sabato 24 novembre 2018

I GUAI DELL’ITALIA (nel dopoguerra)

I GUAI DELL’ITALIA (nel dopoguerra)
Gli economisti hanno un numeretto per capire subito lo stato di salute di un paese, è uno strumento essenziale, equivale al termometro per i medici. Si chiama “indice di produttività”. Per chi ha fretta nell'esprimere giudizi non serve altro Per chi ha fretta nell'esprimere giudizi non serve altro che un'occhiata a quel numeretto.Guardandolo è chiaro quando sono iniziati i nostri guai: dalla metà degli anni settanta. Da allora quel numeretto si è tristemente appiattito cessando di elevarsi.
Ma cosa è successo in quel periodo? Essenzialmente due cose: schock petrolifero e rivendicazioni salariali. Non ci si puo’ lamentare di eventi del genere, sono cose che succedono, forse, nel caso delle rivendicazioni, è persino giusto che succedano.
Solo una precisazione per evitare equivoci. Quando si parla di petrolio non si parla di quisquilie: il petrolio è in tutte le materie prime e in tutte le lavorazioni, fosse anche sotto forma di energia. Quando invece accenno alle rivendicazioni salariali non mi riferisco a uno che chiede l'aumento ma a veri blocchi della produzione, a un fenomeno esteso e a tratti contiguo persino al terrorismo.
Roba seria, quindi.
Come si reagisce in questi casi?: si cambia. O meglio, si innova. Questo dicono i manuali.
Come si è reagito invece?: svalutando la moneta e sussidiando in questo modo le imprese che continuavano così a fare quel che facevano prima. In più, per non avere guai con il sindacato, si è esternalizzato verso microimprese non sempre modello di efficienza.
Si tratta di soluzioni a breve respiro, e quando è subentrato il fiato corto si è ripiegato sul debito (gli anni ottanta del CAF).
Ma perché non si è seguita la via maestra? Perché la via maestra è dura: innovare significa distruggere gran parte di cio’ che esiste e intorno a cui abbiamo costruito la nostra vita.
Le ferite del cambiamento le conosciamo bene perché in passato abbiamo innovato pure noi. Nei decenni del boom (l’indice di produttività cresceva) abbiamo cambiato passando dai campi alla catena di montaggio, ma questo ha significato migrazione di massa dal Mezzogiorno, per esempio. Vi sembra un gioco da ragazzi migrare? Nemmeno “accogliere” lo è, figuratevi migrare. Il trauma è stato tale che ci si è costruita sopra buona parte della letteratura italiana dell'epoca, quasi a dire “mai più”. Le stesse parole usate per Auschwitz. Letteratura significa cultura, una cultura in buona parte anti-modernista. E’ chiaro allora perché un paese più ricco (e più bamboccione di prima) recalcitra di fronte ai nuovi cambiamenti? Uno si chiede: perché devo trasferirmi? perché devo riciclarmi? perché devo traslocare? perché devo reinventarmi? perché-perché-perché… Non si puo’ farne a meno? Non si puo’ rinviare? Vale per tutti questa perplessità, anche se per gli italiani un po’ di più.
Ma la consapevolezza di aver imboccato in precedenza delle scorciatoie c’era, tanto è vero che negli anni 90, complice una grave crisi che ha inaugurato il decennio, siamo “entrati in Europa”. Di fatto questa mossa esprimeva l’impegno, preso innanzitutto con noi stessi, a non “barare” più: basta con i mezzucci, basta con la svalutazione, basta con le baby pensioni, basta con la spesa pubblica per tamponare il malcontento, basta con il debito facile.
Non si puo’ dire che l’impegno sia stato mantenuto come era lecito attendersi, abbiamo sempre viaggiato sul filo del rasoio, e in più qualche errore per eccesso di rigorismo monetario – parere mio – è venuto anche dall’Europa.
Il governo attuale, devo ammetterlo, non mi piace molto, ma non perché sia al momento responsabile di qualcosa o abbia combinato chissà quali guai, non perché di fatto abbia cambiato radicalmente rotta rispetto al passato. Solo perché quando sogna nuove svalutazioni e nuovi debiti, quando agisce spronato dalla retorica “sovranista” non sembra ben consapevole della nostra storia passata e dell'origine dei nostri guai. In passato si faceva e non si diceva. Ora si fa e si dice! Ebbene, senza la dovuta consapevolezza, almeno quella!, i guai potrebbero aggravarsi.
In questi casi benedetta sia l’azione degli speculatori e la loro capacità di dare la sveglia anche agli smemorati, anche alle “belle addormentate” o “finte tonte” che siano.