Se volete capire come passa la giornata in un Gulag per indignarvi con più veemenza, allora non vi aiuterà molto leggere i "Racconti della Kolyma", uno dei migliori libri scritti sui Gulag siberiani.
Qui troverete solo un vero scrittore che narra veri racconti. Qui troverete alta letteratura.
Il gulag è lontano, almeno quanto lo è la Rivoluzione industriale in Dickens.
In un certo senso l' arte sopraffina di Varlam Salamov penalizza il suo ruolo di testimone. La scrittura fabulistica ci avvince alle storie facendoci dimenticare il posto terribile dove siamo capitati.
Quando accenno alla "fabula" non penso tanto all' incanto di un sogno ad occhi aperti, quanto all' esilio claustrofobico in un' altra dimensione.
Il "reale" sembra essere l' unica via per cogliere il "terribile", ma Salamov sceglie una via alternativa.
I prigionieri, dimentichi e quindi esiliati dal loro passato e dal loro triste destino, sono assorbiti unicamente dalla loro irrilevante lotta quotidiana per giungere a fine giornata, domani si vedrà.
Quando non ha senso formulare un progetto che vada al di là di due giorni, come puo' avere senso... la "dimensione storica" della vicenda?
Il gulag, Stalin, la Siberia, l' Unione Sovietica sono concetti che fuggono per svanire nel nulla, dapprima fuggono dalla testa dei prigionieri, subito dopo dalla pagina dell' autore, e presto anche dalla testa del lettore.
Eccoci in esilio da ogni dimensione storica, eccoci in grado di cogliere la minuscola prigione in cui lo spirito umano viene rinchiuso quando il corpo è rinchiuso nell' enorme carcere siberiano.
In un luogo tanto mostruoso la cosa facile sarebbe quella di indugiare su sentimenti mostruosi, ma i sentimenti descritti da Salamov li abbiamo su per giù provati anche noi sui banchi di scuola o nei luoghi di lavoro.
Perchè l' uomo dia il peggio di sè non sembra necessario che pesi 35 kg e attenda alle sue 20 ore di lavoro giornaliere a meno 50 gradi.
Pesare un terzo del proprio peso forma quando fuori ci sono 50 gradi sotto zero significa stare all' inferno. Cos' ha allora di caratteristico l' Inferno?
Una cosa negativa: predomina il sentimento dell' odio. Ma per fortuna l' odio è solo un sentimento, e allora soccorre la seconda caratteristica, forse positiva: il sentimento non puo' essere coltivato, nemmeno provato a lungo, emerge brevemente per poi scomparire. La vendetta è intorpidita fino ad essere abortita. I pallidi colori pastello dell' invidia ne fanno un fantasma incosistente.
Ciascun racconto occupa poche pagine, è un piccolo ed effimero francobollo.
Si conclude sempre in modo compassato consegnando al silenzio l' essenziale.
Il "terribile" è scontato e mai menzionato, solo l' epifenomeno desta interesse, solo la nota a margine ci parla con tono di verità.
Levi e Trouffaut l' hanno insegnato: svelare un trucco è oggi cento volte più appassionante che narreare le gesta eroiche del santo o quelle blasfeme del diavolo.
Salamov esegue e supera i maestri.
Forse ora anche noi suoi fedeli lettori sedotti per sempre saremmo capaci di sbarcare il lunario in un Lager.
Chissà se Salamov voleva essere cio' che è stato per me. In fondo lui andava predicando che la verità del reale è di un genere tutto particolare.
Secondo lui, fino al secolo scorso, lo scrittore non doveva conoscere troppo bene il suo soggetto: in quel caso avrebbe tradito il lettore in favore di quest' ultimo.
Ma i tempi andavano cambiando, diceva, e lo scrittore doveva divenire uno "specialista", doveva conoscere da dentro cio' di cui parlava. E lui, non per niente, aveva una conoscenza di prima mano del gulag.
Tuttavia, nonostante queste intenzioni, la verità di Salamov anzichè avere l' odore della realtà conserva l' odore della letteratura. Dell' alta letteratura.