giovedì 27 dicembre 2007

Ernst Reijseger: Requiem for a Dying Planet

Una volta che metti la testa in questo disco è poi difficile tirarla fuori incolume. L' alga tentacolare che attecchisce nel mare torbido di Reijseger non è solita rilasciare i suoi ostaggi.

E' un violoncello pudico quello dell' olandese, si aggira solo nelle seconde file, ma sa scatenarsi con la frenesia dei timidi. E' un violoncello sporco, si dedica al sublime dopo aver frequentato a lungo i bassifondi. Accarezzandolo incontri ancora la rugosità di una lebbra non cicatrizzata.

Da qualche anno una particolare levitazione l' ha fatto assurgere in un limbo celestiale. Ma è lì per i meriti di una santità comprovata da anni di piccoli e continui miracoli.

Qui è impegnato a rimestare una pozione a cui partecipano ingredienti eterocliti che fanno un' avanguardia mille miglia lontana dall' avanguardia che pensa molto senza combinare nulla. inseguendo i Cori di Orgosolo con i loro bordoni rugginosi, e un canto che rimbomba in un piccolo cranio africano spirando il tiepidume di quelle terre.

E' un vero matrimonio d' amore, tutto riesce a sposarsi in quel Sanctus. E' un canto messianico. Nell' immaginazione di Herzog un Pianeta doveva morire. Nel contrattempo di una colonna sonora che non riesce a stare sullo sfondo, quel pianeta viene salvato.