Il sud-est asiatico è pieno di svastiche. Ma non è pieno di nazisti, è che La svastica e un simbolo Ben prima che i nazisti se ne appropria assero. Che fare?
Prima reazione. Dopo una prima reazione negativa a livello viscerale, prendete atto che non si tratta di nazisti e vi adeguate.
Seconda reazione. Lasciate che la vostra reazione viscerale istintiva abbia il sopravvento. Denunciate come la vostra sensibilità sia rimasta offesa dall'esposizione di certi simboli anche se chi li espone non è nazista. Forse che costoro non possono immaginare quanto offendono il prossimo?
Qual è la reazione migliore?
Di recente, nel dibattito politico italiano, è stata usata la parola “razza”. In modo innocente ma è stata usata.
A seguire un profluvio di critiche: “non è una parola innocente”, “è una parola che sollecita ricordi terribili”, “si tratta di un termine da evitare sempre”, “non è possibile sentire ancora certe parole nel XXI secolo”...
In questa reazione è ben visibile un altro aspetto degradante delle campagne elettorali: i simboli fagocitano i significati. Non conta più cio’ che uno dice ma cio’ che uno evoca nella mente di chi lo ascolta.
La cosa è ben strana poiché spesso i politici vengono accusati di esprimersi per slogan. Ma quando non lo fanno vengono accusati del fatto che le loro parole, se prese come slogan, nuocciono. Non si capisce più se si desiderano slogan o parole.
Per utilizzare un paradosso: a voi cosa evocano le svastiche? E come giudicate gli indiani che ne fanno continuamente uso? D’accordo, il loro uso è innocente, le motivazioni naziste sono del tutto assenti, eppure, a volte, soprattutto in questo periodo, sembra che la cosa sia del tutto irrilevante: cio’ che conta è il simbolo e cio’ che evoca.