venerdì 7 giugno 2019

L’eterna lotta tra cultura e ragione. SAGGIO



L’eterna lotta tra cultura e ragione.




La Prussia del XVIII secolo non ci ha regalato solo la benedizione di Kant ma anche la maledizione della “silvicultura scientifica”.
I razionalisti illuminati notarono che i contadini, quei coglioni, si limitavano ad abbattere gli alberi della foresta a casaccio o comunque sulla base di criteri oscuri legati a tradizioni poco intellegibili legati alla cultura locale. Così hanno elaborato un piano: eliminare tutte le foreste e sostituirle piantando copie identiche di abete norvegese (l’albero a più alto rendimento di legname nell’unità di tempo) in una griglia rettangolare e uniforme. In questo modo diventava possibile procedere abbattendo centinaia di alberi in poco tempo e massimizzando la produzione di legname. Ma qualcosa andò male. L’ecosistema impoverito non poteva più ospitare gli animali selvatici e le erbe medicinali che sostenevano i villaggi circostanti, causando così il collasso economico di intere regioni. Come se non bastasse, le file interminabili di alberi identici erano un perfetto terreno di diffusione per le malattie delle piante e gli incendi boschivi. Anche i complessi processi ecologici che sostanziavano il suolo smisero di funzionare, così dopo una generazione gli abeti rossi norvegesi cominciarono a crescere rachitici e malnutriti. Eppure, per qualche motivo, tutte le persone coinvolte nel progetto ebbero carriere fulgide e la “silvicoltura scientifica” si è diffusa in Europa e poi nel mondo. Sapete dirmi perché?
Ecco, questo schema si ripete con regolarità sospettosa attraverso la storia, non solo nei sistemi biologici ma anche in quelli sociali.
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Le città organicamente evolute tendevano ad essere composte da vicoli bui, negozi piccoli e strade sovraffollate. Il razionalismo urbano ha avuto un’idea migliore: partendo da una tabula rasa predisporre una griglia rettangolare uniforme su cui allineare brutali palazzi giganteschi e identici separati da ampi viali, il tutto suddiviso in distretti attentamente raggruppati in zone omogene. Ma per qualche ragione, ogni volta che queste nuove città sono state costruite, la gente le odiava e faceva tutto il possibile per trasferirsi in periferie che ancora conservavano i “difetti” delle vecchie città rase al suolo. E ancora, per qualche strano motivo i pianificatori del disastro sono stati regolarmente promossi con tutti gli onori e hanno diffuso le loro tecniche distruttive in tutto il mondo. Alle campagne è stata riservata una sorte simile. I vecchi villaggi contadini, evoluti in modo organico, tendevano a moltiplicare la confusione accumulando allevamenti eterogenei e piccole culture diversificate in modo inefficiente su appezzamenti angusti e scomodi. I moderni razionalisti scientifici hanno avuto un’idea migliore: gigantesche fattorie collettive meccanizzate dedite alla mono-cultura ad alto rendimento appositamente concepite e disposte in spaziose griglie rettangolari equidistanti. Eppure, per qualche ragione, queste gigantesche fattorie collettive avevano rendimenti inferiori per ettaro rispetto ai vecchi metodi tradizionali, e ovunque prendessero forma, la loro presenza era seguita puntualmente da carestie e fame di massa. Ma anche qui, per qualche motivo i governi hanno continuato a sponsorizzare i metodi più “moderni”, sia che si trattasse di collettivi socialisti nell’URSS, di grandi corporation agricole negli Stati Uniti, o di tentacolari piantagioni di banane nel Terzo mondo.
Gli stili di vita tradizionali di molti nativi dell’Africa orientale erano nomadi, e implicavano una strana agricoltura a base di “taglia e brucia” da condurre su intricati appezzamenti nella giungla secondo una sconcertante varietà di regole ad-hoc. I moderni razionalisti scientifici dei governi africani (sia coloniali che post-coloniali) hanno avuto un’idea migliore: reinsediare gli indigeni nei villaggi, dove potevano fruire di servizi moderni come scuole, pozzi, elettricità e griglie rettangolari equidistanti. Eppure per qualche ragione, questi villaggi continuarono a fallire: i raccolti venivano abbandonati, le loro economie crollarono e i loro abitanti scomparivano trovando asilo nella giungla. Ma per qualche motivo i governi africani continuarono a cercare di riportare i nativi e farli rimanere nei villaggi anche con la forza.