Raymond De Felitta – City Island
E’ un film abbastanza incredibile. Bisogna aspettare le ultime scene per capirne il “genere” (commedia? drammatico? sentimentale?) e l’ ultima scena per individuare il vero protagonista.
E’ un film dove tutti fumano di nascosto immersi in un mondo dove hanno detto di aver smesso. Un mondo che li insegue e prima o poi li metterà con le spalle al muro.
E’ un film in cui Dio dà a tutti una seconda possibilità per rimediare alle proprie cazzate.
E tutti la colgono in un crescendo trionfale!
Pensare che in principio, tra incomunicabilità, casette ordinate e perversioni che occhieggiano, credevo di essere finito a Peyton Place, oppure in mezzo alle “American Beauty”, circondato da famigliole americane in stile mulino bianco che, se frequentate per un attimo, fanno affiorare inconfessabili segreti.
Il mostro dalla porta accanto, insomma.
Ma poi ecco che esplode la clamorosa innocenza di ciascun segreto e a complicare tutto sopravvive solo la resistenza alla comunicazione.
Joyce, la moglie, si presenta come una nevrotica schizzata, è solo in cerca di conferme affettive. Dà un tocco isterico al film.
Vinny, il figlio della coppia, ci appare come un pervertito internauta: è solo innamorato della vicina grassona e frequenta siti di feticismo fat girl. Avulso da ogni phatos, commenta con tocco demenziale gli avvenimenti badando sempre a starne fuori.
Vivian, la figlia, ci appare in un tunnel di sesso e droga: si sta solo pagando gli studi facendo la spogliarellista a tempo perso. Dà un tocco glamour al film.
Tony Nardella, il figlio segreto di lui, è stato cresciuto dalla mamma prostituta e alcolizzata, fa il ladro d’ auto ma ne uscirà come il vero signore di tutto il racconto. In sua presenza il film si trasforma in un apologo morale.
Ma poi c’ è lui, Vince. Marito e papà di figli segreti e ufficiali.
Vincent Rizzo segue una scuola di recitazione ma per mascherare l’ impresentabile lato buono della sua persona, si sente in dovere di dire in famiglia che va a giocare a poker.
Sembra quasi che nessuno riesca a dire di essere migliore di quel che è. Come se ne esce?
Scopriremo che saper recitare aiuta e frequentare una scuola di recitazione è essenziale.
La scuola di recitazione, per chi non lo sappia, è una vera scuola di vita. Ci vai a fare quelle cose (ballo, canto) che hanno entusiasmato i tuoi genitori scoprendo che annoiano il resto del mondo. Una bella prova.
L’ ambizione, poi, riceve sonore frustrazioni. I sogni di Vince, per esempio, sono iniziati con le mitiche “pause” di Marlon Brando e sono finiti in una classe dove l’ insegnante filosofeggia così:
Ma a fianco della roboante storia della famiglia italo-americana, scorre alla chetichella quella più defilata di Molly, un personaggio incredibile che sembra uscito da una pellicola di Woody Allen. Una di quelle donne che Woody vuol sentirsi sempre accanto mentre gli dicono: “… ma dàiiiiiii… veramente?…”.
I doveri che impone il corso non si limitano alla frequenza ma si prolungano nei “compiti a casa”.
Roba del tipo: si formino le coppie, ci si frequenti per una settimana confidandosi reciprocamente i propri segreti. Infine, si trovi il coraggio di drammatizzare teatralmente la propria storia ispirati dal segreto altrui.
Vince si aprirà con Molly, casuale compagna di corso, le parlerà del figlio segreto che con un pretesto si è portato a casa, della moglie inquieta, dei figli sballati e delle sue reticenze; Molly saprà ascoltarlo, accoglierlo, saprà anche dirgli: “… graaaandeee…”; e infine arriverà persino a elargire qualche dritta distratta ma in modo talmente umano ed empatico da accompagnarlo fuori dai guai senza traumi. Proprio quello si rivelerà essere il modo migliore per affrontare i suoi, di guai.
In fondo non si puo’ continuare troppo a lungo a essere tanto ricettivi con le storie altrui e tanto sordi con la propria.
La storia che ci viene raccontata nel film non è altro che il “compito a casa” svolto da Vince ispirato dal segreto di Molly.
Molly, la comprimaria, è ovunque.
Due insegnamenti: 1. riusciamo a vederci in faccia e a giudicarci onestamente solo grazie al filtro dell’ altro. 2. l’ accoglienza e l’ ascolto dell’ altro non sono mai una perdita di tempo, non rinviano la soluzione dei nostri problemi, anzi, sono il miglior modo per cominciare ad aggredirli sul serio qui e ora.
p.s. miglior battuta: Tony a Joyce: “ mi scusi Signora Rizzo…”; lei, ammiccante: “La signora Rizzo è mia suocera…”.