, nella società capitalista far soldi diventa che lo si voglia o no un pensiero fisso, cosicché il sistema sviluppa presto una sua impermeabilità a qualsiasi etica.

[… anche all’ etica borghese?…]

Sono affermazioni forti, ma per fortuna testabili: misuriamo se le cose stanno davvero così! Benjamin Friedman, che c’ ha provato, è giunto a conclusioni opposte: la ricchezza innalza lo standard etico e la consapevolezza del soggetto.

Ma Cimatti, almeno inizialmente, le dà per scontate. E’ più interessato a ricostruire le ragioni di un simile sfacelo.

E le ragioni sarebbero biologiche.

Anche per questo, parlando con Vlad, mi ero illuso che considerazioni fatte altrove tornassero buone in questa sede.

Senonché, siamo o non siamo in Europa? E allora rassegniamoci, le cose sono molto più complicate:

… la natura umana è qualcosa di troppo importante per lasciarla solo agli scienziati…

Coerentemente con questa affermazione, passando alla sostanza, la biologia si defila e cede il passo alla filosofia; è lei che dovrà fare sintesi e vedersela con i maledetti economisti!

Anzi, l’ approccio sociobiologico standard diventa presto un nemico da rintuzzare. Wilson e Pinker sono considerati, ma per essere di continuo riveduti e corretti in chiave filosofica.

Cosicché, la natura umana non puo’ essere circoscritta da alcuni istinti tipici, al contrario:

… la natura umana sta nella capacità dell’ uomo di pensare il possibile

Qui la curiosità aumenta, perché se c’ è un sistema che privilegia la speranza – anche sulla felicità – questo è il sistema capitalistico.

Al punto che in passato è finito ripetutamente sotto accusa per i processi di distruzione creativa che innesca, per i stressanti cambiamenti continui che fomenta. Ma in questa requisitoria, sembrerebbe sia chiamato sul banco degli imputati per la palude stagnante e senza prospettive in cui ci costringe a vivere.

Tuttavia, a ben pensarci, forse il comunismo gode in effetti di un privilegio: quello di essere praticamente impossibile da realizzare, e quindi sempre pensabile come possibile in ogni situazione concreta.

Non avete l’ impressione di un leggero capogiro?

Tra le tante che mi lasciano dubbioso, cerco ora rapidamente di venire ad un paio di questioni nevralgiche. La prima è ben colta da chi si pone a questo incrocio.

Sono gli uomini che danno vita a relazioni o è la relazione che dà vita agli uomini?

Sono le parti che fanno il contratto o è il contratto che fa le parti?

Cimatti, sotto l’ egida di Durkheim, rifiuta l’ individualismo metodologico e prende la seconda via.

Io, con Weber, la psicologia evoluzionista, quasi tutte le scienze sociali contemporane e il buon senso, sarei più propenso a prendere la prima. Tuttavia, di fronte a palesi inconvenienti, non mi farei problemi a saltare il fosso.

Ma dove sono i palesi inconvenienti? Li vedo semmai sulla sponda opposta, là dove mi si chiede di approdare.

Ricordo, tanti anni fa, un bel dibattito su questo punto; allora Cimatti avrebbe avuto come formidabile alleato il guru della nuova destra Alain De Benoist. Un caso? Non penso, di sicuro un inconveniente!

[Parentesi: anche l’ antropologia cristiana ondeggia pericolosamente su questo crinale quando comincia a discettare in modo ambiguo sulla distinzione tra individuo e persona. Poi, fortunatamente, ciascuno riconosce che nel giorno del Giudizio staremo a quattr’ occhi di fronte al buon Dio, e così la concezione individualista s’ impone per forza di cose…]

La relazione, il contratto… tutta roba che per essere realizzata ha bisogno di una lingua, ovvero di un bene che noi riceviamo dall’ ambiente. Su questo aspetto il capitalismo, secondo Cimatti, sarebbe cieco:

… la lingua come prodotto di un singolo individuo è un assurdo… ma altrettanto lo è la proprietà privata delle altre risorse (pubbliche)…

Detta così sembrerebbe che Tremonti voglia privatizzare gli aggettivi. Il che effettivamente sarebbe assurdo.

C’ è una bella differenza tra la parola “bicicletta” e la mia bicicletta.

La mia bicicletta è una e, se permetti, la uso io. Visto che se la uso io non la usi tu (e viceversa), urge una regola.

La parola possono usarla tutti, persino in un regime capitalista. Possiamo usarla anche tutti insieme contemporaneamente. Qui non serve una regola che governi le precedenze.

Se alla ruota della fortuna qualche “speculatore” compra una vocale, nessuno si preoccupa della possibile incetta. Ciascuno di noi ha con sé tutte le vocali che gli servono. Non serve un referendum per stabilire che le parole siano gratuite. Il capitalismo è un metodo per affrontare la scarsità, parlando della lingua siamo fuori dal dominio che si pone.

Un altro passaggio stimolante:

… io esisto semplicemente perché, prima di me e senza alcun mio merito, una precedente comunità mi ha fornito i mezzi materiali e linguistici per diventare umano…

Prima osservazione: di sicuro il Cioran che sta leggendo Diana trasformerebbe quel “senza alcun mio merito” in un “senza alcuna mia colpa”!

Ma a parte le considerazioni parossistiche, bisogna riconoscere che l’ ambiente in cui abbiamo vissuto condiziona la nostra personalità.

L’ ambiente ci condiziona per il fatto stesso di esistere, l’ isolamento, in questo senso, è pensabile solo a livello metafisico.

SOBIL

Ma questo comporta forse degli obblighi da parte di qualcuno?

Affinché nasca l’ obbligo, la questione del merito è centrale. A chi va attribuito il merito che io non ho?

Merito e colpa richiedono l’ esistenza di un’ intenzione. Ma il processo evolutivo è cieco, non esiste intenzione, solo fortuna, quindi per i frutti che produce non esistono meriti da premiare né colpe da punire.

Certo, il figlio è riconoscente verso i genitori. Il credente ringrazia Dio. Ma lì è presente un’ intenzione, una provvidenza; invece, dal puro e semplice condizionamento, come potrebbe mai nascere un obbligo giustificabile con la premiazione di un merito?

Comunque sento che presto parleremo di atomismo sociale, speriamo che lo si faccia con le dovute avvertenze.

***

Per ora mi fermo qui. Sebbene gli argomenti non sfavillano quanto le tesi (che grazie alla loro radicalità s’ impongono meglio all’ attenzione), la lettura è stata una buona occasione per ripassare Wilson, Pinker, Chomsky; per rispolverare Hobbes e Durkheim, per riesumare il cadavere di Marx, e anche per scoprire un autore a me sconosciuto: Gehlen.

Sono a metà del quarto capitolo e il libro, perorando un generico comunitarismo, avrebbe potuto intitolarsi anche “Naturalmente fascisti”, ma il quinto e ultimo capitolo (“Comunismo”) forse ha qualcosa da dire in merito. 

***

A conclusione lasciatemi fare una piccola postilla e poi non vi annoio più.

Altrove ci chiedevamo “perché gli intellettuali stanno a sinistra?”; forse perché cause improbabili richiedono argomenti contorti che, se visti sotto una certa luce, sono a loro modo sofisticati.

Chiudendo il libro sento che questa ipotesi viene in qualche modo corroborata.

Eppure nel caso di specie esistono argomenti semplici che scuotono in modo più efficace le mie certezze di apologeta del capitalismo pronto alla conversione.

Eccone uno: l’ uomo (più che egoista, razionale, aperto al possibile…) è fondamentalmente invidioso. Già oggi molti fenomeni riscontrabili nell’ economia di mercato sono spiegati al meglio valorizzando il ruolo dell’ invidia. Perché il neo-comunismo punta così poco sul sentimento verde?

mercoledì 22 giugno 2011

L’ inconveniente Gettier

Gettier con un articolo di tre pagine mise in crisi gli epistemologi.

Si riteneva che "conoscere" equivalesse a sapere che una certa cosa era vera quando questa cosa era vera e si era giustificati a credere alla sua veirutà.

Gettier mostra che anche se c' è 1) credenza 2) verità e 3) giustificazione, non si puo' parlare di conoscenza.

Alternative?

Forse l' alternativa migliore consiste nel considerare la conoscenza un processo anziché uno stato:

1) io credo a X (fino a prova contraria) perché alle mie facoltà X appare come vero

2) mi si presenta una prova contraria

3) rintuzzo la prova contraria e torno a credere a X (fino a nuova contraria) oppure accetto la prova e credo a non-X (fino a prova contraria)

In questo processo non esiste una netta distinzione tra credere e conoscere.

Se però ci accontentiamo potremmo dire che chi conosce s' impegna a seguire un processo (quello sopra descritto) a cui chi crede si disinteressa.


Libertarianism A-Z: protezione civile

E’ giusto che il governo intervenga nelle emergenze a seguito di disastri naturali. Il problema è che spesso non si limita a questo trasformandosi in un vero e proprio assicuratore.

Poiché taluni disastri sono frequenti e in buona parte prevedibili, cio’ è fonte di cattivi comportamenti.

Abusivismo, incuria del territorio, tutto diventa sensato: in caso le cose vadano male si riscuoterà l’ assicurazione della Protezione Civile.

Chiudo facendo rilevare che se esiste un ente che si dedica alle emergenze, le emergenze si moltiplicheranno al fine che si moltiplichino gli affari. Teoria? No, cronaca, specie in Italia.

La cosa migliore è limitarsi all’ emergenza dell’ immediato, quella vera, quella nella quale ci sono ben pochi affari da concludere.

Genesi dell’ ipocrisia

Beati i poveri di spirito, dice l’ evangelo, e mi sia consentito d’ interpretare questa beatitudine come una maledizione contro l’ ipocrisia.

Poiché a una simile invettiva nessuno oserebbe opporsi, cerco di estendere il dominio della maledizione nella speranza di fomentare un fertile disaccordo.

Da dove nasce l’ ipocrisia, a chi e a cosa puo’ essere imputata?

Per abbozzare una risposta mi faccio aiutare da un sommo conoscitore di epoche in cui l’ ipocrisia trovò la massima fioritura:

[Giovanni Macchia – La scuola dei sentimenti. Il teatro francese sotto Luigi XIV – Editori Riuniti]

Dopo l’ ascolto del maestro, l’ impressione è che nella genesi sia in qualche modo implicata un’ attenzione spasmodica al linguaggio, un’ attenzione che, non lo nego, nella sua fase iniziale puo’ avere anche intenti nobili.

Il lato lunare delle parole sopravanza sempre più quello solare, si scopre che l’ ombra è altrettanto feconda che la luce, se non di più.

La comunicazione guadagna lentamente il centro della scena.

C’ è una sorta di insana ossessione per i sentimenti risvegliati dalle sfumature espressive. Nel linguaggio si confida molto, al punto da vederlo come uno strumento di governo (politically correct?).

Lo si analizza e lo si viviseziona innamorandosi di dense concettosità che fanno tremare chi è chiamato ad aprire bocca: costui sa bene cosa dirà ma è totalmente all’ oscuro di cosa segnalerà.

La parola è cesellata in modo estenuato. Un’ opera alacre il cui prodotto finito sono delle vere e proprie maschere da mettere o togliere a seconda delle evenienze.

Con l’ avvento dei mafiosetti, le strizzate d’ occhio abbondano, le polisemie si moltiplicano e i sensi vengono continuamente arricchiti, rimpolpati, appesantiti e resi problematici.

Il disinteresse o lo scetticismo per i riferimenti esterni fa assurgere a capolavoro l’ ornamento e la cornice. Siamo presto circondati da esperti che dicono e spiegano troppe cose. Indagatori schematici chiamati a squadrare la giungla.

Baubotanik, or botanic architecture

Prende piede il gusto per il difficile (cosa segnala quel sorrisetto? a cosa allude la grinza sul naso?)

La carta millimetrata avvolge tutto, la spigolosità del reale viene smussata dall’ analisi, le cose sembrano scomparire, il loro gaio fracasso sfuma, si giace su una coordinata e non più nel “qui ed ora”, il territorio si dissolve intorno ai nostri piedi.

Resta solo la mappa contornata dai suoi esegeti che, rinchiusi in una cella astratta, s’ impastoiano nell’ infinito dibattito su segni e parole.

Tutta la metamorfosi del reale si svolge al chiuso: l’ asfittica aula del professore, l’ arida mente di uno spin doctor (Mazarino? Rondolino?). Manca il tempo per vivere e sperare, quando si è chiamati ad interpretare.

L’ ermeneuta, nel suo lento discorso, espone la ricetta per ottenere un “tono medio” in grado d’ insinuarsi in una classificazione precedentemente stilata e che sembrava definitiva.

Qualcun altro è destinatario della sottile consulenza, ma il vero divo è lui. Fa niente se pochi capiscono, lui parla per un’ elite e presto parlerà solo per il Re.

Il sentimento è visto come un punto debole da proteggere o da sfruttare; è una realtà gesuitica in cui vince chi governa al meglio il gioco del simula et dissimula.

Il sentimento e l’ istinto esistono solo in rapporto alla ragione che li scopre, che li scruta e li ingigantisce. Poi li usa con raffinata astuzia. Talmente raffinata da non saper evitare polveroni moralistici in cui denunciato e denunciante si confondono.

***

A questo punto parte la difesa d’ obbligo dell’ ermeneuta: non sono io barocco, è il mondo ad esserlo.

Dici?

Io e l’ evangelo pensiamo invece che potrebbe esserlo molto meno se solo indirizzassimo i nostri sforzi altrove (betting, not talking) anziché impegnarci in una schermaglia linguistica destinata all’ escalation entropica.

martedì 21 giugno 2011

Libertarianism A-Z: TV e radio

Molti sostengono che il governo debba possedere un canale televisivo e/o radiofonico che trasmetta programmi di qualità. Ne sappiamo qualcosa noi italiani cresciuti con Mamma Rai.

Ma chi decide quali sono i programmi di qualità?

Dopo non aver risposto alla domanda, constatiamo mestamente che tutti i media pendono a sinistra e i media governativi ancor di più. Come chiedere a un conservatore di pagare lo stipendio a un anchor man liberal la diffusione delle cui idee ritiene altamente nocive? Se la prima domanda era difficile, questa è impossibile.

Chiudo dicendo che anche il privato sa produrre qualità, gli esempi non mancano, a partire da History Channel.

Libertarianism A-Z: effetto serra

La lotta contro il riscaldamento globale infervora la politica del nostro tempo, forse perché fiuta l’ affare, molto “rosso” ieri in circolazione ieri e oggi non più presentabile si è ridato una spruzzata di “verde”.

Il fatto è che dietro ai sociologismi c’ è poi la questione di sostanza. Gran parte del merito è in mano alla scienza: quanto si sta scaldando il pianeta? In che misura ne sono responsabili le attività umane?

Quand’ anche però i precedenti interrogativi fossero appianati, i problemi più grossi della faccenda resterebbero intocchi.

Come calcolare le conseguenze del riscaldamento? Dopotutto, molti posti del nostro pianeta non sono accoglienti perché troppo freddi. Altri, sebbene molto caldi, sono stati resi ospitali.

Buona parte dell’ effetto serra, poi, è responsabilità dei governi. Con che coraggio si impedisce alle aziende che forniscono energia di tariffare in base ai periodi innalzando i prezzi durante i picchi? Con che coraggio esistono ancora parcheggi gratuiti e strade senza pedaggio? Prima di inaugurare nuove politiche, vediamo di far cessare quelle cattive.

C’ è poi la questione delle politiche concorrenti: in termini umani Kyoto vale più di una campagna contro la malaria? A occhio e croce direi proprio di no.

Come dicevo, tra gli ambientalisti ci sono molti riciclati di cui è lecito dubitare. Prendiamo le riserve contro soluzioni improntate al geoengineering, si ha la netta sensazione che siano avversate per il semplice fatto che non costringono la popolazione a rivedere iil suo stile di vita.

Libertarianismo A-Z: finanziamento campagne elettorali

S’ invoca un limite di spesa nel finanziamento delle campagne elettorali al fine di porre un argine a candidati super potenti.

Ma i soldi non sono voti e convertire i primi nei secondi è tutt’ altro che agevole.

Misurando la cattiva reputazione dei “ricchi” nelle democrazie moderne si ottiene un indice di come i soldi influenzino le opinioni. Per non parlare delle onnipresenti politiche redistribuite.

Ma è davvero così disdicevole investire nella politica? A volte l’ unico effetto che si ottiene è quello di far pesare di più un’ opinione informata rispetto al disinteresse generalizzato. Effetto tutt’ altro che malvagio.

E poi, anche se dei limiti ci fossero, come farli rispettare? L’ impresa non è agevole. In questi casi la trasparenza sopravanza la proibizione.

Libertarianism A-Z: discriminazione

Senza il governo sembra che la discriminazione non possa essere combattuta.

In effetti sul mercato esiste un gap in relazione a sesso e razza.

Ma la discriminazione sembra contare ben poco, altri sono i fattori in gioco, per esempio, le donne sembrano preferire lavori a basso valore aggiunto (insegnamento, cura…). Si tratta di fattori culturali e ogni popolo ha la sua cultura.

Cosa resta delle politiche discriminatorie? La punizione inflitta ai migliori.

I “migliori” dei gruppi penalizzati sono esclusi ingiustamente. I “migliori” dei gruppi avvantaggiati sono sottoposti a pregiudizio immeritato visto che ce l’ avrebbero fatta anche senza spintarelle.

Il mercato rende molto costoso discriminare senza gli inconvenienti delle politiche anti-discriminatorie.

Una società dove impera la “quota” è una società costruita in laboratorio sulla carta millimetrata, un obiettivo a dir poco complicato, conclusione che deve essere condivisa anche da chi si è infilato su quella strada in buona fede.

Libertarianism A-Z: sindacati

I sindacati non sono un male in sé, lo diventano nel momento in cui cominciano ad avere protezioni governative.

I sindacati vorrebbero alzare i salari. Stando alle evidenze non sembrano esserci riusciti: il livello dei salari nei vari paesi non è legato all’ importanza del sindacato.

In realtà la diffusione dei sindacati ha soprattutto un effetto: cambia i metodi produttivi. Automazione e outsourcing diventano convenienti.

Per i sindacati non resta che puntare sulla redistribuzione delle risorse, per farlo si politicizzano abbandonando la fabbrica dove erano nati.

ma la redistribuzione voluta dai sindacati è a dir poco curiosa: avvantaggia solo i lavoratori iscritti al sindacato.

In Italia ne sappiamo qualcosa di “mercato duale”.

Libertarianism A-Z: ricerca e innovazione

Molti sostengono che la politica debba finanziare la ricerca di base poiché il mercato non è in grado di farlo e da essa dipende anche la ricerca applicata.

Sarà vero?

Galileo, Newton, Cartesio, Darwin, Pasteur, Adam Smith, Milton Friedman… hanno operato senza sovvenzioni. Cio’ dimostra che il privato può produrre ottima ricerca di base.

Non tutti sanno poi che spesso è la ricerca di base che fiorisce da quella applicata.

Resta poi la questione di base: chi decide?

Chi decide se si va sulla luna o si costruisce una pista per elettroni?

Il burocrate, non proprio la persona più adatta, direi.

Per i san Tommaso c’ è poi l’ evidenza: a grandi sovvenzioni statali non corrispondono grandi scoperte. Corrisponde piuttosto uno spiazzamento della ricerca privata che, se continua a esistere, spesso diventa parassitaria.

Libertarianism A-Z: tasse

Le tasse servono a molte cose, ma hanno anche un costo: distorcono le decisioni economiche.

Chi per sua scelta vorrebbe lavorare dieci ore al giorno si rassegna a lavorarne otto una volta resosi conto che il suo salario è decurtato dalle tasse.

L’ unica tassa che non “distorce” è quella per capitazione: mille euro a testa e via. Non è molto diffusa.

Le distorsioni si moltiplicano all’ infinito quando le politiche diventano sempre più “mirate”.

Un altro costo delle tasse è la compliance: farle pagare costa, a volta addirittura più di quel che si raccoglie.

L’ ultimo costo è il più rilevante: l’ inefficienza. Le risorse spese dal burocrate sarebbero state spese con più oculatezza da chi le ha prodotte.

lunedì 20 giugno 2011

Matana

Regredisci e celebra, regredisci e celebra.

Scava e prega, scava e prega.

Chi vorrebbe chiudere le messe in Chiesa, giudica impudica l’ ostensione per strada che Matana fa del suo suono.

Da vera buskers lo prende e lo sbatte sull’ asfalto invitando a guardare e a danzare.

E’ franto e bianco come un osso spezzato. E’ scarnificato come uno scheletro.

Ma sorride paziente, come il bambino insidiato dall’ inedia.

Sbozzato di fresco, comincia a muoversi a scatti, come un pinocchietto. Cerca a mici. Chiama la mamma con urla in cui il capriccio ammanta la disperazione.

Ma perché, Matana, non aggiungi qualcosa a quell’ erba scondita?

Fa rabbia la mancanza di ambizione di certi artisti neri. L’ indolenza della parlata si prolunga puntualmente nello strumento, e non si conclude un discorso.

Orecchiano un groove puerile e vi si abbandonano trascurando il capolavoro che stavano intessendo.

Forse sono troppo concentrati su qualcos’ altro. Qualcosa che a noi religiosi-da-chiesa sfugge una volta fuori, per la strada, a contatto con quelle caco-filastrocche da marciapiede.

cover

link

Matana Roberts - Coin Coin Chapter One - Gens de Couleur Libre

Ce n’ è voluta per liberarla dal fastidioso imballaggio del quotarosismo, così come dall’ involucro del terzomondismo. Di fronte a certi fenomeni il sospetto è sempre forte e l’ accertamento costoso, di solito mi tocca lasciare perdere e puntare su altro (uomini bianchi, possibilmente nordici). Ma questa volta s’ intuiva qualcosa in più e mi sono dato da fare: dopo pochissima buccia ho potuto già incontrare la sugosa polpa.

sabato 18 giugno 2011

La bestia nera dell’ Economist

Berlusconi è la bestia nera dell’ Economist, che gli dedica l’ ennesima copertine insultante: L’ uomo che ha fregato un intero paese.

Efficace la copertina, pugnace il titolo.

Ma l’ aritmetica è sbagliata:

L' Economist si sbaglia. Berlusconi ha sì «f...o l'Italia», ma non per averne frenato la crescita. Ho calcolato la media aritmetica del tasso di crescita del Pil negli ultimi vent'anni, separatamente per i Governi di centro-destra e di centro-sinistra. È vero, sotto il centro-destra il Paese è rimasto in stagnazione, con una crescita media dello 0,1% all'anno, mentre sotto il centro-sinistra la crescita media è stata dell'1,4 per cento: una differenza apparentemente abissale, se composta su venti anni.

Ma un confronto corretto dovrebbe tener conto della situazione internazionale, e il centro-destra ha governato durante periodi (i primi anni duemila e ovviamente l'ultima recessione) in cui la crescita in tutto il mondo è stata molto più bassa.

La differenza rispetto agli altri Paesi è stata pressoché identica sotto i due schieramenti (anzi, di pochissimo migliore sotto il centro-destra): in entrambi, l'Italia in media è cresciuta di circa l'1,1 % all'anno in meno degli altri Paesi Ue, l'1,2% in meno dei Paesi del G7, e l'1,4% in meno dei Paesi Ocse. Numeri disarmanti, ma bipartisan. E ci dicono che tendiamo a dare troppa importanza ai Governi; appena l'economia va bene, i sostenitori del Governo gli attribuiscono tutti i meriti; quando va male gli oppositori gli attribuiscono tutte le colpe.

In realtà, perché le riforme si riflettano in un miglioramento osservabile della crescita ci vogliono spesso anni. Un Governo, questo sì, può invece rovinare facilmente e velocemente un Paese, come sanno bene per esempio i cittadini di Venezuela e Zimbabwe. Ma fortunatamente nella seconda Repubblica abbiamo avuto ministri dell'Economia competenti che hanno almeno evitato grossi disastri: questa è una differenza rispetto agli anni Settanta e Ottanta di cui spesso non ci rendiamo conto.

Dunque la vera eredità negativa di Berlusconi non è stata l'economia. La prima eredità è stata aver riportato indietro il dibattito sociale di trent'anni. Berlusconi ha confermato e anzi rafforzato l'avversione che la maggioranza degli italiani, di destra e di sinistra, prova istintivamente per il mercato. Ha rafforzato l'innata convinzione di molti che tutte le riforme siano una congiura dei ricchi contro i poveri.

Education and signalling

Istruttivo scambio di battute. Ecco un link ai link.

Il problema è complicato: studiare in effetti rende.

Come districare i guadagni garantiti da un diploma dall’ effettiva produttività del diplomato.

Il nodo sono le false lauree. Quanto rendono?

La bellezza orfana dello sguardo

L’ articolo più originale della nostra Costituzione è il 9:

“… La Repubblica… tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione…”.

Non esiste nulla di simile al mondo, e non è un caso.

L’ idea che la protezione dei beni culturali sia da sottrarre alla buona volontà delle persone è una primizia che l’ Italia ha esportato ovunque.

Ma cosa significa pensare al Colosseo come ad un “bene comune” per tutti noi?

La risposta canonica che si dà a questa domanda divulga un pensiero insidioso autorevolmente esposto da Salvatore Settis: il cuore della nostra identità sta nel nostro patrimonio storico-artistico.

Difendendo la bellezza, difendiamo noi stessi. Anche per questo tali beni devono restare pubblici (=statali).

Per gli appassionati di filosofia potrei tradurre così: è la “struttura” che ci determina!

Poiché Settis è fermamente convinto che sia il contesto a formare il pensiero delle persone e quindi la loro sostanza, l’ azione decisa dello Stato diventa indispensabile in queste faccende. Solo lo Stato ha un qualche controllo sul “contesto”.

Sembra paradossale, ma in qualche modo la nostra identità starebbe innanzitutto fuori da noi.

Nei suoi lavori trabocca dunque il culto dell’ ufficialità. Solo chi riveste incarichi ufficiali è degno di ricevere ascolto in materia. Poi, magari, mentre l’ “organizzazione” ingessata dalla sua autoreferenzialità è impegnata in coffee break, aperitivi di inaugurazione e brochure in filigrana, a salvare la pieve di campagna ci pensa un gruppo di maestre elementari, un laureato precario, il parroco o degli emeriti sconosciuti.

Il rischio è quello di sacrificare le persone sull’ altare della loro supposta identità. Conservare per conservare conserva tutto tranne il senso dell’ oggetto.

Adesso spero sarà chiaro il perché parlavo di “pensiero insidioso”.

Carlo Betocchi, riflettendo sulla bellezza, diceva: “ci occorre un uomo”. Ma, a quanto pare, non per tutti e non sempre un uomo è più interessante di una roccia o di un tramonto.

Don Giussani riteneva che la bellezza fosse portatrice di senso ma affinché svolga la sua funzione è necessario produrre un’ attenzione particolare.

Attenzione, sguardo… parliamo di qualcosa che parte dall’ uomo e investe la cosa.

lu cong boo

Settis inverte le precedenze.

La questione non è da poco: prima le persone o prima i beni? Sono le persone a valorizzare i beni o viceversa.

Lo strutturalista privilegia una direzione ben precisa di questo nesso cruciale e lo strutturalismo di Settis salta fuori in ogni occasione.

Per esempio, celebrando l’ unità d’ Italia, sostiene con coerenza che essa deriva innanzitutto dall’ incommensurabile patrimonio artistico ricevuto dalle generazioni precedenti.

Ma allora la supposta “unità” si fonderebbe solo sul passato, esisterebbe a prescindere da noi.

Questo modo di guardare ai “beni culturali” uccide il singolo consegnandolo ad un flusso nel quale abbandonarsi rassegnato. E non escludo che per molti sia delizioso “abbandonarsi rassegnati”.

Intanto, forti del paradigma vincente, l’ etichetta di “bene culturale” spopola e dove viene apposta cala una sterile campana di vetro.

Lo stesso “Settis Re Mida” gira per il bel paese e qualunque cosa tocchi si trasforma in oro. Ma la lucentezza dura poco visto che dell’ oro acquisisce anche quella tipica immobilità pronta a ricoprirsi di muschio.

Con orrore Settis si volge indietro lamentando il proliferare di una burocrazia che congestiona gli amati tesori, ma, al tempo stesso, si rifiuta di scorgere alcun collegamento con le premesse che lui stesso ha posto con tanta eloquenza.

Intanto, per ragioni in gran parte avulse dalla storiella che ho raccontato, il paradigma dominante accusa un cedimento venendo qua e là sacrificato sull’ altare del profitto, del denaro, dell’ interesse privato.

Le sensibili antenne di Settis percepiscono il pericolo e fanno scattare l’ allarme.

Si potrebbe dire così: oggi una duplice minaccia attenta alla nostra preziosa identità: il negro straccione che sbarca a Lampedusa e il barbaro che entra nel business dei “beni culturali”.

L’ analogia è chiara: per un leghista i confini stabiliscono chi siamo, e vanno preservati a prescindere. Per Settis il patrimonio artistico forgia la nostra identità, e va preservato a prescindere.

In entrambi i casi i soggetti passano in secondo piano: bisogna difendere l’ oggetto che ci fa essere cio’ che siamo, e, se non vogliamo sparire, questa battaglia è prioritaria.

La coerenza ci spingerebbe ad opporci o a sostenere contemporaneamente entrambe le sensibilità. Ci riusciamo?

Sul punto vedo in giro tanta schizofrenia.

Luca Nannipieri – Salvatore Settis e la bellezza ingabbiata. – Edizioni ETS

venerdì 17 giugno 2011

Sei cio’ che mangi!

(o perlomeno del colore di cio’ che mangi)…

Rainbow Ants

,,, e allora non mangiarmi, ti prego…

nate frizzel not

… ti scongiuro…

killercarrot

link

Impossibilità estesa

C’ è una gran voglia di estendere il teorema dell’ impossibilità ai mercati. Ovvero, si vorrebbe che, una volta dimostrata l’ impossibilità di aggregare le preferenze tramite voto, dello stesso male soffrisse anche la scelta di mercato.

Ma la cosa non è possibile: l’ incoerenza della democrazia deriva da un confronto omogeneo tra le scelte, l’ incoerenza dei mercati no: bisogna confrontare l’ esito di scelte di mercato con l’ esito di una scelta politica.

Meglio che a dirlo sia James Buchanan.

L’ asimmetria

Trovo che vivere con la fede renda le cose più facili.

Ma soprattutto renda più facile il pensiero. E’ un po’ come se lo facesse rotolare in discesa.

Non sapendo quale sia la strada giusta, sempre meglio percorrere quella in discesa. O no?

Eppure molti “pensatori” atei non hanno una grande considerazione della fede in Dio. La classificano addirittura alla stregua di una disfunzione cognitiva.

Per Freud era una nevrosi e per Marx una perversione. Per Russell era irrazionale e per Hume contraria all’ evidenza.

Nello sforzo civico d’ indorare la pillola si arriva giusto a dire che il credente pensa con il cuore anziché con la testa.

elephant man

Come previsto, in questi casi il credente più agguerrito non porge l’ altra guancia ma reagisce.

E’ restio ad ammettere umilmente le sue deficienze cognitive, è piuttosto incline a rovesciare l’ accusa: il peccato obnubila le facoltà intellettuali dell’ ateo. Insomma, è l’ altro a ragionare male.

Qui però, secondo me, finisce l’ asimmetria.

Proprio quando lo scontro frontale appare senza sbocchi, una via di uscita si presenta.

Ma solo al credente.

Cosa dobbiamo intendere infatti per “disfunzione cognitiva”, cosa dobbiamo intendere per “funzionamento corretto della ragione”?

La mia auto funziona correttamente se fa quello per cui è stata costruita.

L’ aereo funziona bene se vola e arriva a destinazione.

Il credente, che adora un Dio creatore dell’ universo, ha buon gioco ad avvalersi dell’ analogia servita su un vassoio d’ argento e sostiene che il cervello funziona bene se si adegua al disegno divino.

L’ ateo, invece, su un punto tanto cruciale ammutolisce e stringe i denti.

Potrebbe accennare al fatto che una cosa “funziona bene” se ci aiuta a ottenere cio’ che desideriamo. Oppure se ci aiuta a sopravvivere.

Ma sa anche lui che in entrambi i casi la credenza in Dio non ne uscirebbe affatto sminuita.

p.s. Dettagli: link

giovedì 16 giugno 2011

L’ ottimismo paga!

L’ ottimismo paga!:

New computer simulations show that a false sense of optimism, whether when deciding to go to war or investing in a new stock, can often improve your chances of winning. “There hasn’t been a good explanation for why we are overconfident, and this new model offers a kind of evolutionary logic for that,”

Romanticismo educativo

Il massimo rappresentante su piazza dell’ antidonmilanesismo militante è David Murray, anche se lui, probabilmente, non sa nemmeno chi sia il parroco di Barbiana.
Combattente inesausto contro ogni ipocrisia (le sole crociate con il mio imprimatur), denudatore di imperatori già nudi, nessuno ha fatto le pulci al “romanticismo educativo” con tanto puntiglio.
D’ altronde l’ unica arma da impugnare contro questo seducente blob mellifluo sono i fatti concreti, e i 4 pilastri da cui parte il Murray per discutere il tema, puntano a quello. Vediamoli:
1. Le abilità variano da persona a persona. Non solo, variano molto. Le abilità che di solito valorizzano la vita adulta nella società contemporanea, poi, sono solidamente correlate con l’ IQ.
2. Metà dei bambini sono sotto la media. Non solo, non sappiamo nemmeno come migliorare la loro posizione. Non esiste evidenza di significativi miglioramenti da parte degli ultimi. Producendo il massimo sforzo possiamo giusto fare in modo che un bambino sotto la media si trasformi in un bambino un po’ meno sotto la media.
3. Troppa gente va all’ università. Pensando al minimo che deve saper fare un laureato di solito ci vengono in mente compiti (leggere e capire una pagina della Divina Commedia aperta a caso o l’ incipit di On liberty),  che richiedono abilità possedute dal 10-20% della popolazione giovanile. Il resto che ci fa lì?
4. Il futuro di un paese non dipende tanto dall’ “educazione dei giovani”, come si è soliti sentir dire, quanto dall’ “educazione dei più dotati”.
Vediamo allora di tirare qualche conclusione.
Al mondo la differenza  esiste ed è bella. Esiste anche tra i bambini, e per valorizzarla occorre una scuola varia.
La scuola unica come fa sbaglia: se si appiattisce verso l’ alto, i drop out spuntano da tutte le parti, se si appiattisce verso il basso ci giochiamo i nerd.
nerd nerdy
Per fortuna sappiamo abbastanza bene che le differenze di sostanza sono rilevabili precocemente: 6-10 anni. E sono – forse ma forse – in qualche modo influenzabili, ma solo intervenendo ancor più precocemente: 3-4-5 anni.
Posso anche interrompere qui il mio post. In fondo, se il problema è impostato correttamente, le soluzioni fioccano da sole senza bisogno dei tonitruanti cannoni spara-neve che il Murray mette in campo nel quinto e ultimo capitolo dell’ agile libretto.
David Murray – Real Education – Three River Press.
p.s. Consentitemi una precisazione: non ce l’ ho con il Don Milani operatore scolastico. Lui, probabilmente, nel contesto in cui si trovava, ha agito anche per il meglio. Solo che ha voluto trasformare il suo felice empirismo in metodo, se non in ideologia. Prendere troppo sul serio i suoi scritti ci salva forse la coscienza ma storna gravi danni su terzi, in particolare sulle giovani generazioni.