sabato 14 agosto 2010

Senza la verità non resta che il moralismo arrembante

Sembra che ci sia un solido nesso tra relativismo e moralismo. Lo scontro è quello tra teorie vere e teorie utili:

"A partire dagli anni 60 si comincia a pensare, in circoli sempre più ampi di persone, che l' oggettività sarebbe un' illusione. Di qui deriva la convinzione che non ha alcun senso parlare di "sapere" e di "conoscenza", mentre si dovrebbe parlare solo di "punti di vista". Non di fatti ma solo di interpretazioni... E' con queste premesse che il "moralismo" ha cominciato ad espandersi presso gli intellettuali e gli insegnanti fino a diventare l' atteggiamento di gran lunga prevalente in questi ambienti... comiciano a diffondersi gli intellettuali organici, costoro non credono che il sapere possa essere fondato oggettivamente, cio' non toglie che le scienze umane possano giocare un ruolo politico importante... il concetto di "teoria utile" soppianta quello di "teoria vera"... Un episodio estremo ma emblematico di questa mentalità: in Quebec, all' università di Montreal, le femministe hanno proposto di diminuire gli standard di valutazione negli esami di dottorato a vantaggio delle candidate di sesso femminile, sostenendo che il sapere è sempre incerto mentre le esigenze morali sono indiscutibili... una conclusione che suona assurda ma in realtà in linea con le premesse... La svalutazione del sapere si accompagna quasi sempre con una sovravalutazione della morale o, più esattamente, con una esasperazione delle esigenze di uguaglianza... Già Hegel segnalava il meccanismo in questione parlando dell' intellettuale "buon anima". Le "buone anime" sono responsabili della sindrome della "conoscenza inutile" (J.F. Revel) o del "fallimento del pensiero" (A. Finkielkraut)... La proliferazione di "anime buone" spiega l' incredibile intolleranza intellettuale, spesso feroce quanto discreta, che vige in molte università. Un brillante professore italiano mi ha recentemente confidato che si sentiva implicitamente obbligato a sottolineare ai suoi colleghi, mettendolo fra parentesi, con discreti accenni o incisi, che era un "progressista". Da quando aveva smesso di conformarsi a questo obbligo, aveva l' impressione di essere trattato nell' indifferenza più totale, ci si dimenticava di "citarlo", di salutarlo perfino. La "fine delle ideologie" non era certo andata di pari passo con la fine dell' intolleranza..."

Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino

Mi tocca confermare: a Radio Tre, l' unico ambiente "colto" e vitale che frequento, aleggia sempre l' intemerata dal pulpito ( i poveri, gli ultimi, il modello imposto, la corruzione, la legalità...) e il sentimento di indignazione arieggia sempre quei corridoi.

Un altro fenomeno singolare è l' acerrimo moralismo che pervade i miei amici materialisti (Boudon li chiamerebbe "positivisti").

Ma come? Loro che, non ammettendo nemmeno l' esistenza di una coscienza e, per conseguenza, non dovrebbero dare alcun senso ad un concetto quale quello di Verità, come possono poi infervorarsi tanto? Coda di paglia?

Anche qui Boudon illumina.